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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Quegli scritti sulle donne "escluse" Perché Casanova era femminista

Trecento anni dalla nascita di Giacomo Casanova (2 aprile 1725): una serie di convegni, mostre e spettacoli ci accompagneranno lungo il 2025, non solo a Venezia, dandoci modo di conoscere meglio una figura complessa e dal respiro europeo che una narrazione stereotipata ha per lo più mortificato.Sappiamo molto del suo rapporto con le donne perché Casanova stesso ne ha raccontato ampiamente nelle sue memorie, alimentando consapevolmente l’immagine di amatore. Tuttavia in altri suoi scritti traspare un pensiero ben più articolato e possiamo verificare quanto il veneziano, ben addentro nella letteratura filosofica e scientifica anche di oltre confine, fosse in grado di partecipare al dibattito che si svolgeva attorno alle donne e al loro ruolo nella società e nella cultura settecentesca. E che al tempo doveva oramai tener conto di un allargato pubblico di lettrici nonché di letterate, scrittrici e scienziate, che non rimanevano in silenzio, specie se provocate.
Zecchini e l’utero 
È conosciuta, eppure piuttosto trascurata, la risposta che Casanova preparò a due libelli apparsi come anonimi a Bologna nel 1771 e che ebbe modo di leggere appena giunto in città alla fine di quell’anno. Avevano destato vaste discussioni e si sapeva che erano stati redatti in tono volutamente beffardo da due medici della locale università. Il primo opuscolo, di Petronio Ignazio Zecchini, si presentava col titolo Dì Geniali della Dialettica delle donne e voleva convincere gli uomini a perdonare le stranezze femminili e le donne ad accettare la loro inferiorità poiché la mente femminile non può che pensare “diversamente” dato che è in balia di un organo: l’utero.
Non si trattava però di una mancanza di capacità raziocinante, dote comune a entrambi i sessi, bensì di qualcosa capace di distrarre e alterare la loro “Logica naturale": «Voi altre Donne un viscere avete ornatissimo di nervi, che maravigliosamente vi predomina, ed urta lo spirito, e vi eccita quelle idee singolari, e tutte vostre Ho chiamato il vostro utero pensatore, non perché gli attribuisca già la facoltà di pensare Ma perché del vostro pensare egli è l’assoluto padrone, e se non è pensatore perché egli pensi, egli lo è perché fa pensarvi a suo modo».
Laura Bassi e il cervello
È ben vero che le donne hanno un cervello più piccolo, scriveva Zecchini, ma non è questa la ragione della debolezza della loro logica, né riguarda un minor numero di fibre nervose. Anzi, secondo un matematico queste hanno una grande energia tanto che «i pensieri delle Donne stanno ai nostri appunto come 2880 a 1». L’autore, che si riferiva alle teorie del medico olandese Johannes de Gorter sulla forza vitale, una corrente materialista, faceva parte, come ha ben sottolineato la studiosa Marta Cavazza, di quel “misoginismo scientifico” che si faceva strada nella seconda metà del Settecento e avrebbe portato alla fine del secolo con Pierre George Gabanis, medico della cerchia di Napoleone, alla dimostrazione della diversità e inferiorità femminile su base fisiologica che tanta parte avrà nella ridefinizione del ruolo delle donne nell’Ottocento.
È ben facile comprendere dunque qual era l’obiettivo di tale ironico libretto che si concludeva con l’esortazione: «Voi Donne dovete facilmente agli uomini assoggettarvi».
Ma in realtà vi erano ragioni meno “scientifiche”. Mentre ormai le donne prendevano parola su ogni questione, richiedendo l’accesso agli studi e proprio a Bologna si erano laureate due donne, Laura Bassi e Cristina Roccati, altre avevano fama di dotte, e molte ancora erano coinvolte nella diffusione della scienza moderna, Zecchini inviava un messaggio assai chiaro: «Credetemi, tanto poco vi si conviene la cattedra, quanto agli Uomini la toletta. Voi restate dunque nella vostra nativa semplicità».
Bologna tuttavia era stata dichiarata da un cronista bolognese «un paradiso delle donne» proprio per il numero di presenze femminili nei salotti, nelle conversazioni, nelle accademie, persino in qualità di spettatrici durante le sedute anatomiche che avvenivano specialmente a Carnevale. Zecchini si era trovato a competere sul suo stesso terreno con Anna Morandi che insegnava anatomia nel medesimo ateneo, ammiratissima e conosciuta ovunque per le sue cere riproducenti organi e corpi sezionati.
Lucrezio e lo sperma
L’altro opuscolo anonimo, Lettres de Madame Cunégonde a Madame Paaquette (personaggi del Candide di Voltaire), di Germano Azzoguidi, scritto in un francese strampalato, come aveva modo di sottolineare Casanova, criticava lo scritto di Zecchini e, conoscendo ciò che si nascondeva dietro tale mortificazione del sesso femminile, ricordava che la città aveva l’onore di avere due donne illustri in filosofia e anatomia e ne citava altre.
Casanova interveniva in questa polemica riprendendo il tono derisorio e la forma anonima nell’opuscolo intitolato Lana caprina. Epistola di un licantropo, indirizzato a un non ben specificata principessa. Col pretesto di «dare una strigliatina a due medicastri, che hanno impastrocchiato paroloni senza capo né coda» scriveva un trattatello che sorprende per la modernità di vedute e che inaugurava una critica alla costruzione culturale dei generi servendosi di una sorta di inedita sociologia. Sconfessava un approccio materialista che strizzava l’occhio a Lucrezio, e per il quale si poteva dedurre che, se la donna pensa con l’utero, era conseguente affermare che l’uomo pensa con lo sperma.
Casanova andava però oltre la boutade e individuava la causa sociale alla base della presunta debolezza del ragionamento femminile: «L’educazione, e la condizione della donna sono le due cagioni, che la rendono differente da noi nel suo sistema L’uomo ha tutto il suo potere, e la donna non possiede che ciò che le è donato dall’uomo». L’uomo con lo studio può affinare il suo intelletto mentre la donna non ne ha le possibilità. Le credenze e i pregiudizi dipendono dalle costrizioni esterne alla donna, come si nota osservando i costumi di altri popoli, «poiché allevata sotto un clima pensa in un modo, che sotto un altro penserebbe assai diversamente».
Casanova passava in rassegna e demoliva idee sulla vergogna e il pudore femminile, non indici di inferiorità fisica bensì frutto di condizionamenti, ribatteva alla critica sul lusso delle donne spiegando che si era fatto in modo che «la mondana felicità della donna dipenda dal piacere agli uomini», e osservava pure che «noi uomini abbenché senz’utero abbiamo un’estraordinaria inclinazione all’adornarci».
I latini e il pene
Il veneziano si inseriva pienamente nella querelle des Anciens et des Modernes, citando molte autorità del passato e del presente, da Democrito, Hobbes e Newton e molti altri, prendendo le distanze sia dagli estremi fautori dell’uomo macchina (La Mettrie) sia dai difensori del cerebralismo. E dava una stoccata ad Aristotele, il filosofo della classicità che più aveva danneggiato il sesso femminile che, secondo lui, «a causa dell’imperfezione della materia, non poteva arrivare al sesso perfetto» liquidandolo con un giudizio illuminante: «Che vergogna! Quando dobbiamo ringraziare Dio che questi peripatetici abbiano finito di tenerci il piè sul collo!».
Alla fine del libretto Casanova avvertiva che «una donna illuminata, che dimora qui in Bologna» dopo aver letto i due opuscoli aveva deciso di vendicarsi e intendesse dimostrare che gli uomini sono «diretti nelle loro operazioni, inclinazioni, pensieri, esecuzioni» dall’organo «che i latini chiamano mentula», ovvero il pene.
Si tratta di un’invenzione del veneziano o di una notizia che aveva raccolto? Sta di fatto che pochi mesi dopo Casanova chiedeva un incontro a Laura Bassi, laureata presso l’ateneo bolognese, prima donna a ricoprire una cattedra universitaria di filosofia naturale e di fisica sperimentale come docente e per di più retribuita. E Laura Bassi, come attesta la sua corrispondenza, lo invitò con molta cordialità a presentarsi a casa sua.