Corriere della Sera, 26 febbraio 2025
Amazon, cosa sa di noi? Così i dati che cediamo condizionano la concessione di mutui e prestiti
Cosa sa Amazon di noi? E poi come usa queste informazioni? Per rispondere alla prima domanda, uno dei giornalisti di Dataroom ha chiesto al colosso dell’e-commerce di inviargli tutto ciò che conserva sul suo conto. Obbligata dal regolamento sulla protezione dei dati in vigore dal 2016 in tutta l’Ue, Amazon risponde in pochi giorni con una email che contiene 114 cartelle, 1.242 file e decine di migliaia di dati raccolti a partire dal 2014, quando il collega ha fatto il primo acquisto. Nei file non c’è solo l’elenco dei prodotti che ha acquistato, ma una «radiografia» completa: i modelli di computer e di telefonino che usa, i prodotti cercati o anche soltanto guardati, le fatture, le foto, le chat scambiate col servizio clienti, le canzoni ascoltate con Amazon Music, i film visti su Prime Video, gli estremi delle carte di credito e dove si trovava quando le ha usate. Ad analizzare 90 megabyte di materiale, ci pensano Bruno Scarpa ed Emanuele Aliverti del Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova. Quali dati memorizza
Intanto per mettere mano alle informazioni personali serve il consenso, e se vuoi utilizzare i servizi offerti da Amazon devi prima autorizzare Amazon a mostrarti annunci pubblicitari e a «identificare le tue preferenze» sulla base dei dati che tu stesso fornisci tutte le volte che, ad esempio, scorri le offerte o chiedi qualcosa ad Alexa.
Il principale sito di e-commerce al mondo arriva così a ottenere due tipi di informazioni sul nostro conto:
1) le informazioni certe: nome, età, indirizzi di casa e lavoro, numeri di cellulare e la nostra posizione geolocalizzata. Tra i dati che Amazon ci ha inviato, compaiono quelli di familiari e amici: è sufficiente quella volta che abbiamo fatto recapitare loro un regalo perché i server della società conservino i loro riferimenti, anche se non sono mai stati clienti.
2) le informazioni presunte, che ottiene elaborando i dati anche con l’impiego dell’intelligenza artificiale: è partendo da come spendiamo i nostri soldi che Amazon riesce a ipotizzare, con una buona dose di certezza, interessi, passioni e stili di vita. Dai consumi del collega di Dataroom, ad esempio, gli esperti dell’Università di Padova hanno dedotto decine di aspetti della sua vita privata: che ha una bambina, dove e quando è andato in vacanza, che ha cambiato casa di recente e qual è, grossomodo, il suo reddito familiare.... Si chiama «profilazione».
Come usa i miei dati
Mettiamo di comprare delle scarpe attraverso la piattaforma: Amazon guadagna una percentuale dal nostro acquisto (in genere tra l’8 e il 15% del prezzo del prodotto), ma ben di più da tutte quelle aziende che pagano perché Amazon proponga le loro scarpe prima delle altre. La vendita di pubblicità è un business da oltre 50 miliardi di dollari che, con la sua crescita vertiginosa, è trainante per l’impero di Bezos.
È interessante capire come funziona il meccanismo: chi fa pubblicità, paga solo se l’utente clicca sull’annuncio. Quindi è evidente che più l’annuncio è «costruito su misura» per il cliente, maggiori sono le probabilità di guadagno per Amazon. Profilarmi serve quindi a inserirmi in gruppi (i «target») di pubblico simili tra loro per età, per stili di vita e interessi, ai quali proporre la pubblicità «giusta». Dataroom ha potuto vedere l’elenco dei target nei quali Amazon ci incasella, e le possibili combinazioni sono migliaia. Qualche esempio: fanatici della moda («fashionisti»), appassionati di calcio, ecologisti, possessori del tal modello di auto (suddivisi anche per tipo di carburante ed età del proprietario), insegnanti, hipster, genitori «attenti all’educazione di figli adolescenti», chi ha cambiato casa negli ultimi tre mesi, consumatori di snack, acquirenti ad alto prezzo, compratori di regali, interessati alle app di giochi di ruolo, nativi digitali, appassionati di jazz…
Amazon vende i miei dati?
Quindi il vero tesoro di Amazon non sta nei prodotti che ci propone ma nelle miliardi di informazioni che possiede su di noi. Per questo, ha tutto l’interesse a tenersele strette: a differenza di quanto fanno i data-broker (vedi Dataroom del 13 settembre 2023), per contratto Amazon si impegna a non vendere i miei dati. Autorizza invece 96 società (motori di ricerca come Google, social network come Facebook, e soprattutto società pubblicitarie) a usare dei cookies che rilevano alcuni dati come l’indirizzo IP e la localizzazione dell’utente, soprattutto per misurare le prestazioni pubblicitarie, ma nessuno – assicurano – può usarli per identificarci o creare target da rivendere all’esterno. Almeno fino a oggi funziona così, per il futuro non è detto. È la stessa azienda ad avvertirci: «Qualora Amazon.com o, sostanzialmente, il suo patrimonio aziendale venissero acquisiti da terzi, i dati personali relativi alla clientela rientrerebbero naturalmente tra i beni trasferiti». Certo, il cliente sarà sempre libero di non accettare le nuove condizioni d’uso, ma potrebbe voler dire non fare più acquisti sulla piattaforma.
Non pago? Ci rimetto il mutuo
Amazon è invece molto interessata ai nostri soldi, a sapere quanti siamo disposti a spenderne e quanti ce ne rimangono in tasca. Per scoprirlo ha a disposizione le informazioni sugli strumenti di pagamento che utilizziamo (a cominciare dalle carte di credito), sui buoni regalo, la fascia di prezzo alla quale appartengono i prodotti che generalmente scegliamo, le preferenze di valuta... E se ha dei dubbi si riserva la possibilità di attingere i dati dalle «centrali rischi» che misurano la nostra affidabilità creditizia. Tutto questo lo fa per evitare truffe e per decidere se farmi accedere al suo sistema di rateizzazione, che è sempre più diffuso, specie tra i giovani e durante il Prime Day. In Italia, per pagare a rate gli acquisti superiori a 100 euro Amazon propone il servizio CreditLine che affida alla finanziaria francese Cofidis: tutte le volte che apriamo un finanziamento, Cofidis lo dice a Experian Italia, Crif e Ctc, tre società che gestiscono enormi banche dati di informazioni creditizie (Sic) su ciascuno di noi, e quindi sanno se abbiamo sempre saldato i nostri debiti, e con quale regolarità. E ci danno un «punteggio predittivo», che dice se siamo o meno affidabili. Experian, Crif e Ctc cedono queste informazioni a banche, finanziarie e società di leasing che devono decidere se concederci o meno del credito. In pratica: io compro su Amazon ma i soldi li anticipa Cofidis, se però poi non pago (o se a furia di acquisti mi indebito troppo in proporzione a quanto guadagno) finisco per essere classificato come un pagatore a rischio. «Il tuo score – avvertono da Experian – può influenzare le possibilità di attivare carte di credito, finanziamenti, mutui, forniture di energia e gas, assicurazioni, contratti di noleggio».
I rischi della profilazione
Nella società dei consumi, noi siamo ciò che compriamo. Per questo, analizzando acquisti e comportamento on line, si può scoprire molto più del patrimonio di una persona. «Ad esempio – avverte il prof. Scarpa – si potrebbe ipotizzare se ha una malattia, se è più propensa a votare a Destra o a Sinistra, o se ha un’amante. Tutto questo in Europa, grazie a una norma all’avanguardia che dà sempre l’ultima parola al cittadino, non si può fare e quindi, salvo si verifichi una “fuga” di informazioni, possiamo stare tutto sommato tranquilli». Resta un problema etico sul quale gli esperti si interrogano da tempo: «L’algoritmo “decide” chi siamo e tenta così di prevedere i nostri comportamenti classificandoci in modo molto sofisticato. Amazon ci propone degli acquisti in linea con l’idea che l’algoritmo s’è fatto di noi, giusta o sbagliata che sia. Questo – conclude Scarpa – finisce con il tenerci dentro a una bolla fatta sempre degli stessi prodotti collegati tra loro e che, in definitiva, ci spingono a diventare esattamente come l’algoritmo ci immagina».