Il Messaggero, 27 febbraio 2025
Papa Francesco, il cardinale Edoardo Menichelli: «Nella sua malattia rivediamo la fragilità e la testimonianza di Wojtyla»
Ogni mattina, da tredici giorni in qua, dal santuario della Beata Vergine dei Lumi che si trova a San Severino Marche, un paese in provincia di Macerata, la gente si raccoglie attorno al cardinale Edoardo Menichelli per fare il tifo per la guarigione di Papa Francesco. «Le buone notizie le accogliamo con grande gioia e speriamo diventino guarigione. La preghiera è qualcosa di potente, sa?». I medici non hanno ancora sciolto la prognosi.
«Noi ci sentiamo uniti a tutta la Chiesa che in questo momento chiede misericordia a Dio. Il Papa – che è principio visibile di unità – non deve percepire che in questo momento complicato è da solo».
Al decimo piano del Gemelli, nella sua stanza, però lo è...
«Fisicamente lo è per ovvie ragioni, sta da solo nel reparto con i medici e gli infermieri, ma nella sua dimensione della malattia percepisce certamente che chi lo ama gli è accanto, come se gli stesse facendo compagnia. È una vicinanza spirituale eppure concreta. È un filo immateriale tuttavia visibile e lui sta dando una grande testimonianza».
Quale?
«Sono convinto che in questo momento storico la Chiesa intera rivive la testimonianza di un altro pontefice, mi riferisco a San Giovanni Paolo II che ha mostrato a tutti la sua fragilità durante i suoi ricoveri al Gemelli».
Il primo ricovero fu nel 1981, dopo l’attentato. Al santuario di Fatima, anni dopo, Wojtyla disse di essere stato salvato da un miracolo, era convinto che mentre una mano sparava, un’altra mano più potente, deviava la traiettoria della pallottola. Un micron oltre e sarebbe certamente morto.
«È stata una grande testimonianza di fede per tutti coloro che soffrono. Oggi, allo stesso modo, vediamo che Francesco vuole che si sappia ogni particolare delle cure per la polmonite. Fa capire si deve accettare sempre la fragilità fisica, includendo anche l’intera dimensione della dignità della persona umana».
Dal letto di ospedale continua a governare.
«Altro segnale per la Chiesa è la testimonianza al servizio generoso e continuo che fa».
Che segnale secondo lei ha voluto dare nella convocazione di un concistoro per i cardinali legato alle nuove canonizzazioni?
«Significa che guarda avanti con speranza. Cosa molto utile per la Chiesa intera».
In questi giorni si sono rincorse fake news sulla sua salute, secondo lei perché?
«Di voci malevole non ne voglio parlare, non voglio entrare in questa verbalità sciocca, inutile e dannosa».
Per un cristiano arrivare ad augurare la morte a qualcuno non è una contro testimonianza grave?
«Questa verbosità sparsa è una malevolenza. Il peccato lo giudicherà il buon Dio».
È vero che anche lei ha avuto una polmonite?
«Eccome. Correva l’anno 1958».
Cosa ricorda?
«Quando si hanno malattie da giovani si ricorda ben poco. Mi resta chiaro che in quell’anno dovevo entrare in seminario. Cosa che poi avvenne una volta guarito. Quella malattia la considero una specie disavventura a lieto fine».
Diedero l’ossigeno pure a lei?
(Ride) «All’epoca non c’erano le terapie avanzate disponibili oggi. Le cure erano certamente meno efficaci e più deboli. Mi facevano continuamente delle punture. Pensi che non mi curarono nemmeno in ospedale perché allora non ci si andava».
Fu medicato a casa?
«In quei tempi si usava così».
Ha sofferto molto?
«Certo che sì, ma non ho un ricordo circoscritto. Del resto quando si è giovani non si pensa alla dimensione della malattia. Pensavo semmai a sbrigarmi a guarire e riprendere gli studi in seminario. Non avevo nemmeno la percezione della solitudine visto che ero ben custodito dai miei nonni».
Cosa vuol dire per lei unità della Chiesa?
«È il risultato più diretto del comandamento che ci ha lasciato Gesù, amatevi gli uni gli altri».