il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2025
Attacchi armati, demolizioni e arresti: il ritorno di Donald Trump restituisce l’impunità ai coloni israeliani in Cisgiordania
Nel giorno del suo insediamento, il neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato una serie ordini esecutivi tra i quali anche la revoca delle sanzioni, imposte dall’amministrazione Biden, contro coloni e gruppi di estrema destra israeliana coinvolti in violenze contro i palestinesi in Cisgiordania. Il giorno dopo la messa in pratica di questo ordine esecutivo, il 21 gennaio, il governo di Tel Aviv ha lanciato un’operazione militare nel nord della regione chiamata “Muro di ferro”. Stando agli ultimi dati consultabili dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), risalenti a metà febbraio, durante l’operazione militare più lunga dalla seconda Intifada in Cisgiordania sono già stati uccisi più di 40 palestinesi e ne sono stati feriti più di 100. In più, come non succedeva dal 1967, sono state sfollate più di 40mila persone dai campi profughi di Tulkarem, Jenin e Tubas a seguito di bombardamenti indiscriminati su aree densamente popolate che hanno portato alla distruzione di case e infrastrutture, tra cui i sistemi idrici e igienico-sanitari, ponendo un rischio significativo per la salute dei residenti. Secondo l’Unicef, dall’inizio del nuovo anno sono morti in tutta la Cisgiordania almeno 10 minori palestinesi. Un dato ancor più preoccupante se collegato a quello dichiarato da OCHA che ha messo in evidenza come dal gennaio 2023 al gennaio 2025 siano stati uccisi dai coloni e dalle forze israeliane più di 200 minori in Cisgiordania, pari a quasi la metà dei 468 da quando sono iniziate le registrazioni nel 2005. Ma non solo il nord della Cisgiordania è interessato da una rinnovata spinta alla conquista delle forze israeliane. Nel resto dei territori occupati i coloni si sentono ancora più legittimati dalla nuova presidenza Usa. Già dopo il 7 ottobre, la loro pressione sulle comunità palestinesi si era fatta più pesante, ma oggi è diventata asfissiante: “I coloni vengono nei nostri villaggi ogni giorno”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Khalil, abitante del villaggio di Umm al-Kheir nella zona di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania. La scorsa settimana, raccontano gli abitanti del piccolo villaggio, i coloni sono venuti armati, come al solito, protetti dai militari e dalle forze di polizia israeliane e hanno cominciato a piantare pini, alberi che non crescono spontaneamente in queste terre e che rappresentano la colonizzazione dell’ambiente, tra le case palestinesi. Come se non bastasse, dopo avere messo 34 nuovi alberi è stato impiantato un lungo palo di ferro con la bandiera israeliana. Ma non avvengono solo atti dimostrativi e intimidatori come questo: nelle scorse settimane si sono moltiplicati i pogrom dei coloni nei confronti della popolazione palestinese. Macchine date alle fiamme, attacchi a donne, bambini e anziani, distruzione di interi uliveti e delle scorte di mangime per gli animali tagliando così anche le scarse fonti di sostentamento della popolazione palestinese.
La cieca violenza dei coloni va di pari passo alla ben organizzata macchina statale israeliana. Solo la scorsa settimana l’OCHA ha documentato la demolizione da parte dell’amministrazione di Tel Aviv di 49 strutture di proprietà palestinese in Cisgiordania a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere per i cittadini palestinesi. Nella sola zona di Masfer Yatta, la scorsa settimana, sono rimaste per strada 58 persone, tra cui 27 minori. A queste si aggiungono quelle che non sono ancora state conteggiate, come le famiglie di cui racconta Khalil che martedì hanno assistito all’ennesima demolizione. “La mattina alle 9 sono arrivati molti soldati e i bulldozer hanno distrutto le case di tre famiglie con tutti i loro averi ancora dentro e poi hanno anche distrutto i serbatoi per l’acqua”, racconta concludendo che “14 persone sono rimaste senza più nulla, né la casa né tutto quello che avevano”.
Insieme alle demolizioni, il controllo delle strade da parte delle forze armate israeliane, col ricorso a centinaia di check point, ha isolato intere comunità che non possono più raggiungere le vicine città. In più, mentre da una parte vengono rilasciati i prigionieri palestinesi nel quadro dell’accordo di scambio con gli ostaggi israeliani, dall’altra nel solo mese di gennaio sono stati compiuti 580 nuovi arresti. Il governo dell’ultra destra israeliana festeggia e lo fa con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich che lunedì ha deciso di sequestrare 320 milioni di shekel (circa 90 milioni di dollari) di fondi dell’Autorità Nazionale Palestinese da dare alle vittime del terrorismo: “Un passo necessario nella nostra lotta nazionale contro il terrorismo e contro l’Autorità Nazionale Palestinese che lo incoraggia”, ha dichiarato.