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 2025  febbraio 28 Venerdì calendario

I 125 anni della Tosca

   
TOSCA ricomincia da capo. Dalle scene, ai costumi, all’attrezzeria. Riappare in palcoscenico con le fattezze di quel 14 gennaio 1900 quando venne creata in un Teatro Costanzi gremito di ministri (c’era anche la regina Margherita, che fece però il suo ingresso solo dopo il Te Deum alla fine del primo atto, perché devota fino al bigottismo) e personalità in vista, tra cui Mascagni. Per preparare lo spettacolo, l’editore Giulio Ricordi aveva mandato a Roma il figlio Tito che aveva commissionato le scene a Alfred Hohenstein: un pittore tedesco noto per i suoi manifesti pubblicitari, dalla Bohème al Bitter Campari. Centoventicinque anni dopo, uno dei più popolari titoli di Puccini rioccupa l’Opera di Roma permettendo al pubblico di tornare indietro nel tempo grazie a un’accuratissima ricostruzione storica. Si è debuttato il giorno dell’anniversario in presenza del presidente Sergio Mattarella, arrivato lui puntuale, e si va avanti per un totale di tredici serate fino al 13 maggio.
Una e trina
L’operazione di restauro venne già tentata nel 2015. Per la ripresa, le novità non mancano. Innanzitutto, questa Tosca è trina. L’allestimento procede con tre blocchi di recite: direttore d’orchestra e cast cambiano ogni volta. Ha cominciato il direttore Michele Mariotti che ha studiato la partitura per l’occasione, portandola prima in tournée a Tokyo con l’orchestra dell’Opera e poi in scena nella Capitale. Perché come ripete, «Tosca è Roma»: tra l’impresa di Puccini e la città (e quindi il suo teatro) il connubio è totale e Mariotti, da direttore musicale, non poteva non esserci. Da domani, 1° marzo, passerà la bacchetta a Daniel Oren, che si ritroverà a dirigere la stella (sempre) lucente Anna Netrebko che nel ruolo eponimo prenderà il posto di Saioa Hernández (Yusif Eyvazov interpreterà Cavaradossi e Amartuvshin Enkbath Scarpia). Dal 9 maggio salirà sul podio James Conlon con Anna Pirozzi, Luciano Ganci e Claudio Sgura nei tre ruoli principali. Mentre nella cabina di regia ci sarà sempre e solo l’australiano Alessandro Talevi, migrato a Torino. È a lui che incombe la missione d’ispezionare la messinscena di oggi perché sia fedele a quella di ieri. «È un esperimento con la tradizione», precisa, non volendo ritrovarsi nel ruolo scomodo del guardiano del museo delle mummie in un’epoca di Regietheater. «Di natura non sono un tradizionalista, ma qui in Italia abbiamo i migliori pittori di scene teatrali».
Un’altra novità di Tosca 125 è una mostra allestita all’interno del Teatro Costanzi, che si potrà visitare fino al 13 maggio. Al Venerdì la presenta Giuliano Danieli, uno dei curatori insieme a Alessandra Malusardi, Maria Pia Ferraris e Pierluigi Ledda. «Il materiale esposto, che proviene per lo più dall’Archivio storico Ricordi di Milano con qualche aggiunta di reperti dell’Opera di Roma, permette di comprendere il lavoro preparatorio in vista della prima assoluta, il senso della nostra ricostruzione più di un secolo dopo, ma illumina pure le varie fasi della scrittura della partitura».
Realismo assoluto
Emerge, sempre, un’attenzione estrema per il vero o almeno per il verosimile. Tosca come La Lupa di Verga che Puccini rifiutò? Il paragone farebbe arricciare qualche naso. Eppure, girovagando tra i cimeli mostrati al pubblico e spulciando l’epistolario, pare chiaro che il compositore fosse sempre in cerca di realismo. Puccini assillò un amico sacerdote per avere tanti ragguagli: dallo «scampanio mattutino di Roma» alla processione per il Te Deum. Voleva pure qualche verso per il brontolio della processione. Non pago delle risposte, si rivolse a un altro amico: «di’ al vescovo che mi ci bisogna e l’inventi, lo trovi. Se no scrivo al papa». Il tono è faceto, ma la richiesta serissima. Per la stessa ragione, Puccini si mise a caccia di un vero poeta romano capace di scrivergli uno stornello in romanesco per il pastorello del terzo atto.
Anche i due Ricordi, padre e figlio, appoggiarono questa ossessione per l’esattezza storica. «Niente carta pesta», tuonò Tito, che aggiunse: «Acquisteremo stoviglie, tovaglioli, servizio da tavola ecc. Reali». Pure i fucili del terzo atto vennero provati e riprovati, come ricorda sempre Danieli: «Le armi, pur finte, dovevano restituire l’effetto di quelle vere». Fumo e vampata compresi. Si capisce meglio la reazione di Puccini quando incontrò Victorien Sardou, l’autore del dramma da cui Giuseppe Giacosa e Luigi Illica trassero il libretto. Lo scrittore francese era pronto a fare passare il Tevere tra San Pietro e Castel Sant’Angelo. «Inesattezze storico-topo-panoramiche», le chiamò il compositore inorridito. Ma certo il senso dell’effetto scenico non mancava né a Sardou né alla sua attrice prediletta, Sarah Bernhardt, che Puccini vide più di una volta in azione. Dalla fonte francese venne l’idea della scena dei tre candelieri (immortalata in una foto di Félix Nadar del 1887, esposta ora al Costanzi), intorno al cadavere di Scarpia a terra. Finirà pure sulle locandine.
Frugando in magazzino
Le scene di Tosca 125 ripartono dai bozzetti di Hohenstein, riadattati ad un palcoscenico che negli anni si è allargato. Per i costumi, Laura Biagiotti ha incrociato l’iconografia di inizio Ottocento con le foto rarissime di Hariclea Darclée, la creatrice della Tosca pucciniana. I costumi della “prima” si credevano tutti perduti. Ma Biagiotti è riuscita a scovare, nei magazzini dell’Opera di Roma, la divisa di una guardia svizzera. In quel caso, il figurino firmato da Hohenstein era stato scartato perché giudicato troppo distante dall’originale. Molto di più di un aneddoto. Oltre la scena – è il sottotitolo della mostra – fornisce le chiavi per capire la ricerca dell’autenticità che ha guidato sia la creazione del 1900 sia la ricreazione del 2025.
Per chi volesse saperne di più, è d’obbligo il ricorso al recentissimo volume Giacomo Puccini. Tra fin de siècle e modernità di Michele Girardi (il Saggiatore). Un testo che si può leggere a strati: le considerazioni sull’estetica del tempo, la genetica di ogni composizione, l’analisi delle opere, la ricezione. Il musicologo si sofferma pure sulle riprese per il piccolo o grande schermo. Torna a galla un precedente di restituzione “filologica” di Tosca: era il 1992 e il regista Giuseppe Patroni Griffi portò in tv e al cinema un’attesissima produzione. L’orchestra, diretta da Zubin Mehta, restava in studio, mentre i cantanti si spostavano dalla chiesa di Sant’Andrea della Valle a Palazzo Farnese e infine a Castel Sant’Angelo. Questa Tosca, nei luoghi e nelle ore di Tosca si spingeva fino a fare coincidere ogni atto con il preciso momento della giornata indicato nel libretto. Eccesso di fedeltà storica? Per Girardi, solo «intenti commerciali»