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 2025  febbraio 27 Giovedì calendario

La nuova guerra civile dell’Occidente malato

Diciamolo: il sentimento che dà oggi uno scopo all’Europa precipitata in tempi climaterici è la paura. È l’epoca in cui cominciano fatti indescrivibili e difficili da capire per il quieto vivere atlantico di una élite (parola sproporzionata) il cui orizzonte è solo ritrovare il bandolo di un capitalismo entusiasta. Per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo paura di restare soli.
Gli Stati Uniti ci abbandonano, trovano più utile discutere di equilibri mondiali con le prepotenti realtà di Putin che con i fantasmi di Bruxelles. È proprio il caso di stupirsene? Ma come: noi, gli alleati fedelissimi, gli alleati per antonomasia?
L’America, presidio delle democrazie occidentali per definizione, è diventata una società balzachiana di nuovi miliardari inebriati dai battesimi in un vecchio imperialismo inizio Novecento, senza rimorsi o esitazioni. I nuovi “puritani” sono uomini d’ordine, di inclinazione autoritario-gerarchica, intolleranti, facili alla scomunica e all’ostracismo.


La situazione internazionale con nuove aggressive potenze, la minaccia al prestigio, il venir meno di una floridezza economica hanno fatto salire un fondo denso, diversamente colorato, che trova la sua sintesi in Trump. Il panorama dell’America di oggi non si può trasferire in definizioni, soprattutto quelle fissate nella immobilità dei decenni precedenti, ma si può solo descrivere, un compito si potrebbe dire da romanzieri più che da politologi. Nella illusione di popoli velleitari che amano soprattutto la libertà lunare di sottilizzare “in vacuo” su ipotesi inattuali, di discutere non gli eventi ma i loro riflessi in una trasposizione intellettiva, noi abbiamo fatto peggio che non accorgercene: abbiamo fatto finta che non sarebbe avvenuto.
La vecchia America stabilizzata, benpensante, il solido ceppo con i nuovi venuti avidi di insediarsi nella sua gloria, era perfetta per il comodo di europei astuti alleati abituati all’allineamento automatico anche quando l’amico americano sbagliava grossolanamente, dall’Iraq all’Afghanistan per far solo esempi recenti.
È la salita della feccia, inveiscono alcuni; per altri solo un ritorno ai grandi caratteri dell’America vera, del paese reale. Questa guerra dei mondi, somma vettoriale di diverse battaglie, i dotti la definirebbero “delinking”, sconnessione.
Qualcosa di simile per l’Europa accadde con la Prima guerra mondiale, la realtà terrificante di quella strage fu talmente nuova da non riuscire nemmeno a raccontarla, al punto che si rinunziava. Mancavano le parole. Con l’avvento di Trump, i suoi annunci, lo stupore è diventato il compagno quotidiano dei vertici europei quasi che non dipendesse da loro allontanarlo, quasi che fossero impotenti di fronte ad essi.
Si vive di nostalgia di 80 anni di normalità atlantica. Si aspetta la fine della cattiva stagione come una speranza. Ci si contenta che il tempo diventi più mite, che torni la primavera, che fioriscano nuovamente gli alberi. Ovvero che Trump dopo le mattane diventi realista, o che l’Apparato di Washington che si immagina renitente ed ostile se ne sbarazzi. Addirittura alcuni propongono di sedurlo, il milionario, comprarlo con vantaggi economici, non è forse un mercante? E su quel terreno non ci batte nessuno…
È la gran moda della bassa corte politica, è la miscela riconoscibile a fiuto. Più goffi sono altri che, presi da crisi isteriche, imbastiscono elegie ipotetiche sui loro veri travagli: fanno sorgere cioè dal nulla un esercito fantasma, fanno credere che i miliardi possano creare come per magia armate affilate e resistenti. Un modo patetico per vedersi considerati e considerarsi come personaggi attivi. O impastano, a parole, un patriottismo continentale che dovrebbe trascendere e assorbire come bevendo una pozione magica quello delle ringhiose nazioni che compongono l’Europa; dotata quindi di uno statuto di potenza mondiale non solo economica ma anche politica, diplomatica e militare.
La realtà? I vertici dell’Unione, coloro che dovrebbero mettere in riga Trump e Putin, che fanno il pellegrinaggio a Kiev per dare ai tremebondi ucraini molta retorica a costo zero e un pacchetto di sanzioni, ovvero qualcosa di cui tre anni hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio la assoluta inutilità.
Sarebbe ora che l’Europa non buttasse sugli altri la colpa delle sue mancanze e delle sue debolezze. Tanto l’America quanto la Russia mettono in crisi tutto quanto è stata fino ad ora. Il rischio è di salvarsi solo biologicamente, di non esser più nulla e non dire più nulla. Sono decenni che gli europei credono a quello che può essere e poi non è mai.