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 2025  febbraio 24 Lunedì calendario

Il figlio adottivo di Zeffirelli sul padre

Ogni anniversario della nascita di Franco Zeffirelli diventa un’occasione per riaccendere i riflettori sulla vita e l’opera del grande maestro, regista e scenografo fiorentino nato a Firenze il 12 febbraio 1923 e scomparso il 15 giugno del 2019 a Roma. Nella sua città d’origine si trova la Fondazione a lui dedicata, all’interno della quale vi è un museo, sempre visitabile, dove sono custoditi oltre 400 bozzetti, costumi, modellini e foto di scena realizzati dall’artista in oltre 70 anni di attività.
Tra questi i disegni dell’Inferno, il progetto dantesco completamente raffigurato dal maestro ma mai trasformato in film, tornato ora a risplendere in un nuovo allestimento inaugurato proprio in occasione di quello che sarebbe stato il compleanno 102 dell’artista. Anima, cuore e testa di tutto questo è Pippo Zeffirelli, uno dei due figli adottivi del cineasta. Per mezzo secolo a fianco al suo mentore anche nel lavoro, collezionando collaborazioni pure con altri grandi registi come James Ivory e Francis Ford Coppola. Un’avventura iniziata quando Pippo, origini siciliane e famiglia in America, aveva solo 19 anni. Era la fine degli anni ‘60. «È stata una grossa responsabilità dar vita alla Fondazione – racconta a Libero l’erede Zeffirelli – Siamo riusciti per fortuna a fargliela vedere completa prima che lui chiudesse gli occhi. Già non parlava più, ma fu un’emozione enorme sia per lui che per tutti noi. È stato il suo ultimo grande sogno».
Pippo, com’è stato il suo primo incontro col Maestro?
«Fu a Roma nel 1969. Io stavo facendo il servizio militare in Marina a La Spezia. Uno dei due amici aveva lavorato col regista Mauro Bolognini. Andammo a trovarlo e proprio a casa sua, con Zeffirelli è nato subito un dialogo grazie al mio interesse per il cinema».
Il 1969 fu anche l’anno del terribile incidente assieme a Gina Lollobrigida.
«Riportò 33 fratture al cranio. Si salvò per miracolo. Io da Nettuno, dove ero stato trasferito, partivo per andare fargli visita nella clinica in cui era ricoverato. E da allora poi ho continuato a frequentarlo».
Lo seguiva anche sui set?
«La prima volta fu subito dopo l’incidente quando, come voto, aveva deciso di fare un film su San Francesco. All’inizio gli portavo solo i copioni. Non sapevo nulla di come si lavorasse per il cinema. Doveva essere un musical da realizzare insieme ai Beatles. Poi invece ne uscì un film classico».
Che fu Fratello Sole, Sorella Luna del 1972.
«Esatto. Successivamente aveva deciso di realizzare l’Inferno di Dante ma purtroppo il produttore di allora, Alfredo Bini, non riuscì a trovare i fondi sufficienti così il progetto fu abbandonato e iniziò a lavorare al Gesù di Nazareth. Lì iniziai a collaborare come suo assistente, occupandomi di casting minore. Per i primi tre mesi di riprese stemmo in Marocco. Poi l’aiuto regista ebbe dei problemi cardiaci, così subentrai io e da lì in poi ho continuato a lavorare con lui sui vari set».
Zeffirelli l’ha adottata da adulto. Percepì reazioni particolari attorno a lei, tra famigliari o amici?
«Che vuole che le dica? Io sono cresciuto in una famiglia straordinaria, con dei genitori meravigliosi. Certo, il passaggio inizialmente è stato scioccante, perché mi trovai in un ambiente diverso. Eravamo nel mondo del cinema dove tutto era accettato, tutto era più libero e tranquillo. Nessuno criticava. Anche perché il rapporto tra noi era assolutamente normale e io non mi sono fatto problemi. Lui poi è diventato veramente come un genitore per me».
Nel privato Franco Zeffirelli che uomo era?
«Era un uomo di grande affetto e umanità. Trattava tutti bene. Poteva avere problemi con i divi del suo livello ma con la gente più semplice era sempre molto carino. Non ha mai rimproverato un cameriere o una cuoca. Era molto dolce».
La fede è stata un altro elemento importante della sua vita. Lo condividevate?
«La fede la viveva nel ricordo della madre alla quale tutte le sere prima di addormentarsi dedicava un Pater, un Ave Maria e un segno della croce. Quella madre che aveva perso a soli sei anni e per la quale la sua nascita fu motivo di scandalo, perché lui era figlio di un rapporto extraconiugale. Assieme andavamo a messa, ovunque ci trovassimo, a Natale, a Pasqua. Che fossimo a New York, a Parigi o a Roma dove frequentavamo la piccola chiesa del Quarto Miglio sull’Appia Antica. È stato sempre credente ma nonostante questo non è riuscito ad accettare l’idea di dover morire. Anzi l’ha odiata. Fino all’ultimo ha pensato al lavoro, a progetti splendidi e quest’idea della morte che si avvicinava sempre di più, l’ultimo periodo lo ha straziato al punto che proprio poco prima di andarsene, ci cacciò via tutti dalla stanza. Non volle essere toccato né abbracciato. Era furibondo».
A proposito di contraddizioni, il Maestro si definì omosessuale ma mai gay. Sosteneva che la sua condizione non fosse in conflitto con la sua fede. Erano argomenti che in famiglia affrontavate?
«Non li abbiamo mai affrontati a livello diciamo sociale o familiare. Lui era così, lo è sempre stato. Non gli era stato mai chiesto prima, poi alla fine ha voluto dirlo. Ma ha sempre accettato la sua omosessualità. Non ne parlava ma non ne ha mai nemmeno fatto mistero. Si sentiva vicino alle tradizioni dei greci e dei romani».
Con Pier Paolo Pasolini che tipo di rapporto aveva?
«Da quando sono arrivato io, nel ‘69, non li ho mai visti assieme ma so per certo che c’era stata una grande amicizia quando lui viveva ancora in via dei Due Macelli, poi si deve essere interrotta per visioni diverse sul mondo dell’arte. Ha sempre apprezzato Pasolini dal punto di vista intellettuale. Credo però non gli piacessero i suoi film».
Zeffirelli è morto a Villa Grande sull’Appia Antica a Roma. Cosa ha rappresentato quella residenza per lui?
«Un luogo di grande fascino in un complesso di 14 ville dove vivevano anche Soraya, Valentino, ambasciatori e calciatori. Il Maestro vi si trasferì nel 1966 quando stava preparando il Romeo e Giulietta. Decise di prendere una casa più grande per poter ospitare i protagonisti. I primi a passare di là furono, infatti, Olivia Hussey, Leonard Whiting, Micheal York e il produttore esecutivo. Poi ha deciso di restare in quella villa e quindi sono passati tutti i più grandi artisti che lui frequentava: Maria Callas, Barbra Streisand, le Kessler, Anthony Queen. Judi Dench e Maggie Smith venivano anche a Positano. E poi ancora Lenny Bernstein che quando si trovava a Roma era sempre lì con noi. La Magnani veniva ogni sabato sera. Voleva stare da sola con Franco. Rimanevano a chiacchierare fino a notte fonda».
Impossibile non parlare anche di un’altra grande amicizia quella con Silvio Berlusconi che porterà Zeffirelli in Senato. Che ricordi ha?
«Si conobbero per ragioni di lavoro quando Berlusconi comprò il Teatro Manzoni a Milano. Zeffirelli stava preparando la Maria Stuarda con Valentina Cortese e chiese di poterlo mettere in scena lì. Berlusconi ne fu ben contento anche perché lo spettacolo fu un successo magnifico. Dopo Zeffirelli si spostò in Sicilia per girare Storia di una capinera. Fu allora che arrivò la chiamata del presidente Berlusconi che nel frattempo era diventato grande amico di Zeffirelli, tanto da chiedergli una mano nella sua impresa per salvare la democrazia con Forza Italia. Zeffirelli si candidò proprio nel collegio di Catania e fu eletto con oltre 80 mila voti per due legislature. Ennesimo contributo importante alla vita del Paese».