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 2025  febbraio 27 Giovedì calendario

Sophia e il tabù del ciclo sconfitto con l’amore

Quando ha realizzato il primo assorbente riutilizzabile per la sua giovane amica Teddy, semplicemente tagliando e ricucendo i pezzetti di una coperta, Sophia non avrebbe mai pensato che 15 anni dopo la sua idea sarebbe diventata un’impresa in grado di distribuire 6 milioni di confezioni di tamponi sanitari in oltre 30 Paesi tra Africa e Medio Oriente. «Sì, sono orgogliosa di questi risultati. Per una ragazza e una donna avere a disposizione gli assorbenti non è solo una questione igienica: poter gestire il ciclo consente alle ragazze e alle donne di partecipare più liberamente e attivamente a tutti gli aspetti della vita, a cominciare dalla frequenza scolastica»; la statunitense Sophia Grinvalds aveva 25 anni quando, nel 2008, dal Canada dove si era laureata in Ambiente e Sviluppo è approdata in un remoto villaggio ugandese con il fidanzato nel frattempo divenuto marito, Paul. Doveva essere un anno sabbatico, trascorso in varie attività di servizio, è diventato un “per sempre”. «C’era una ragazzina che incontravamo tutti i giorni alla fermata del pullman. Per una settimana non l’abbiamo più vista. Le abbiamo chiesto cos’era successo e lei ci ha risposto che aveva avuto la malaria», racconta Sophia ad Avvenire in videocollegamento dal Kenya, dove ora vive. Non era vero. Teddy non era malata, semplicemente aveva il ciclo e la sua famiglia, così come la maggior parte delle famiglie del villaggio, non aveva i soldi per acquistare gli assorbenti. Così Teddy, come le sue compagne, in “quei giorni” si arrangiava con pezzi di stoffa o di carta o foglie secche. Andare a scuola comportava la certezza di sporcarsi senza poter cambiarsi e di essere bullizzata. Sophia allora si mise a pensare a come aiutare Teddy: accumulare assenze a scuola aumentava la possibilità di perdere l’anno, di abbandonare gli studi, di sposarsi e diventare madre troppo giovane, di non acquisire mai una indipendenza economica… Sophia e Paul iniziano a ritagliare una coperta e a confezionare assorbenti lavabili e riutilizzabili, poi visto l’impatto positivo sulla vita delle ragazze del villaggio iniziano a sperimentare tessuti più idonei. Pian piano la produzione cresce e nasce AfriPads, impresa sociale che dà lavoro a decine di donne ugandesi e a milioni cambia la vita. «Il ciclo mestruale è un evento che accomuna le donne di tutto il modo. Io e Paul siamo diventati imprenditori sociali nel momento in cui abbiamo cercato di farlo diventare un’esperienza positiva – racconta Sophia -. È una questione di diritti umani e di equità. È stato come una luce che si è accesa: potevamo scegliere di agire oppure passare oltre. Noi abbiamo scelto di agire, e la cosa bella è che è stato tutto così casuale…». Sophia oggi è madre di due bambine, vive in Kenya, ha lasciato AfriPads dopo averla fatto crescere e ora è consulente del Sanitation and hygiene fund delle Nazioni Unite. È una giovane donna sottile, gentile, sorridente e si capisce che ad animarla è la passione per l’umanità. «Tutto è iniziato letteralmente con una coperta e un paio di forbici. Non c’era l’intenzione di creare un’impresa. No, ci siamo solo chiesti: come possiamo aiutare Teddy e le altre ragazze?». Poi le cose sono cresciute velocemente, ed è stato un bene perché «se stai troppo a pensare a tutti i rischi che fare impresa comporta, puoi rimanere paralizzato dalla paura». Sophia ha iniziato pensando alle alunne che saltavano la scuola perché non avevano soldi per gestire una cosa normale come il ciclo, ma poi si è resa conto che anche le ragazze fuori dalla scuola così come le donne adulte hanno il diritto di non esserne danneggiate nell’autonomia professionale e nella vita privata, di non essere vittime dello stigma delle mestruazioni, in qualsiasi luogo esse vivano e di qualunque reddito godano. «Più realizzavo l’enorme portata della sfida che avevo intrapreso, più mi sono sentita appassionata e determinata a realizzare il cambiamento. C’era molto lavoro da fare in Africa e a un certo punto abbiamo detto ai nostri genitori: smettetela di chiederci quando torneremo in Canada. Perché non abbiamo idea se lo faremo mai».