La Stampa, 26 febbraio 2025
L’economista Kriticos: Germania in crisi di manodopera
«Lo stop del gas a basso costo venduto dalla Russia non è certo il più grande problema. La Germania è un Paese malato, in una situazione peggiore di vent’anni fa». Per capire le ragioni che hanno portato a questa crisi sistemica, Alexander Kritikos, docente di Economia all’Università di Potsdam e membro del comitato esecutivo del Diw (Istituto economico tedesco), dice che bisogna andare indietro di 15 anni. È lì che si sono originati i blocchi della mancata crescita di oggi – per il terzo anno, Berlino affronta la stagnazione –, tanto da frenare quella che con l’Agenda 2010 era tornata ad essere la locomotiva d’Europa.Professore, siamo tornati a vent’anni fa, al Reformstau, lo stallo delle riforme, quando Schröder si inventò la famosa Agenda 2010, il piano di riforma del welfare e del mercato del lavoro?«Il Paese è di nuovo malato, ma si può dire che questa volta la crisi è molto più sostanziale che nel 2003, quando si fece una riforma del mercato del lavoro e si era ricominciato a crescere. Ora, servono riforme più drastiche. Non so neanche se i politici sono pronti a queste ricette».Friedrich Merz si dice orientato a rivedere il freno all’indebitamento. Un Paese che ricorre al deficit per uscire dallo stallo, in pratica. È una cura per la Germania?«Le soluzioni sono chiaramente tre: fare più debito o ridurre i consumi, cosa impossibile, oppure tasse più alte, che non sono una strada, visto che i partiti promettono, piuttosto, di abbassarle. E questo serve».Dunque?«Serve mettere mano alla previdenza sociale, tagliando le pensioni, cioè alzando l’età in cui smettere di lavorare fino ai 70 anni».Una misura di certo impopolare. Ma come si è arrivati fin qui?«Bisogna tornare indietro di 15 anni, dopo la crisi finanziaria. Allora la Germania affrontava un grande boom economico rispetto al valore della sua industria. Aveva acceso il motore dell’export e tutto andava benissimo. Poi, sono successe due cose».Ci dica.«La prima è una regolazione europea che è capitata addosso alle aziende, sono arrivate 14 mila nuove norme, soprattutto negli ultimi 5 anni, con una burocrazia eccessiva, fatta male e spesso anche messa in pratica male dai tecnici, che è diventata un peso molto importante da sostenere. Questo ha inciso sui costi di produzione, e ha portato a delocalizzare: nell’Est Europa, in Svizzera, in Cina, in Polonia, in Romania o negli Stati Uniti. Subito non si chiude la casa madre in Germania, ma pian piano sì».Poi?«Negli ultimi 5 anni siamo arrivati ad una situazione insostenibile per quanto riguarda il reperimento della forza lavoro specializzata. C’è un grande problema demografico, il saldo tra chi entra nel mercato e chi va in pensione è di 300-400 mila persone. Negli ultimi tempi, la migrazione non ha colmato il gap. In questo momento, mancano 1 milione di persone, di lavoratori».Ma sulla migrazione, Merz non è disposto ad allentare le maglie, anzi le vuole restringere.«È un tema che molti partiti continuano a non capire. Serve una riforma della migrazione che tenga conto davvero di queste cifre. Dal 2021, le imprese non hanno il potenziale per crescere. Poi, c’è un problema di infrastrutture, che sono in pessime condizioni, a partire da quella digitale. Negli ultimi 15 anni non si sono investiti soldi per migliorare ponti, strade, infrastrutture. La spesa serviva per pensioni, sicurezza sociale, sanità, assistenza».Di che cifre parliamo?«Nei prossimi 5-10 anni dovrebbero essere investiti 600 miliardi».E il gas russo? Quanto ha inciso?«Non è il più grande problema. Senz’altro, la politica deve lavorare a soluzioni alternative. Ma più gravose sono, per esempio, le tasse per le aziende, che facendo paragoni con altri Paesi, dovrebbero essere ridotte del 25%. E poi occorre una riforma radicale della burocrazia, sul modello dei Paesi nordici».Come valuta una Große Koalition?«Temo che potrebbe portare di nuovo a uno stallo. La guerra sarà come finanziare la spesa aggiuntiva. Nessun partito, finora, ha messo sul tavolo il fatto che abbiamo un problema demografico. Nel 2003, il Presidente Herzog diede una spinta con un appello molto forte, che portò all’Agenda 2010 con l’Hartz IV e le altre misure sociali e del mercato del lavoro. Oggi, non vedo questa spinta».L’AfD auspica addirittura l’uscita dall’euro e il ritorno al marco. Cosa significherebbe per il Paese?«Questo avrebbe costi inaccettabili. È un’idea stupidissima, che frenerebbe l’export. Parlano sempre degli aspetti negativi dell’euro, senza dire che la Germania ha guadagnato dalla moneta unica. Ma questo aspetto viene ovviamente omesso».