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 2025  febbraio 25 Martedì calendario

Cacciapaglia: «Seguo l’appello del Papa: noi artisti promotori di spiritualità»

In “Time to be”, nuovo album del pianista e compositore milanese, l’invito a un ascolto più consapevole nell’era della velocità e della superficialità. Il 25 marzo il via al tour teatrale.
Tempo di essere e tempo per essere. Nell’era in cui domina la bramosia di avere. È il richiamo di Roberto Cacciapaglia e del suo pianoforte con il nuovo album Time to be a cinquant’anni esatti dall’esordio discografico con Sonanze, primo long playing quadrifonico pubblicato in Italia nonché audace e pionieristico connubio di musica elettronica con tastiere e sintetizzatori e musica sinfonica contemporanea, frutto anche degli studi compiuti al centro di fonologia della Rai durante il diploma in pianoforte al conservatorio Verdi di Milano con Bruno Bettinelli. «Il mio è un disco sull’essere, su ciò che è essenziale. Una scommessa e una sfida in un’epoca che ci costringe a una catena di montaggio volta al materialismo» dice Cacciapaglia del suo nuovo lavoro (nove composizioni originali e la rivisitazione dell’Incipit dell’adagio del Concerto K 488 di Mozart), presto anche in vinile e in cd con Virgin Music Group dopo la pubblicazione in digitale. Intanto è uscito il video della title track Time to be con Cacciapaglia al pianoforte a coda tra cromatici effetti visivi e movimenti della macchina da presa a rimarcare come il tempo citato nel titolo sia prima di tutto il tempo di ascoltare e di ascoltarsi. A dieci anni dalla sua Tree of Life Suite che aveva fatto da colonna sonora al grandioso Expo 2015 sul tema “Nutrire il pianeta”, un invito al viaggio più profondo, lontano dall’assordante apparenza di false visioni veicolate dai social, di condivisioni virtuali ed effimere, di immagini di superficie che scorrono indistinte e non lasciano traccia. «Questo disco richiama armonia ed equilibrio per vivere la musica in un modo autentico. Essere musica, più che fare musica – spiega il 65enne compositore milanese, dal mese prossimo in tour nei teatri con partenza il 25 marzo dall’Auditorium Mahler di Milano per toccare poi Verona, Bologna, Perugia, Firenze e Roma il 24 aprile al Parco della Musica prima di tornare oltremanica il 13 maggio alla Islington Assembly Hall di Londra -. Le composizioni guidano verso un ascolto consapevole. Ogni nota è un invito a esplorare il proprio Io interiore. In questo progetto anche la tecnologia non è mai invasiva: è biologica, pensata per amplificare la purezza del suono, restituendo le vibrazioni più sottili che ogni strumento porta con sé. Utilizzo qui una formazione essenziale: pianoforte, violoncello, violoncello elettrico e postazione elettronica, che non produce però suoni artificiali e sintetici. Si tratta di software che ampliano la potenzialità dei suoni acustici del pianoforte e del violoncello attraverso gli armonici». Da musicista di frontiera votato alla sperimentazione e alle novità tecnologiche, cosa pensa dell’intelligenza artificiale? La teme?
«Riguardo alla sua declinazione in ambito musicale difficilmente troverà applicazione all’essenza della persona. Poi può servire a comporre anche delle hit. Ma con l’anima non c’entra nulla. L’intelligenza artificiale, grande espressione di innovazione tecnologica, nasconde in fondo una volontà di potere e di possesso. Viviamo in un’epoca che chiede con forza e con ogni mezzo di percorrere la strada sbagliata. L’essere ha un primato sul fare e sull’avere, ma questa società ci induce a vivere come se fosse il contrario. Tutto ciò è evidentemente assurdo».
Con questo disco invita a un ascolto più consapevole come antidoto ai new media, virtuali armi di distrazione di massa?
«Mettersi in ascolto autentico è tutto. Il dramma di questa società è la velocità di ogni cosa che non ci mette in grado neanche di fermarci ad ascoltare. Però, dalla mia esperienza di musicista, posso dire che avverto ai concerti da parte del pubblico un grande bisogno di spiritualità, di armonia, di bellezza e di contemplazione. La musica non è altro che la manifestazione esterna di uno stato interiore. Per fortuna più la società ci aliena più in opposizione cresce un insopprimibile bisogno di nutrimento spirituale, che certa musica può dare per sua intrinseca natura. In tal senso, l’ascolto ci aiuta a ritornare alla nostra essenza profonda».
Com’è il suo pubblico?
«Non ha confini. Certamente è un pubblico che percepisce, ha capito che l’unico modo di imparare è crescere come persone. L’unica crescita che ha valore è ovviamente quella interiore e personale, ben al di là della conquista di beni o del successo in modo egoico, direzione nella quale spinge però la società. Due anni fa io e tanti altri artisti siamo stati altamente richiamati da papa Francesco su questo fondamentale aspetto».
È stato invitato in Vaticano?
«Sì, nel giugno del 2023 per i cinquant’anni della Collezione d’arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani. Ricordo ancora con immensa gratitudine l’udienza di noi artisti da papa Francesco che ci ha chiesto di essere promotori di spiritualità attraverso la nostra arte in tutte le sue forme. Gli strinsi la mano per diversi secondi».
Perché ha voluto chiudere il nuovo disco con il Padre Nostro?
«Da anni avevo in animo il proposito di musicare il Padre Nostro. Finalmente l’ho fatto, ho superato l’imbarazzo e la sensazione di avvicinarmi a qualcosa di troppo alto. Musicalmente il Padre Nostro non può essere una rappresentazione, così ho cercato l’essenzialità della preghiera, spogliandolo di tutto. E l’ho recitato in latino, in punta di piedi».
E Mozart? perché è in un disco di sue composizioni?
«Mozart è legato a una folgorazione che ebbi da bambino. Da bambini non abbiamo barriere mentali, siamo liberi da preconcetti, la musica può così raggiungerci e toccarci nel profondo proprio perché siamo ancora puri e incontaminati. Quando siamo aperti possiamo provare sensazioni meravigliose. Io ascoltavo l’Adagio a quattro anni quando, grazie a mia madre, ho cominciato a studiare musica. L’Adagio del Concerto K.488 mi ha sempre toccato profondamente per l’apparente semplicità, ne ascoltavo affascinato ogni nota e ogni passaggio.E adesso ho lavorato sull’Incipit suonando ogni nota come se fosse un rintocco per portare le note mozartiane fuori dal tempo, nell’attimo presente».
Deve a sua mamma l’amore per la musica?
«Lei suonava il pianoforte e amava la musica e io le devo molto, anche se all’inizio dovermi applicare così tanto non mi piaceva perché volevo andare a giocare a pallone. Crescendo, quegli intensi studi sulle tastiere hanno però dato frutto con i primi gruppi rock a scuola. Amavo i Beatles e ai tempi suonavo anche la chitarra. Poi mi colpirono i Procol Harum con la loro commistione di classica e rock quando l’organo elettronico cominciava a far parte dell’organico anche di una rock band».
E tra le sue scorribande sonore ci sono stati anche dei concerti con Battiato…
«Concerti che definirei estremi. Sul palco ne combinavamo di tutti i colori. Franco aveva scoperto il Vcs3, un sintetizzatore d’avanguardia che usavano i Pink Floyd e i Roxy Music con Brian Eno. In quel periodo con Battiato collaborai per il suo album Pollution del ’72».
Cosa si cercava nel suono e nella musica in quegli anni così prolifici?
«Altre strade. Ognuno, e insieme, una propria via della musica. Perché la musica è una immensa possibilità di espressione di sé e della vita. Ecco perché questo titolo. Time to be vuole essere una esortazione a ritrovare la nostra fondamentale essenza, la nostra risonanza interiore. Soprattutto oggi che la musica vive un grave appiattimento, una banalizzazione. Io vado avanti per la mia strada e ho conferma della bontà di ciò quando suono dal vivo e percepisco la propagazione di certe vibrazioni che sono sonore e spirituali. Quando si stabilisce un’empatia con il pubblico. La musica può essere più o meno bella, ma deve in ogni caso creare comunione. Quella di plastica non crea nulla. Non vibra interiormente».
Siamo circondati dalla musica, ma non toccati…
«Direi che siamo assediati. Ma da quale musica? La musica è una manifestazione e con essa esprimi ciò che tu sei. Alla musica bisogna perciò prepararsi, bisogna avvicinarsi in modo adeguato perché ha una sorta di sacralità. La scuola dovrebbe svolgere questo compito, ma purtroppo non prepara nessuno. Sarebbe necessaria una educazione all’ascolto. Invece, in generale, si intende la musica come distrazione e intrattenimento. Certo, è anche questo. Ma è un peccato limitarla, no? Ha tante proprietà meravigliose, che vanno scoperte».
C’è un brano nel disco che si intitola Alma in cui lei dice soltanto questa parola…
«È un inno alla natura, agli elementi, al sole, alle stelle, all’Universo. E come nel Padre Nostro anche qui torno al latino, alla sua originaria sacralità. Alla musica affianco soltanto la parola “Alma”, perché la nostra vera patria è l’anima».