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 2025  febbraio 24 Lunedì calendario

I marinai nordcoreani costretti a lavorare (in segreto) come schiavi sui pescherecci cinesi: «Non mettono piede a terra per anni. I salari? Finiscono a Kim»

Il rapporto della ong Environmental Justice Foundation rivela che gli equipaggi ceduti da Kim Jong-un non mettono piede a terra per anni:«Non possono comunicare con casa, non hanno diritti e cambiano barca in mare aperto, così da rimanere “invisibili"» Non ci sono solo i soldati mandati a fine 2024 da Kim Jong-un a combattere al fianco dei russi contro gli ucraini, per ottenere in cambio valuta, petrolio e tecnologia militare da Mosca.
Da anni e in segreto, un contingente di marinai nordcoreani lavora in condizioni durissime su pescherecci cinesi in violazione delle sanzioni Onu. I loro salari finiscono quasi per intero nelle casse del regime di Pyongyang. Gli uomini di questi equipaggi ombra sono lavoratori forzati: per nascondere la loro presenza sono costretti a restare in mare per anni, senza mettere piede a terra, trasferiti da una nave all’altra in mezzo all’Oceano Indiano. Questa vicenda è stata rivelata da un dossier della ong Environmental Justice Foundation, basata a Londra.
I ricercatori di EJF hanno rilevato la presenza dei nordcoreani a bordo di una dozzina di pescherecci d’altura cinesi che cacciano tonni nell’Oceano Indiano e hanno ricostruito la loro odissea attraverso le testimonianze di altri membri degli equipaggi, di nazionalità filippina e indonesiana. I marinai venduti dal governo di Pyongyang alla flottiglia cinese non possono comunicare con casa, non possono rivendicare alcun diritto e sono sfruttati senza scrupoli, proprio perché la loro presenza a bordo è illegale e viola le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu, che da anni proibisce alla Nord Corea di inviare lavoratori all’estero.
«Imbarcati con noi c’erano sei coreani che non potevano tornare in patria da quattro anni, anche se il loro contratto era terminato», ha raccontato un marinaio filippino. Un’altra testimonianza: «Quando il nostro peschereccio doveva entrare in porto alle isole Mauritius, i nordcoreani sono stati passati a un altro battello che riprendeva il mare». E ancora: «Uno dei nordcoreani, anziano, stava male e chiaramente non era in grado di lavorare. Il nostromo gli gridava contro: “Non puoi solo dormire e mangiare”. Un altro nordcoreano gli ha risposto che avrebbe fatto lui la parte del compagno troppo debole, ma il nostromo non l’ha presa bene, c’è stata molta tensione e siccome non potevano più controllare i nordcoreani, i cinesi li hanno scambiati con altri di un diverso peschereccio».
La presenza di nordcoreani a bordo di imbarcazioni cinesi, se scoperta dalle autorità portuali internazionali, creerebbe problemi legali per i comandanti. Nel 2022 alle Mauritius furono arrestati sei nordcoreani e il capitano cinese di un peschereccio. «La nave su cui lavoravo ha attraccato in Somalia, Mauritius, Australia, Madagascar, poi di nuovo in Somalia e i sei nordcoreani dell’equipaggio quando eravamo in porto non potevano mai scendere a terra», ha testimoniato un ex marinaio indonesiano. «Uno di loro mi ha raccontato che aveva moglie e non le aveva mai potuto parlare negli ultimi sette anni».
Secondo le dichiarazioni raccolte nel rapporto, che la Environmental Justice Foundation ha condiviso con il Corriere e altri quotidiani internazionali, alcuni marinai nordcoreani sono rimasti intrappolati sui pescherecci cinesi fino a dieci anni, tra un trasbordo e l’altro. Anche il servizio militare in Nord Corea dura dieci anni per i soldati di leva: una condanna.
«Si tratta di lavoro forzato di una durezza che supera quello che succede nell’industria della pesca, notoriamente piena di abusi», osserva la fondazione nel suo dossier. Steve Trent, direttore di EJF conclude: «Lo sfruttamento dei nordcoreani sui pescherecci cinesi nell’Oceano Indiano rappresenta anche una condanna per il fallimento delle leggi sul lavoro in mare»: equipaggi clandestini, pesca d’altura selvaggia, anche di specie protette che finiscono sui mercati di tutto il mondo.
La Cina è una destinazione cruciale per la mano d’opera a basso costo messa a disposizione da Pyongyang: secondo i calcoli dell’Onu, almeno 100 mila nordcoreani lavorano clandestinamente nell’industria cinese.