la Repubblica, 24 febbraio 2025
Dall’invasione di Putin al voltafaccia di Trump: cronologia di tre anni di guerra in Ucraina
Iniziata il 24 febbraio 2022 con l’invasione delle truppe russe, doveva concludersi in una settimana ma va ancora avanti con un ingente numero di perdite, tra militari e civili. Dall’attacco alla resistenza, passando per la strage di Mariupol e l’ammutinamento della Wagner, ecco le tappe principali.
Nei piani di Vladimir Putin doveva concludersi in una settimana, con l’obiettivo di “denazificare” l’Ucraina, rovesciare il governo del presidente Zelensky e fare di Kiev uno stato vassallo della Russia, come la Bielorussia, impedendone per sempre l’ingresso nella Nato. Iniziata il 24 febbraio 2022 con l’invasione di ingenti truppe russe, tre anni più tardi la guerra in Ucraina va ancora avanti. Potrebbe finire presto, con un accordo firmato in un imminente summit fra Trump e Putin, ma non è ancora chiaro con quali concessioni da parte dei due belligeranti. Passerà alla storia come uno dei più lunghi e sanguinosi conflitti europei. Ecco quali sono state le tappe principali.
L’antefatto
Nel dicembre 1991, al crollo dell’Urss, Russia e Ucraina, due delle quindici repubbliche dell’Unione Sovietica, diventano stati sovrani indipendenti. Nei successivi accordi con cui Kiev consegna a Mosca i missili nucleari che erano stati situati sul suo territorio durante l’era sovietica, la Russia si impegna a rispettare e proteggere la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’Ucraina.
Il preludio
Dopo la fuga in Russia di un presidente ucraino filorusso contestato da manifestazioni di massa durate mesi e l’elezione di una leadership filooccidentale a Kiev, nel 2014 Mosca invade e conquista due regioni dell’Ucraina orientale, usando per lo più forze paramilitari: la penisola di Crimea e alcune province della zona mineraria del Donbass. Entrambe sono abitate prevalentemente dalla minoranza di lingua russa della popolazione ucraina. La giustificazione usata da Putin è difendere la minoranza russofona da discriminazioni. Un negoziato fra le due parti a Minsk, con la mediazione americana ed europea, stipula intese che non vengono rispettate. Ne segue un decennale conflitto a bassa intensità, lungo un fronte che non si muove più di un metro.
L’attacco
Dopo mesi di massicce manovre militari lungo la frontiera, durante le quali Putin smentisce categoricamente l’intenzione di invadere il Paese vicino, il 24 febbraio 2022 le truppe russe attraversano il confine e puntano su Kiev. Il Cremlino la definisce una “operazione militare speciale”, vietando ai media nazionali di chiamarla guerra: chi si azzarda a farlo, sui giornali, in tivù o in manifestazioni di protesta, finisce in prigione. L’obiettivo dichiarato è “demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina, che in realtà ha un presidente, un governo e un parlamento eletti democraticamente dal popolo, oltre che impedirne l’adesione alla Nato, richiesta da Kiev e messa in agenda dall’Alleanza Atlantica, sia pure soltanto come una possibilità a lungo termine. Mosca si oppone anche all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, pure questo un processo avviato da Kiev.
La resistenza
Indiscrezioni e fonti russe fanno trapelare che il Cremlino si aspetta di concludere l’operazione in una settimana, costringendo l’esercito russo alla fuga. Nelle prime ore dell’invasione, un lancio di paracadutisti russi nei pressi di Kiev sembra una missione per assassinare il presidente Zelensky, che tuttavia riesce a mettersi in salvo. E contrariamente alle previsioni di Mosca, le forze ucraine resistono tenacemente. Dopo pochi giorni, l’avanzata russa rallenta. Una colonna di carri armati lunga 40 chilometri, che cerca di raggiungere Kiev, viene bloccata da assalti stile guerriglia di piccole unità ucraine. Nel mar Nero, sull’Isola del Serpente. navi della Marina militare russa intimano a 13 guardie di frontiera ucraina di arrendersi: “Andate a farvi fottere!” è la risposta dei militari di Kiev. Diventa uno slogan per tutto il Paese.
Il ritiro russo
Le forze russe fanno progressi sul fronte sud-orientale: il 2 marzo prendono Kherson, una città sulla strada verso Odessa. Ma sul fronte di Kiev, dove Putin aveva concentrato la maggior parte delle sue truppe, una volta arrivati ai sobborghi della capitale i soldati di Mosca vengono bloccati e respinti. Il 29 marzo Mosca annuncia di avere rinunciato all’offensiva su Kiev e inizia a ritirarsi verso i propri confini. Un ripiegamento che diventa una fuga, le truppe ucraine inseguono gli invasori, bersagliandoli con incursioni improvvise di droni e unità mobili in motocicletta. Il 3 aprile le forze ucraine scoprono prove di stupri, torture, esecuzioni sommarie e rapimenti di bambini a Bucha e in altre cittadine abbandonate dalle truppe russe: diventeranno materia per il mandato di arresto nei confronti di Putin emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per crimini di guerra.
L’affondamento dell’incrociatore
Il 14 aprile l’incrociatore Moskva, ammiraglia della flotta russa nel mar Nero, viene colpito e affondato da un missile Nettuno ucraino. È la nave che intimò la resa alle guardie ucraine dell’Isola dei Serpenti e si sentì rispondere “andate a farvi fottere”. Si tratta del primo di una lunga serie di colpi sofferti dalla Marina militare russa nel mar Nero, il cui assedio della città portuale ucraina di Odessa, pur sottoposta a pesanti bombardamenti, non ottiene i risultati sperati.
Direzione sud-est
Il 18 aprile la Russia annuncia una “nuova fase” della guerra, concentrando truppe e sforzi nella regione russofona del Donbass, allo scopo di conquistarla tutta, e sul fronte sud-orientale per creare una contiguità territoriale fra il Donbass e la Crimea.
Svezia e Finlandia nella Nato
Il 18 maggio Svezia e Finlandia chiedono di entrare nella Nato, abbandonando la neutralità mantenuta dalla Seconda guerra mondiale in poi. Stoccolma ed Helsinki citano l’aggressività russa come motivo per mettersi al riparo dell’Alleanza Atlantica: se l’Ucraina fosse stata nella Nato, è il loro ragionamento, Putin non si sarebbe azzardato ad attaccarla, consapevole della norma secondo cui un attacco contro un Paese della Nato equivale a un attacco contro tutta la Nato. Fermare l’espansione dell’Alleanza Atlantica, con la possibile adesione dell’Ucraina in un lontano futuro, era uno degli obiettivi dichiarati dell’invasione russa. Il risultato è l’allargamento della Nato a due Paesi, anziché uno solo, fino ai 1500 chilometri di frontiera russo-finlandese. Uno smacco per il Cremlino, che risponde cominciando a minacciare l’uso di “armi nucleari tattiche” (meno potenti dei missili intercontinentali ma cento volte più potenti delle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki nel secondo conflitto mondiale) per difendere la sicurezza nazionale, nell’area del mar Baltico così come nel conflitto in Ucraina.
La strage di Mariupol
Il 20 maggio, dopo un lungo assedio e bombardamenti che radono al suolo buona parte della città, le forze russe conquistano Mariupol, completando il collegamento territoriale con la penisola di Crimea. L’offensiva include il bombardamento del reparto maternità di un ospedale e di un teatro in cui si erano rifugiati migliaia di civili. Gli ucraini denunciano atrocità contro i civili.
La controffensiva ucraina
Il 29 agosto l’Ucraina lancia una controffensiva a sorpresa nel Donbass, riconquistando in ottobre la città di Kerson e altri centri urbani. Ma al sopraggiungere delle prime nevicate e dell’inverno, la controffensiva è costretta a bloccarsi. Secondo alcuni esperti militari il presidente Zelensky ha aspettato troppo a lungo per un’operazione che sarebbe dovuta cominciare all’inizio, non alla fine, dell’estate.
Nuova offensiva russa
Il 9 febbraio 2023 la Russia lancia una nuova offensiva nel Donbass, utilizzando decine di migliaia di nuove reclute: ma i giovani soldati, male armati e poco addestrati, subiscono gravi perdite e le forze ucraine sostanzialmente resistono all’attacco. Il 21 maggio, tuttavia, le truppe del Gruppo Wagner, l’unità di mercenari formata da Evghenij Prigozhin, un fedele alleato di Putin, conquistano Bakhmut sul fronte sud-orientale, al termine di una cruenta battaglia durata un anno.
La seconda controffensiva ucraina
L’8 giugno, dunque stavolta all’inizio dell’estate, Kiev lancia una seconda controffensiva lungo tutto il fronte, nel tentativo di costringere i russi a un nuovo ritiro. Ma l’offensiva, lungamente annunciata e prevista da Mosca, fallisce: i generali di Putin hanno predisposto tre linee difensive a base di campi minati e altri ostacoli che riescono a fermare la pressione ucraina.
L’ammutinamento della Wagner
Il 23 giugno 2023 le decine di migliaia di mercenari del Gruppo Wagner si ritirano improvvisamente in Russia e marciano verso Mosca senza incontrare opposizione. Il loro capo Prigozhin critica la guerra, lo stato maggiore del Cremlino e implicitamente lo stesso Putin. Circolano voci di un golpe per rovesciare il presidente russo. Ma dopo qualche giorno i mercenari si fermano e Prigozhin non apre più bocca. Non è chiaro cosa lo abbia convinto a desistere. In agosto il capo della Wagner muore in un misterioso incidente aereo. L’unità di mercenari, che il Cremlino aveva usato a lungo in numerose guerre per procura in Africa e in Medio Oriente, si scioglie e viene in parte inglobata nell’esercito russo.
Lo stallo
Il primo novembre il generale Valery Zaluzhny, comandante in capo delle forze ucraine, dichiara che il conflitto è entrato in una fase “di stallo” simile a quella della Prima guerra mondiale, con i due eserciti che si fronteggiano dietro trincee super rinforzate e nessuno dei due che va più avanti o indietro. Il presidente Zelensky rimprovera il generale, accusandolo di “fatalismo”, ma gli strateghi militari americani e britannici concordano con la tesi dell’alto ufficiale di Kiev. Per tutto l’inverno, in effetti, non ci sono grandi cambiamenti nelle sorti della guerra.
Gli aiuti Usa
Il 24 aprile 2024 il presidente Biden approva 60 miliardi di dollari di aiuti militari all’Ucraina. Dall’inizio del conflitto, i paesi della Nato, Italia compresa, hanno fornito enormi aiuti economici e militari all’Ucraina; e quelli europei hanno inoltre accolto milioni di sfollati ucraini: donne, bambini, anziani, fuggiti all’estero per cercare riparo dagli intensi bombardamenti russi che colpiscono con missili e droni non soltanto installazioni militari e centri energetici, ma anche abitazioni, supermercati, abitazioni. Dopo oltre due anni di guerra, Washington aumenta ulteriormente l’assistenza militare: comincia a fornire a Kiev, insieme ai propri alleati, il tipo di armi lungamente richiesto da Zelensky, carri armati più moderni, missili più a lungo raggio e infine cacciabombardieri.
L’incursione in Russia
Il 12 agosto l’Ucraina lancia un attacco a sorpresa in territorio russo nella regione di Kursk. Fino a quel momento Kiev aveva colpito il territorio russo con droni e attentati, diretti in primo luogo contro basi militari, depositi di carburante e alti membri delle forze armate, uno dei quali viene assassinato a Mosca. L’attacco a Kursk vede entrare in azione truppe ucraine: non era mai successo. Le forze russe rispondono, ma a tutt’oggi non sono riuscite a liberare la regione. È la prima volta, dopo le invasioni di Napoleone e di Hitler, che un esercito straniero penetra in Russia. “Non vogliamo rimanerci permanentemente”, afferma Zelensky: Kursk potrebbe diventare un gettone da scambiare con Mosca in un negoziato di pace, per riavere almeno una parte dei territori ucraini occupati dalle forze russe. Quello occupato.
dagli ucraini in Russia è un territorio infinitamente più piccolo di quelli occupati dai russi in Ucraina, ma rappresenta comunque un’umiliazione per Putin.
Arrivano i nord-coreani
Il 4 novembre scorso 10 mila soldati nord-coreani arrivano sul fronte del Donbass e cominciano a combattere in prima linea: frutto di un patto fra Putin e il leader nord-coreano Kim Jong Un, uno dei pochi (insieme all’Iran) che fornisce a Mosca anche gli armamenti necessari per continuare il conflitto. Ma secondo fonti militari ucraine e occidentali le truppe nord-coreane subiscono ingenti perdite: vengono utilizzate da Mosca come carne da cannone.
La svolta di Trump
Intanto Trump vince le elezioni presidenziali: uno dei suoi slogan elettorali è “metterò fine alla guerra in Ucraina in un giorno” e fin dalla fase di transizione allaccia contatti in tal senso con Mosca. Rientrato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato, all’inizio di febbraio il presidente americano ha una lunga telefonata con il capo del Cremlino e annuncia un negoziato bilaterale fra Russia e America, che sarà presto seguito da un summit fra lui e Putin in Arabia Saudita. Trump telefona a Zelensky per metterlo al corrente della trattativa, ma la Casa Bianca fa sapere che né Kiev, né gli alleati europei, parteciperanno al vertice.
Vari plenipotenziari americani, tra cui il segretario alla Difesa Pete Hegseth, indicano che l’Ucraina non potrà recuperare i suoi territori fino alle frontiere pre-2014 e che non potrà fare parte della Nato. Trump afferma che sarà l’Europa a dover garantire in gran parte la ricostruzione e la sicurezza dell’Ucraina dopo la fine del conflitto. E pretende da Kiev 500 miliardi di risorse minerarie ucraine in cambio degli aiuti che ha ricevuto da Washington. In Europa si esprimono opinioni diverse: il primo ministro britannico Starmer insiste che la strada per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato rimane aperta e il presidente francese Macron convoca un summit pan-europeo sulla sicurezza ucraina.
L’obiettivo minimo è mantenere l’indipendenza dell’Ucraina e la sua candidatura a entrare nella Ue. A Kiev come a Bruxelles, tutti auspicavano da tempo la fine della guerra ed erano disposti a qualche compromesso, ma in Europa, e pure negli Stati Uniti, piovono critiche su una amministrazione americana che sembra pronta a fare concessioni cruciali a Mosca ancora prima che il negoziato abbia inizio; e che esclude Kiev e gli alleati europei dal tavolo della trattativa con Putin.