La Stampa, 25 febbraio 2025
Tremonti e il voto in Germania: “Giusta la grande coalizione, ma l’economia è da rifondare”
L’ex ministro: «Ora Merz può recuperare la leadership in Europa. I vertici di AfD sono politicamente radicali, ma i loro elettori no»
«C’è chi pronostica la fine della democrazia. Intanto in Germania ha trionfato». La cosa che ha colpito di più Giulio Tremonti delle elezioni tedesche è l’altissima partecipazione al voto: l’84 per cento degli aventi diritto. Il trionfo dell’estrema destra lo ha sorpreso meno: «Basta guardare la cartina geografica: i seggi li hanno conquistati quasi tutti nella ex Germania dell’Est». Una risposta alla crisi o la cultura democratica ancora segnata dall’eredità della ex Ddr?
«La prima. I vertici di AfD sono politicamente estremi, i loro elettori no. La Germania sta attraversando una gravissima crisi economica che non riguarda solo l’auto. È la fine di un modello durato anche troppo: esporta in Cina, compra gas a basso costo dalla Russia, la difesa garantita dagli americani».
La Grande coalizione sarà un bene per l’Europa? O pensa che il neocancelliere Merz dovrebbe sdoganare l’estrema destra?
«Si sta realizzando una dinamica che nella politica tedesca è classica. I partiti si presentano divisi davanti agli elettori, dopo si uniscono: oggi vince la combinazione tra cristiano-democratici e socialisti. È un’indicazione di stabilità positiva per l’Europa, la fine dell’ipotesi di un sovvertimento totale. C’è la possibilità di dare una risposta politica che permetta di assorbire le ragioni di chi si è rivolto alle forze estreme».
Cosa si aspetta da Merz? Sarà una nuova Merkel?
«Ho sempre pensato e detto che Angela Merkel più che una leader è stata una follower. Ciò detto, per stessa ammissione di Olaf Scholz fin qui non c’era una coalizione di governo in grado di esprimere un governo forte. Ora Merz ha l’opportunità di recuperare la leadership in Europa».
Si dice che il neocancelliere non abbia un rapporto idilliaco con Ursula von der Leyen. Può essere un problema?
«Questo non lo so. Noto una cosa: quando i popolari europei dicono che il nuovo governo deve nascere in fretta, hanno ragione. Fin qui è passato troppo tempo: si è votato per le europee a maggio dell’anno scorso, la Commissione si è insediata a Natale, von der Leyen ci ha detto di “aver trovato la bussola per il futuro” a gennaio. Vuol dire che prima non l’aveva...».
Merz ha già fatto sapere di volere un coordinamento stretto con il francese Emmanuel Macron, il polacco Donald Tusk, l’inglese Keir Starmer. Non ha citato Giorgia Meloni. L’Italia di qui in poi conterà meno?
«Ho una certa esperienza di asse franco-tedesco. Al principio Parigi e Berlino si riunivano nei loro bilaterali, poi ci facevano la cortesia di metterci al corrente di quanto deciso. Nel 2003 accadde un fatto: Commissione e Banca centrale europea chiesero le sanzioni per la Germania già in procedura di infrazione per deficit eccessivo. La presidenza di turno era italiana: fummo noi a ottenere che quelle sanzioni non fossero applicate. Dunque lo spazio per un ruolo importante dell’Italia c’è, non è detto si debba tornare al duopolio franco-tedesco».
Oggi la Germania ha però un problema quasi opposto ad allora: i conti sono in ordine, la crisi è più grave.
«La crisi è gravissima anche perché finora abbiamo visto la manifattura tedesca eccellere nella meccanica e nella chimica, non nell’elettronica. Le auto di domani sono un computer con le ruote, e la tecnologia è in mano ad americani e cinesi».
E dunque l’Europa cosa deve fare?
«Io queste cose le dico da almeno vent’anni, per altri dovrebbe essere arrivato il momento di ammettere gli errori. La Cina ha i suoi problemi, ma è un concorrente, non un cliente. In ogni caso: in Europa siamo soffocati dall’eccesso di regole».
Le notizie che arrivano da Washington sono inquietanti: autorità smantellate, nomine fuori da ogni pudore istituzionale. Dobbiamo imitarli?
«Ogni area del mondo ha i suoi problemi: noi ne abbiamo uno di identità e futuro. Il nostro non è quello astratto della “concorrenza”, ma quello concreto e generale della libertà d’impresa».
Molti analisti dicono che andiamo verso un nuovo accordo di Yalta, dopo il quale l’Europa non conterà più nulla. Lei che ne pensa?
«La storia non si ripete mai per identità perfette. Comunque finisca la guerra in Ucraina resterà un enorme e irrisolto problema di rapporto fra l’Europa e la Russia. L’ideologia del Cremlino – cito Putin – è: “il nostro futuro è nel nostro passato”. Ovvero religione, tradizione, confini. L’Europa sta su quegli antichi confini».
Dobbiamo temere un attacco russo a un Paese europeo?
«Posso dire che la vecchia ideologia De Gaulle-Woytila tracciava il confine dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, ma escludeva l’Asia. L’ideologia di Putin è opposta. Lui viene da una storia di tre imperi: mongolo, zarista e comunista. La reazione europea può essere solo quella dell’allargamento ad est di quella che è sempre stata Europa».