la Repubblica, 26 febbraio 2025
Israele, tra la folla che dice addio ai piccoli Bibas. Il padre ai funerali: “Non vi ho protetto”
Il Paese si ferma per ricordare i due bambini uccisi da Hamas con la mamma. Papà Yarden: “Perdonatemi, non ho saputo proteggervi”.
“Shiri, mi amor”. La voce tremante di Yarden Bibas spezza il silenzio che avvolge Israele, entra sottopelle. È il giorno dell’addio a sua moglie, ad Ariel e Kfir, i suoi bambini dai capelli rossi che avevano rispettivamente quattro anni e nove mesi quando sono stati rapiti da Hamas nel kibbutz Nir Oz il 7 ottobre. L’ultima loro immagine è fatale: Shiri li stringe in una coperta provando a proteggerli dai miliziani armati, ha gli occhi sgranati dal terrore. Adesso Ariel e Kfir non sono più solo i Bibas, sono i figli di Israele. Un’intera nazione è in lutto, in migliaia scendono in strada per stringersi intorno alla famiglia martire e presidiare la strada che da Rishon Letzion, una cittadina a sud di Tel Aviv, arriva fino al kibbutz dell’orrore, circa cento chilometri di distanza. Un uomo intona a bassa voce l’inno israeliano, ragazze avvolte nella bandiera con la stella di Davide accendono candele ai lati della statale. A centinaia si radunano sul ponte a cavallo dell’autostrada che collega il nord e il sud. Tanti indossano magliette arancioni, il colore diventato simbolo dei Bibas, come arancioni sono i palloncini che si liberano al cielo e i tulipani distribuiti alla folla con tutta la radice, in un messaggio di speranza: un giorno rinasceremo.
Il pianto di Yarden: “Perdono, non sono riuscito a proteggervi"
Dal furgoncino blu che trasporta le salme Yarden Bibas disegna con le mani il gesto di un cuore, come l’emoticon che mimano i ragazzini. “Yarden si dispiace di non potersi fermare e abbracciare ognuno di voi – è il messaggio della famiglia – Grazie di essere qui. Non vediamo l’ora che arrivi il giorno in cui potremo di nuovo riunirci nella gioia e non nel dolore.
L’epopea tragica di questo giovane uomo, israeliano-argentino, ha segnato l’anima di Israele. Sopravvissuto 480 giorni nelle tenebre di Gaza, ne è uscito emaciato, rotto. Ha scoperto solo dopo che la sua vita era stata rasa al suolo, che Shiri, Ariel e Kfir non sarebbero più tornati. “Non siamo mai stati così vicini da quel giorno, eppure non posso baciarti, non posso abbracciarti Shiri”, dice davanti alla fossa scavata per accogliere la bara, una sola, perché mamma e bambini verranno sepolti insieme, mai più separati. Racconta Yarden, con la kippah arancione in testa e le margherite dello stesso colore sul leggio. “Ricordi la nostra ultima decisione? Nella stanza di sicurezza, ti ho chiesto se dovevamo “combattere o arrenderci”. Hai detto combattere, quindi ho combattuto. Shiri, mi dispiace di non aver potuto proteggervi tutti. Se solo avessi saputo cosa sarebbe successo, non avrei sparato”.
Il lieve brusio della piazza si spegne quando al microfono arriva Dana Silberman, la sorella di Shiri. Ricorda quando da bambine “lei voleva pulire il tavolo, io mi ci sdraiavo. Voleva guardare la televisione, io mi sentivo improvvisamente obbligata a ballarci davanti”. Chiede perdono “a nome della nostra leadership e dei militari che non erano lì per te quel giorno, e che hanno impiegato così tanto tempo per riportarti nella tua terra natale” e manda un messaggio ai suoi killer: “I mostri oltre la recinzione non riusciranno nella loro missione. Non ci sconfiggeranno, non ci spezzeranno. Al contrario, la loro missione è fallita perché ci siamo uniti, perché siamo diventati più forti, perché siamo diventati invincibili. Hanno perso”.
Le polemiche sui cadaveri
I resti di Shiri, Kfir e Ariel erano stati restituiti a Israele da Hamas la scorsa settimana con un balletto macabro che ha visto persino le bare dei bambini esposte sul solito palco della propaganda a Gaza. Una prima salma spedita non era quella della donna, solo dopo diverse ore i miliziani hanno consegnato il cadavere giusto. Neppure il rientro in patria è stato privo di tensioni. Il governo ha diffuso diversi dettagli sulla morte dei bambini, accusando Hamas di averli ammazzati con le sue stesse mani, in una guerra di propaganda in cui nessuno può conoscere la verità. È anche per questo che la famiglia Bibas ha chiesto al premier Netanyahu e ai militari di non diffondere più dettagli sulla morte di Shiri e dei suoi figli. Volevano un funerale privato, hanno aperto alla possibilità di una diretta video perché come tutti in questa terra sanguinante avevano hanno bisogno dell’abbraccio della propria gente.