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 2025  febbraio 27 Giovedì calendario

Il generale Battisti: “Perché l’Ue non può difendere da sola l’Ucraina, mancano armi e logistica”

Il generale: «Dopo il 1991 abbiamo tagliato i bilanci e smantellato tutto. Servono l’intelligence Usa, la rete Starlink e grandi aerei da trasporto».
Il generale Giorgio Battisti, lasciato il servizio attivo, è ora il presidente della commissione militare del Comitato atlantico italiano, un think-tank della Nato. Ha partecipato a missioni in Somalia, Bosnia, Afghanistan. Ha retto il Comando italiano di reazione rapida della Nato, dove confluiscono ufficiali di ogni nazionalità dell’Alleanza per essere pronti a inviare un contingente multinazionale all’estero. Quando sente parlare di missione solo europea in Ucraina, scuote la testa: «Al momento, senza il supporto americano può risultare difficile».
Ci spiega?
«Va premesso che una missione all’estero non è fatta solo di scarponi e fucili. E siccome noi europei ci siamo affidati al grande fratello americano per moltissimi anni, ci mancano letteralmente una serie di capacità strategiche. Capacità indispensabili, a cominciare dall’intelligence».
Qualche esempio?
«Quanti ne vuole. Solo gli americani dispongono di un sistema satellitare di osservazione e di comunicazioni adeguato. Non è un caso che in Italia si parli di contratti con la Starlink di Elon Musk: senza osservazione satellitare una missione “combat” diventa complicata. Aggiungo che solo gli americani hanno in quantità i droni militari da alta quota, sia da osservazione che da attacco».

Altre carenze?
«È molto limitata la flotta europea di cisterne volanti, i cosiddetti tanker, per rifornire in volo i jet da combattimento e consentirgli di operare alle lunghe distanze. E poi: grandi aerei da trasporto, genio militare che possa costruire velocemente e gestire una grande base dal nulla, aerei radar Awacs che sono della Nato ma con equipaggi in gran parte statunitensi. È una sovrastruttura indispensabile. Se poi si pensa a una missione “combat”, occorre una logistica all’altezza e un’industria alle spalle che garantisca un flusso adeguato di rifornimenti e munizionamento».
Perché questi problemi?
«Sono tutti assetti che noi europei abbiamo in limitata entità avendoli dismesso dopo la caduta del Muro. Ci mancano anche altre importanti capacità, apparentemente di scarso valore, ma in realtà fondamentali: in Ucraina ci sono 23mila corsi d’acqua tra grandi e piccoli e le nostre capacità di gettare ponti sono limitate. Per forza, per 25 anni ci siamo tarati sulle missione di “peace keeping” che erano più semplici».
Quindi è comprensibile che molti governi, quello italiano, ma anche il tedesco, pretendano l’appoggio, anche indiretto, americano.
«Certo. E sgombriamo il campo dal tema dell’articolo 5 del Trattato atlantico. Il Trattato vincola alla difesa dei confini esterni dei Paesi Nato. È evidente che l’Ucraina ne è fuori. Chi partecipasse a una missione in quel territorio non potrà mai invocare il Trattato. Altro è chiedere agli americani un aiuto che non preveda i loro soldati sul campo».
Le singole forze armate europee ce la farebbero a sfornare un contingente adeguato?
«Dipende dai volumi e dagli obiettivi. Il presidente Zelensky chiedeva un contingente di 200mila soldati, ma ciò è irrealistico. Siccome questi contingenti possono restare sul campo 6 o 8 mesi, altri li devono avvicendare, e quelli che smontano devono riposare e ricondizionarsi. Insomma, sarebbe necessario contare su 600mila soldati soltanto per l’Ucraina, ma gli europei non dispongono di così tanti militari. Pure il premier britannico era partito altissimo, offrendo 30mila dei suoi, cioè una mobilitazione di 90mila soldati, ma qualcuno gli deve aver fatto notare che l’esercito britannico non ha più di 70mila effettivi».

E allora?
«Inutile illudersi. Noi europei abbiamo sempre fatto affidamento sulla forza e sulla protezione americana. Dopo il 1991, poi, abbiamo tagliato decisamente i budget della Difesa. Le nostre industrie militari, per dire, hanno riconvertito gli stabilimenti che producevano munizioni. Invertire la tendenza adesso non è facile e non si fa d’improvviso».
Vedremo la Difesa europea?
«Io so che viviamo in un paradosso: nella Nato coesistono 32 Paesi, e di questi 29 sono europei, e ben 23 dell’Unione europea. Però quel che si riesce a fare dentro la cornice dell’Alleanza atlantica non si riesce con la Ue, che non ha una politica estera comune da cui discenda una politica di difesa condivisa. Non c’è nemmeno una struttura che faccia da quartier generale collettivo».
La provoco: se non c’è l’adulto americano, i ragazzi europei sanno solo litigare.
«Tra Nato e Ue ci sono procedure decisionali che sono simili soltanto in apparenza. Nella Nato si procede con il consenso, un processo ininterrotto di consultazione, e quando si arriva alla decisione è tutto concordato. Nella Ue si procede con l’unanimità, che è difficilissima da raggiungere. Tra consenso e unanimità c’è enorme differenza. Con la Nato è normale il “trasferimento di autorità” quando inizia una missione militare all’estero, pur con i caveat nazionali. Con la Ue è talmente complicato che non ci si è mai riusciti».