il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2025
Separazione delle carriere, Meloni apre solo a ritocchi. Lite con Salvini-Tajani
Un giro di tavolo. Durato mezz’ora. O poco più. A metà mattina la premier Giorgia Meloni riunisce a Palazzo Chigi i suoi vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, insieme a Maurizio Lupi, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno e della Affari costituzionali, Nazario Pagano. L’incontro è anche simbolico perché viene convocato il giorno dello sciopero dei magistrati che negli stessi minuti manifestano davanti ai palazzi di giustizia con la Costituzione in mano. La premier voleva dare un segnale: abbassare i toni e chiudere lo scontro con i magistrati, dopo gli attacchi successivi all’avviso di garanzia ricevuto per il caso Almasri. Il nuovo corso aperto dal presidente dell’Anm Cesare Parodi sembra convincere Meloni. Che lo dice chiaramente: per il momento serve maggiore cautela. Basta attacchi diretti alle toghe. Tant’è vero che la linea comunicativa che emerge dal vertice è chiara: ora “dialogo”. Il 5 marzo così la premier incontrerà il nuovo presidente dell’Anm, anche se lo stesso giorno il governo vedrà anche l’Ordine degli avvocati. Durante il vertice, assicurano i presenti, però non si parla di contenuti, ma solo di linea politica. Ed emerge un po’ di tensione sulle possibili modifiche alla riforma della separazione delle carriere. Perché la linea di Meloni è quella di aspettare l’incontro con l’Anm e ascoltare le richieste del sindacato dei magistrati. Mentre quella del ministro Nordio, ma soprattutto dei vicepremier Salvini e Tajani, è diversa. Il primo vorrebbe evitare qualsiasi modifica alla riforma per evitare lungaggini e un ulteriore passaggio parlamentare. D’altronde si è impegnato ad approvare la riforma costituzionale entro il 2026 e poi arrivare al referendum confermativo entro un anno e mezzo. Salvini e Tajani invece provano ad agitare lo scontro. Entrambi sono per la linea dura. Possiamo pure modificare la riforma, è il senso del loro ragionamento, ma poi i magistrati troveranno qualche altro problema per protestare. Inoltre, sostengono entrambi, sono due anni che fanno la guerra al governo. Insomma, avanti spediti. Non è un caso che il vicepremier di Forza Italia, uscendo dal Senato, dica che “nessuno vuole mettere le toghe sotto il controllo dell’esecutivo” ma allo stesso tempo “lo sciopero dei magistrati è legittimo, ma è un danno al Paese perché vengono rinviate udienze per i cittadini”.
E alla fine Meloni deve provare a trovare una mediazione. Anche perché mercoledì era stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a difendere le toghe. Palazzo Chigi, soprattutto per evitare conflitti istituzionali, non può ignorare la sirena del Quirinale. Dunque, la linea che esce dal vertice è una mediazione tra le posizioni interne al governo: avanti spediti sul disegno di legge costituzionale senza modificarla.
Al massimo si potrà ragionare solo su piccoli ritocchi sul sorteggio temperato dei componenti del Csm o sulle cosiddette “quote rosa”. Ma questo potrà avvenire solo nella legge attuativa al ddl costituzionale. Insomma un’apertura, ma solo a metà. E da rinviare a data da destinarsi.
Resteranno intatti invece i tre pilastri della riforma: i due Csm, l’Alta Corte e ovviamente la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. In particolare, come anticipato dal Fatto, l’idea sul sorteggio temperato riguarderebbe la legge elettorale: nello specifico la possibilità di creare un listino per eleggere i nuovi componenti del Csm rendendo di fatto meno efficace il meccanismo del sorteggio.