il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2025
Chouchani,“clochard” di genio. Maestro di Wiesel e Lévinas
«Il santo a volte si comporta come un comico», ma chi è davvero Monsieur Chouchani, il santo o il comico? Tra le menti più brillanti e oscure del 900, amico di Einstein, maestro di Lévinas e Wiesel, l’intellettuale è in primis talmudista e matematico, camuffato sotto plurime identità e vestiti da clochard… Prova ora a decrittare l’enigma Sandrine Szwarc con la monumentale biografia Chouchani – Il maestro inquieto, in libreria da venerdì coi tipi di Mimesis.
Chouchani – cioè colui che viene da Susa – si fa passare ora per rav ora per prof, o chiamare Mordechai Soussan, Rosenblum, Ben-Shoushan… Dice di essere nato a Marrakech, ma anche a Vilnius, a Calcutta, a Firenze o in Cina. Il suo nome più probabile è Hillel Perelman – forse avo di quel Grigorij che ha poi risolto la congettura di Poincaré, uno dei Millennium problems –, nato nel 1895 a Brest-Litovsk, nella Bielorussia d’influenza lituana, come lituano è il suo metodo di insegnamento di Torà, severo, razionale, privo di fede e pathos: «È un duro. Distrugge tutto. Sta sempre a dimostrare che gli studenti non sanno nulla… un disastro educativo». Di fronte alla scena muta degli allievi, anche su un singolo versetto, si inalbera: «Idioti, qui ci sono almeno cinquanta problemi». Ma lui è stato un bambino prodigio: a 4 anni legge la Bibbia e da adolescente è ammesso alla scuola del grande rav Kook a Giaffa. Sono gli anni 10 e questo déraciné già viaggia tra la Palestina e New York, incontrando i due giganti dell’ebraismo del tempo: Kook, appunto, e Menachem Mendel Schneerson, alias il Rebbe di Lubavitch, con cui ha «dibattiti burrascosi» epperò l’onore di essere sepolto con un suo scialle. Monsieur, successivamente è in Europa, scampando alla deportazione: nella Parigi della Liberazione fa da trait d’union tra Oriente e Occidente; ne sono consapevoli persino i deprecati studenti: «Dovevamo essere introdotti alla vita moderna: andare in Terra Santa o raggiungere un cugino a Brooklyn». È Léon Askénazi, alias Manitou, a chiamarlo a insegnare, benché poi finisca anch’egli per litigarci e cacciarlo. Finché, nel 1955, Chouchani salpa alla volta dell’Uruguay: muore a Montevideo nel gennaio del 1968, come un saggio, dicono alcuni, come uno scaccino, ovvero un inserviente del tempio, sussurrano altri. La leggenda è alimentata pure dai suoi discepoli illustri, come Elie Wiesel che gli scrive l’epitaffio per la tomba salvo poi «incontrarlo» post mortem alla Sorbona nel maggio ’68 sulle barricate con gli studenti. Appunta il Nobel per la Pace: «Il mio maestro sa tutto, troppo. È lo straniero, la minaccia, la promessa». Quando s’imbatte in Emmanuel Lévinas riconosce subito in lui il “marchio” comune di Chouchani. «Gli devo tutto – confida il filosofo – e allo stesso tempo ce l’ho con lui, al cui confronto noi non siamo niente… È stato lui a insegnarmi a soffiare sul testo in modo che si accenda», un pensatore radicale di caratura pari a Husserl e Heidegger, mentre per Haim Baharier è questo «clochard selenico a darmi il coraggio di guardare dentro di me». Per le lezioni di Perelman si scomodano termini come «incantesimo, pensiero profondo, trucchi del mago»: qualcuno lo scambia per il profeta Elia o per il Messia, Socrate, Mozart, Leonardo; altri addirittura ne fanno uno dei 36 Giusti nascosti su cui poggia il mondo intero. Genio trasandato, dall’intelligenza fine e dalla memoria straordinaria – solo il Talmud conta due milioni e mezzo di parole e il maestro spiega senza libri –, parla di tutto, dall’yiddish al tedesco, e ha letto di tutto, dai Veda alla Qabbalah, dai versi di Virgilio ai trattati di Galilei. La sua cultura spazia dalla fisica alla metafisica: è un ebreo errante, insegna, terrorizza, inquieta, ma non prega, attirandosi critiche e malelingue di «diabolico, eretico, miscredente, cristiano… Tiene un rosario in valigia… Ha preso in prestito i rotoli sacri dalla scuola e nessuno l’ha più rivisto. Probabilmente li ha rivenduti». Monsieur disprezza i rabbini, preferisce Molière al sentimentale Shakespeare e «ama la Torà, al di là del patetico, più di Dio, patetico». È «strano; si sdraia su un tavolo o sul letto e fa lezione; è un cattivo pedagogo; ama avere ragione; si comporta come un barbone; va in sinagoga con la cravatta e senza camicia; è un originale, un nevrotico, un autistico, una meteora; indossa un cappello floscio e scarpe spaiate; mangia semi che tira fuori dalle tasche del cappotto logoro; dà spettacolo; sembra un clown, un acrobata della conoscenza; è un agitatore, un folle, un disturbatore, uno di cui avere paura, un artista, un selvatico, un circense, un giocoliere; quando studia, piange; ha una specie di tempesta interiore nell’anima».
Proverbiali e misteriosi sono anche i suoi aforismi: «Il dovere del discepolo è seguire il suo maestro, non copiarlo… L’uomo si definisce in base a ciò che lo inquieta, non a ciò che lo rassicura… Bisogna rispettare il Talmud quando è chiuso, ma essere impertinenti non appena lo si apre». Oltre alle chiacchiere, di Chouchani resta una quarantina di quaderni sparsi in giro per il globo ma indecifrabili, scritti in formule matematiche e in paleo-ebraico. E resta il segreto, ovviamente, «quel segreto che lo consumava o forse lo proteggeva da un’umanità malata».