Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 24 Lunedì calendario

Melania Mazzucco: “Quando scrivo divento nuvola. La creazione è un volo libero”

La scrittrice sulla leggerezza delle parole, il tema del Salone del Libro 2025: “Fare romanzi è il solo modo che conosco per non restare intrappolata in un corpo”
Melania Mazzucco, scrittrice, appare sullo schermo ed è come sempre un turbine di capelli e di parole: dice cose profondissime e spassose, mette addosso a chi la ascolta un po’ del suo fuoco.
La sentiamo per parlare di leggerezza, a partire dal tema del prossimo Salone del Libro, Le parole tra noi leggere.
Una volta ha detto che di Venezia, la sua seconda città, rivede in sé la gioia e una noncuranza chiacchierona. Dalla famiglia eredita invece l’ipocondria: come si conciliano le due nature?
«Dai Mazzucco ho ereditato la pesantezza della pietra. Il mio bisnonno era uno spaccapietre, e tutti quanti erano persone di grande durezza. Mi piaceva questo aspetto petroso della famiglia, però io sono una persona d’aria, anche per la mia astrologia: non ho solo la testa, ma proprio i piedi tra le nuvole (Mazzucco è della Bilancia, nata il 6 ottobre, ndr). Mi sono sempre sentita volatile come un granello di sabbia».
Ha trovato leggerezza in Diana Karenne, attrice del cinema muto a cui ha dedicato il suo ultimo libro per Einaudi?
«Molta: veniva paragonata a una farfalla. L’immagine più bella di lei viene dall’uomo che la ama: quando è già in campo di concentramento e ormai ha perso le speranze di ritrovarla perché c’è la guerra e si sono perduti, scorge una farfalla posarsi in un punto del campo. Sente che lei lo sta pensando, che la rivedrà, e trova la forza di vivere per aspettare questo incontro. Io non ho la sua levità, eppure mi sento la consistenza di una nuvola».
Che cosa le ha dato la scrittura che un altro mestiere non le avrebbe potuto dare?
«Un senso di infinità. Sono sempre stata insofferente a gabbie e ruoli, ho sempre temuto di restare intrappolata in un corpo, in una società, in una storia culturale. La scrittura invece è stata la finestra per lanciarmi nella libertà di essere ciò che speravo di essere».
L’incontro con suo marito Luigi Guarnieri vi ha generati a vicenda, mi aveva detto la volta scorsa: è insieme all’altro che ciascuno dei due è diventato se stesso. Un amore così capita per predestinazione o per fortuna?
«Io credo nei segni ma non credo nel caso. Le cose accadono quando permettiamo loro di manifestarsi. La fortuna sta nel fatto che tutto succede quando si è pronti, e questo in effetti non dipende solo da noi. Io e Luigi ci siamo incontrati giovani ma non giovanissimi, quindi entrambi avevamo una vita, casini, incertezze, fallimenti, determinazione a restare soli. Io mi sono sempre vista sola, non ho mai pensato di avere qualcuno vicino, di nessun sesso. Mi sono sempre sentita difficile, faticosa, esigente, una che nessuno avrebbe sopportato; e nemmeno ho mai pensato che avrei trovato qualcuno che mi sarebbe interessato per tutta la vita, perché le persone annoiano, dobbiamo stimarle enormemente più di noi per poterle amare, o almeno per me è così. Mai avrei immaginato che mi sarebbe stato dato questo dono. Che però poi ho saputo cercare, non è che mi è caduto in testa, anzi: Luigi l’ho corteggiato assai».
Come l’ha corteggiato?
«Ci siamo conosciuti al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove si stava sempre tutti insieme e sono nate amicizie che durano tuttora. Là in mezzo Luigi era il genio ombroso e divertentissimo, quindi corteggiato anche da ragazze molto belle, e io proprio lo conquistai con tenacia. Lui era ancora più riluttante di me a legarsi perché era più grande, aveva fatto le sue scelte. In realtà però nessuno dei due aveva ancora trovato la sua vita. Luigi era laureato in Lettere classiche e aveva davanti forse un futuro di archeologo, ma in verità era uno scrittore segreto, aveva prodotto centinaia di pagine di libri sperimentali di cui all’epoca fui credo l’unica lettrice. Anch’io ero una scrittrice segreta e non pensavo che avrei mai potuto vivere di scrittura. Sono sì figlia di uno scrittore, ma sono arrivata nella seconda fase della sua carriera, quando già non era più all’apice: la parte più bella della sua vita teatrale non l’ho vissuta; ho visto quella difficile, con lui che non riusciva a essere rappresentato e provava tanta amarezza per il mancato riconoscimento. Mi sembrava un’esistenza terribile e pensavo non mi sarei mai esposta a pubblicare, poi con Luigi mi sono data la convinzione che potevo».
Lei con chi ha i rapporti più facili e più felici?
«Con le amiche storiche: la mia compagna di banco Francesca, le amiche dell’università, quelle della squadra di pallavolo. A volte ci siamo perse, c’è chi è andata all’estero e poi è tornata, chi si è sposata due volte, magari ci siamo lasciate per anni, ma tuttora quando ci vediamo ci sentiamo profondamente legate. Uso il femminile perché sono quasi tutte donne, però ci sono anche due o tre compagni di strada uomini importanti. Forse dopo, quando diventi un personaggio pubblico, è più difficile farsi conoscere intimamente».
Le è capitato di attraversare periodi bui?
«Gli ultimi dieci anni sono stati spaventosi. A me piace stravolgermi la vita, e l’ho fatto: nella mia quotidianità sono entrate persone che avevano storie atroci, devastate, e siccome so relazionarmi solo stando dentro le sofferenze degli altri, tutti i loro patimenti sono stati anche i miei. A volte il fatto di non poterle salvare mi è pesato molto: ha significato fare i conti col fatto che l’amore può non bastare. Ma non esiste una notte ininterrotta: anche in quegli anni sono capitate cose belle».
Un suo modello di leggerezza nell’arte o nella letteratura?
«Il mio amato Tintoretto, benché non fosse un uomo leggero e non lo fosse la sua pittura. Ma da un punto di vista creativo sì: quando dipingeva, il suo pennello volava letteralmente sulla tela. Quasi non faceva disegni preparatori. Più che facilità, era un’ebbrezza. Vedere quel guizzo, quel volo mosso da un impeto creativo, mi ha sempre trasmesso gioia e libertà, anche se era un uomo tormentato. Ed è una cosa che capisco: nei momenti in cui mi sento abitata da ciò che scrivo non mi fermo neanch’io».
Una cosa che riesce sempre a renderla allegra?
«Volare. Avrei voluto prendere il brevetto da pilota, lanciarmi col paracadute. Quando ero piccola affittavamo una casa a Fregene, e ho imparato ad andare in bici accanto all’aeroporto: pedalavo lungo la recinzione della pista e sognavo. Adesso se un aereo decolla e io ci sono sopra sono felice».
Le capita mai di ballare o cantare di nascosto?
«Da sola no, io canto e ballo in pubblico. Quando sto sola sono molto silenziosa, invece con gli altri ci sono alcune cose per cui mi accendo. Racconto un episodio assurdo: anni fa mettemmo in scena un mio radiodramma a un festival; c’eravamo io e un’attrice. Lei, Patrizia Hartman, era la protagonista, e io avevo il ruolo della figlia ragazzina. Purtroppo a un certo punto questa figlia si mette a cantare Come as you are dei Nirvana, cosa di cui, sebbene il testo fosse mio, quando avevo accettato di recitare, non mi ero resa conto. E non si poteva non fare. Eravamo in piazza, c’erano tantissime persone, e ho cantato in inglese, stonatissima, senza base. Là ho capito che uno degli aspetti positivi dell’invecchiare è che si supera il senso di inadeguatezza: l’ossessione per il giudizio degli altri passa del tutto. E pensare che al liceo, a una festa di una compagna, ero rimasta tutta la sera nella stanza-guardaroba perché togliendomi il cappotto mi ero detta che non ero vestita bene per la sua casa e i suoi ospiti eleganti. Invece cantando i Nirvana a quel festival, anni dopo, ho pensato: vedi che bello non essere più una ragazzina, aver smesso di vergognarsi di tutto».
Se potesse vivere in un’altra epoca dove andrebbe?
«Ai tempi di Augusto o di Traiano, ma chiederei di nascere uomo».