il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2025
Londra si riarma: 3% del Pil in 4 anni E Berlino ci mette altri 200 miliardi
Starmer domani da Trump. Accordi, Merz spinge scholz allo stanziamento. Domenica summit in Inghilterra.
Alla vigilia della visita ufficiale di domani alla corte di Donald Trump, il primo ministro britannico Keir Starmer è in una posizione particolarmente complessa. Deve mantenere almeno l’illusione della “relazione speciale” del Regno Unito con gli Usa; rafforzare il rapporto con l’Unione europea compromesso dalla Brexit: non tradire l’impegno di supportare l’Ucraina, e del resto nel paese il sostegno a Kiev non è mai stato oggetto di dibattito né in Parlamento né nelle piazze. Il salto carpiato è evidente in questa dichiarazione, ieri ai Comuni: “Con gli Usa abbiamo combattuto fianco a fianco, e siamo partner strettissimi nel commercio, crescita e sicurezza. Voglio che questa relazione non faccia che rafforzarsi. Ma la sua forza, nel mondo attuale, dipende anche da una nuova alleanza con l’Europa”. Quell’Europa da cui il Regno Unito è uscito con il referendum del 2016, e a cui ora, almeno finché dura il trumpismo, deve urgentemente riagganciarsi, almeno per la difesa comune contro la Russia rinvigorita dai nuovi equilibri. Starmer ha concordato con il francese Macron di presentare a Washington un fronte unito sull’Ucraina, e domenica ospiterà a Londra un summit con i partner europei.
Tutto questo in un contesto di grave crisi economica; e il suo Labour ha vinto le elezioni promettendo di sanarla. Starmer ieri ha annunciato la sua strategia: alzare la spesa per la difesa dall’attuale 2.3% del Pil al 2,5% già dal 2027, 13.4 miliardi di sterline in più – al 2.6% con gli investimenti in intelligence – con aumenti annui e l’obiettivo del 3% dal 2029. Starmer lo chiama “combattere per la pace” e ammette che l’arrivo di Trump ha “accelerato” la scelta. I soldi, ha dichiarato con rammarico, che verranno da un taglio del 40% al budget della cooperazione, dallo 0,5 allo 0,3%. In sintesi, Londra destinerà all’Ucraina quasi la metà delle risorse che sostengono il suo soft power nel resto del mondo. Ma, secondo l’autorevole think tank Institute for Fiscal Studies “se la spesa per la difesa deve superare il 2,5% del Pil, i tagli agli aiuti (6 miliardi) non basteranno. Il 3% del Pil (13 miliardi) significherà scelte difficili e sacrifici: “o tasse più alte, o tagli ad altre aree del governo”. Nel suo discorso Starmer ha accennato a una mobilitazione collettiva, il Defence Reform and Efficiency Plan, che pare evocare l’economia di guerra: “Tradurremo la spesa per la difesa in crescita britannica, posti di lavoro britannici, competenze britanniche, innovazione britannica; utilizzeremo pienamente i poteri del Procurement Act per ricostruire la nostra base industriale”. Un’ipoteca sulle prossime elezioni, con Reform di Nigel Farage, l’alleato di Trump, già al galoppo nei sondaggi. A proposito di voto, il futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz vuole che l’attuale governo stanzi 200 miliardi di euro per la difesa prima del suo insediamento. Secondo Bloomberg, avrebbe avviato colloqui con i socialdemocratici per approvare rapidamente spese straordinarie. La cifra è significativa: il doppio di quanto stanziato tre anni fa dal cancelliere uscente Olaf Scholz, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina. In entrambi i casi, i fondi sarebbero esclusi dalla Finanziaria e soggetti a un voto con maggioranza qualificata. La mossa di Merz rappresenta un’accelerazione e sarà il primo banco di prova per una possibile coalizione nero-rossa. Attualmente, socialdemocratici e verdi governano in minoranza, ma con il sostegno della Cdu e dell’Fdp avrebbero i voti per aggirare il freno al debito. La situazione cambierà con l’insediamento del nuovo parlamento: la somma dei seggi di Afd e Linke consentirà loro di bloccare qualsiasi emendamento costituzionale che richiede una maggioranza qualificata. Merz punta a un cambio di passo e cerca l’interlocutore giusto nell’Spd. Con ogni probabilità, il riferimento per il dossier della difesa sarà l’attuale ministro Boris Pistorius, che è riuscito – compito non facile – a consolidare la propria posizione con rapporti solidi con l’industria militare e gli omologhi Nato.