Il Messaggero, 27 febbraio 2025
Massimo Riccioli, il re del pesce che al Pantheon cattura le stelle: «Ho cucinato per Benigni, DiCaprio e Crowe. Schifano mi pagò con un quadro».
Massimo Riccioli, capelli allegri e disordinati, incarnato dispettoso, potrebbe sembrare scozzese. Invece è un purissimo “romano de’ Roma”, nato a Trastevere nel 1954, cresciuto a Garbatella, con deviazione al Casilino. È il simpatico proprietario e l’ineguagliabile chef di un delizioso locale di pesce della capitale: il ristorante è a due passi dal maestoso Pantheon, nel cuore della Roma più bella e carica di Storia. Quella di piazza Navona, Campo dei Fiori, piazza Colonna e piazza Venezia. Con la magnifica galleria Doria Pamphilj, l’Elefante del Bernini, la scenografica piazza Sant’Ignazio, i reperti di largo Argentina, le basiliche di Sant’Agostino e di santa Maria sopra Minerva, la Fontana della Rotonda. A pochi metri di distanza, antiche e preziose attività commerciali: il ristorante ritrovo della politica, i bar della tradizione gestiti dalla famiglia Di Rienzo, le specialità gastronomiche di Ansuini e Feroci, il caffè top a Sant’Eustachio, il vero ristorante italiano Archimede. Con vicoli che ospitano ancora qualche artigiano insostituibile malgrado i morsi letali della globalizzazione. Vedi il turismo sciamannato con fiumi di stranieri che addentano panini e gettano cartacce in terra, immaginando che in Italia funzioni così. No, non dovrebbe funzionare così, se non altro per rispetto a Roma, dove la grande bellezza e l’accumulo del tempo ricamano magie eterne.
Picaresco
Incontro Massimo Riccioli, nel suo ristorante. Inizia a parlare, con il suo romano purissimo, e capisco che la sua vita ha la dimensione letteraria di un romanzo picaresco. Luoghi, viaggi, persone, incontri, avventure. Massimo e le sue quattro sorelle nascono in un famiglia complessa: «Mamma e un padre assente – mi confida Massimo con una punta di malinconia – faceva il fotografo sportivo ed era sempre in giro per seguire il pugilato. Fu grazie a lui, però, che da piccolo conobbi il più grande boxeur di tutti i tempi, Sugar Ray Robinson. A ripensarci mi vengono i brividi». Quella vita famigliare difficile segna comunque il destino di Massimo: «In casa si mangiava in maniera strepitosa. Papà amava cucinare ed era un genio dei sapori. Senza saperlo ho imparato allora a conoscere i piaceri della cucina». Massimo studia e si diploma all’Istituto Nautico per diventare comandante di bastimenti commerciali. Non va così. Dopo il suo primo viaggio in mare Riccioli sbarca dalla nave e chiude la pratica: «Bastò un mese di navigazione per farmi capire che la mia vita doveva essere sulla terra ferma». Siamo negli Anni 60, il padre rileva il ristorante La Rosetta, con Mamma ai fornelli e lui a fare l’oste chiacchierone con i clienti. È un locale innovativo: il primo a cucinare il pesce a Roma non solo il venerdì, ma tutta la settimana. Massimo ci lavora come cameriere. Dura poco perché i dissidi con il genitore si acuiscono e lui molla il lavoro famigliare. Trova un modesto impiego come assistente falegname in una piccola fabbrica di camper: «Ero d’animo comunista e la dignità del lavoro era il mio scopo». Ma anche questo intermezzo è breve.
La Folgorazione
Un giorno, Massimo va al cinema e vede Effetto Notte di Truffaut, la storia di una troupe durante le riprese di un film. Massino resta folgorato: «Capii che quello che volevo fare era il cinema». Detto fatto. Dopo un breve tirocinio in un’azienda di macchine da presa viene chiamato a fare l’assistente operatore dal grande direttore della fotografia Pasqualino De Santis, quello di Visconti, Rosi e Scola, il numero uno.
Fino all’inizio degli Anni 80, Massimo gira tantissimi film, viaggia, impara la vita e si nutre della magia cinematografica. Poi, il suo vero destino bussa alla porta: La Rosetta è in declino e lui decide di riprenderla in mano. Da qui inizia la sua sfavillante carriera nel mondo della ristorazione. Perché Massimo si mette ai fornelli, e da autodidatta. Studia, si informa, assaggia in giro, diventando il primo grande cuoco di pesce in Italia. Mi racconta: «Puntai sulla massima qualità. Andavo a comprare il pesce migliore ad Anzio, Terracina, Argentario, Fiumicino. Era talmente fresco che un giorno iniziai a servirlo crudo, appena insaporito. Fui il primo a farlo in Italia. I risultati arrivarono presto. La borghesia romana faceva la fila, e con i borghesi vennero gli artisti. Benigni, Mastroianni, Sean Connery, DiCaprio, Harrison Ford, Woody Allen, Russell Crowe con il quale sono diventato amico. Venivano anche i grandi pittori. Boetti amava la zuppa di pesce. Mario Schifano si faceva portare il pesce a casa. Una sera mi pagò con un quadro che tengo appeso nel ristorante. Venivano i politici, tutta la Dc, poi i socialisti. E poi tante belle donne, comprese molte di quelle che “lavoravano la notte” a via Veneto. Io cucinavo e intrattenevo. Non volevo un ristorante con la puzza sotto al naso, ma l’atmosfera da trattoria. Ho avuto un grande successo. Nel 1999 aprii Riccioli Café in via delle Coppelle, prima posto in Italia a servire ostriche. E per un breve periodo ho aperto anche un ristorante a Londra. Ricordo la sera quando cucinai per Johnny Depp, Tim Burton e la sua bellissima moglie Helena Bonham Carter. Una cena indimenticabile».
Il Segreto
Ma qual’è il segreto della cucina di Massimo Riccioli? Ingredienti eccellenti, talvolta anche costosi, esaltando i sapori in maniera decisa. Grigliare scottando appena. Unire pesce e verdure. Tutto sempre espresso. Il suo menù ideale è: antipasto di calamari, seppioline e carciofo, primo piatto, pasta di farro con calamaretti scottati, fiore di zucca e colatura di alici. Mi dice: «Sapori apparentemente “non protagonisti” ma che un bravo regista in cucina fa diventare protagonisti». Infine, scampi grandi grigliati. Come dire: la semplicità. E in questa semplicità Massimo Riccioli raggiunge il massimo. Gli chiedo: «Ma lei si sente un bravo cuoco?». E lui ride, scherzando. «So’ er mejo».
La Famiglia
Riccioli ha avuto un bellissimo figlio da una prima moglie e due figlie stupende, più una acquisita, dalla seconda, Julia, tedesca, artista. È un papà affettuosissimo. Ha un sorriso contagioso. E sprizza simpatia intelligente. Oggi, però, è stanco della mediocrità che lo circonda. Mi dice: «Il centro di Roma è in mano a orde di barbari. Basta, forse alla mia età ricambierò vita. Un ristorante più piccolo con pesce povero e verdure. Se ci riesco sarebbe la vera felicità». E chiude, ridendo, raccontandomi un fatto vero legato alla storia del suo ristorante. È il finale de I soliti ignoti, quando i ladri, sperando di entrare in un Banco dei Pegni, sfondano un muro ma si ritrovano nella cucina dove uno della banda sta mangiando. Il ladro Marcello Mastroianni commenta: «Abbiamo fatto la fine der cuoco della Rosetta». Massimo ride di nuovo: «Il ristorante La Rosetta già esisteva nel 700. Il cuoco era un laido strozzino e un giorno fu trovato ucciso con un supplì schiacciato nelle parti posteriori. Come dire: chi esagera se lo ritrova in quel posto». Che meraviglia la memoria romana. Che meraviglia Massimo Riccioli.