il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2025
Carriere separate, i costi triplicano
Buttiamola sui soldi. Che in tempi di gravissima crisi per le famiglie italiane alle prese coi rincari di tutto (gas, luce, cibo, per citare solo quelle cose di cui non si può fare a meno) contano assai. E guardiamo quanto rischia di costarci, se dovesse andare in porto, la riforma anti-giudici della separazione delle carriere. Devono ben saperlo i cittadini che andranno a votare al referendum. E dovranno chiedersi: riforma davvero necessaria o solo una resa dei conti? E poi: quanto ci costa questa modifica costituzionale visto che da un Csm se ne faranno due e la sezione disciplinare, oggi interna all’unico Csm, diventerà un’autonoma Alta Corte? Per intenderci subito, tre grandi istituzioni anziché una, solo per avere a che fare sempre con i magistrati?
Partendo da un dato, oggi un consigliere del Csm guadagna 240 mila euro all’anno più i rimborsi spese per altri 50 mila. I consiglieri sono 30, di cui 20 togati e 10 laici. Tra questi ultimi il vicepresidente Fabio Pinelli. Ma la riforma Meloni-Nordio triplicherà tutti i costi. Tripli consiglieri. Tripli presidenti. Tripli palazzi. Tripli uffici. Triplo personale. Tra cui anche i magistrati segretari dell’ufficio studi che si occupa dei pareri e dei curricula dei candidati ai nuovi incarichi. Perché a fronte di un solo Csm ce ne saranno due, uno per i giudici e uno per i pm, e l’attuale sezione disciplinare diventerà un’Alta corte disciplinare autonoma.
Dunque, da un unico palazzo, da un unico staff di dipendenti, autisti ad personam compresi, dobbiamo triplicare tutti i costi. Tre palazzi, di cui due, oltre l’attuale sede di piazza Indipendenza, da creare ex novo. Personale (segretari e assistenti) triplicato. Autisti triplicati. Uno scherzetto che – a far di conto a spanne – potrebbe costarci tre volte l’attuale spesa sostenuta per un solo Csm. Ma vediamo nel dettaglio. Alla luce di un fatto. Come ci insegnano i Centri per migranti in Albania, la Meloni non bada a spese quando si tratta di perseguire un progetto del tutto ideologico. Accade lo stesso per la separazione delle carriere che, in quanto legge costituzionale, si ferma ancora sui principi e non bada ai conti. Mentre la regola, in base all’articolo 81 della Costituzione, vorrebbe che ogni legge che comporta nuove spese debba indicare i mezzi per farvi fronte, con l’occhiuto controllo della Ragioneria generale dello Stato.
Facciamoli noi allora e andiamo alla cassa. Spulciando l’attuale bilancio del Csm, e in particolare scorrendo le previsioni fatte per il 2024. Per vedere a spanne quanto potrà costare questa riforma della giustizia (punitiva e del tutto inutile) alle tasche degli italiani. La macchina che oggi governa le toghe – “l’autogoverno” della magistratura, espressione che alla politica non piace perché suona come il riconoscimento di un effettivo potere autonomo – secondo le cifre contenute nel “Conto finanziario preventivo per l’esercizio 2024”, prevedeva entrate per 43 milioni, ovviamente provenienti dal bilancio dello Stato, a fronte di 42,340 milioni di uscite. Così destinate: 5,9 milioni per retribuire i componenti del Csm, 27,8 per gli stipendi del personale, 8,3 destinati all’acquisto di beni e servizi.
Ovviamente costano cari i componenti del Csm: 2,2 milioni per gli assegni destinati ai componenti laici, 1,2 per le indennità di seduta e 1,3 come rimborso forfettario per le indennità di missione. E anche 700 mila euro per l’assicurazione sanitaria di tutti i componenti. Poi 1,2 milioni per gli addetti all’ufficio studi. E ancora 300 mila euro per i buoni pasto non solo per i membri del Csm, ma anche per il personale. Nel capitolo sui beni e servizi ecco 860 mila euro per l’acquisto e la manutenzione di attrezzature elettroniche, e ben 3 milioni e 90 mila euro per rivedere il sistema informativo del Csm. Nonché 770 mila euro per biglietti, hotel e catering per tutti coloro che partecipano a incontri o seminari organizzati dallo stesso Csm.
Lo sdoppiamento del Csm, nonché la creazione ex novo dell’Alta corte disciplinare, fa necessariamente lievitare la spesa ad almeno 130 milioni di euro, solo moltiplicando i costi di un ufficio per tre. E non è detto che sull’onda della “separazione” sempre e comunque anche la Scuola superiore della magistratura non vada “aggiornata”, prevedendo magari due Scuole differenti, una per i per giudici e una per i pm, in modo da non creare neppure lì una contiguità e pure l’occasione per darsi del tu e andare a cena assieme la sera. Oggi, con i suoi 50 dipendenti e le tre sedi di Scandicci, Napoli e Roma, la Scuola costa all’anno circa 8 milioni di euro, versarti dal ministero della Giustizia, che peraltro il Guardasigilli Carlo Nordio ha provveduto a sforbiciare tagliando a metà giugno 2023 ben 5 dei 13 milioni originari. E chi paga il malfunzionamento della giustizia, la lentezza dei processi, e i nuovi organi triplicati? Ovviamente i cittadini.