La Stampa, 24 febbraio 2025
Arbore e il racconto di Bandiera Gialla: “Quel pezzo diventò subito il simbolo di una generazione”
«Pettenati era timido, venne da Gianni Boncompagni e da me per farci ascoltare questa canzone. Noi all’inizio eravamo restii» Per Renzo Arbore, Gianni Pettenati si identifica perfettamente con il programma che ha cambiato la storia della televisione moderna: Bandiera Gialla. Perché Gianni Pettenati era l’anima italiana di quella canzone, Bandiera Gialla, che diventò l’inno di una generazione giovane e ribelle all’acqua di rose che guardava al futuro con la rabbia di cambiarlo, a quel domani pieno di speranze e di promesse. Erano i favolosi anni Sessanta. E quel disco ne diventò un simbolo.
Arbore, come ricorda Gianni Pettenati?
«Ricordo perfettamente quel ragazzo timido che venne da Gianni Boncompagni e da me per farci ascoltare questa canzone. Noi all’inizio eravamo restii».
E perché?
«Non cercavamo una canzone sigla, sceglievano i dischi di Rocky Roberts e di altri che ci rappresentavano appieno. Era il 1966 e Gianni ci portò appunto The Pied piper del gruppo pop inglese Crispian St. Peters, incisa da lui. Ci piacque molto, oltretutto ci faceva piacere che una canzone diventasse sinonimo della generazione falsamente chiamata “Beat” su invenzione di Boncompagni e mia. Divenne un tormentone e un inno che rimaneva impresso nella memoria e che si sposava perfettamente con il programma Bandiera Gialla, e... “finché vedrai sventolar Bandiera Gialla e saprai che qui si balla e il tempo volerà”. Ne uscì anche un film, I ragazzi di Bandiera Gialla di Mariano Laurenti al quale parteciparono molti di quelli che frequentavano il programma».
Pettenati ne fu felice?
«Moltissimo. Era venuto a proporsi da ragazzo semplice quale era. Un bravo cantante di quella generazione beat dell’epoca, i New Dada, i Rocks, The Primitives, Equipe 84».
Un successone e nulla più?
«Era stato dimenticato, peccato, non fece tanti altri dischi. Ricordo le sue partecipazioni al Festival di Sanremo con il brano La Rivoluzione che fu salvata da Ugo Zatterin e l’anno successivo con La Tramontana che ebbe buoni riscontri e che lui cantava in tandem con Antoine».
In ogni caso il suo maggior successo fu appunto “Bandiera Gialla” che riassumeva le istanze giovani di quell’epoca ricca di fermenti.
«Per molti Bandiera Gialla è il titolo della canzone attribuita a Gianni Pettenati. Un manifesto casalingo del successo. La trasmissione era amata proprio da quei giovani che si contendevano la possibilità di entrare recuperando il prezioso biglietto d’accesso in studio di registrazione. C’erano, ancora sconosciuti, Roberto D’Agostino, Barbara Balombelli, Clemente Mimun e tanti altri».
Anni Sessanta...
«I sessant’anni del Piper e di quella generazione che sta perdendo i propri protagonisti. Anni meravigliosi anche dal punto di vista musicale».
Rischiano di essere dimenticati?
«Fortunatamente no. Il mio autore e amico Ugo Porcelli mi ha recuperato in libro scritto da Walter Veltroni, Il sogno degli anni Sessanta, con le testimonianze di chi quell’epoca l’ha vissuta da protagonista. Ci sono Lucio Dalla, Paolo Villaggio, Sandro Ciotti, Gianni Borgna, Mike Bongiorno, Bernardo Bertolucci e ci sono anche io. Ne esce uno spaccato bellissimo di anni formidabili, quando tutti eravamo protesi verso il domani; la musica non era politicizzata, c’era la Cinquecento è si viveva sicuri di fare parte di un mondo che avrebbe cambiato le cose. La storia ci dirà se, anche solo in parte, ci siamo riusciti».