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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

La stazione si tuffa nell’oceano. Dopo 30 anni di onorato servizio, entro il 2030 la base spaziale internazionale verrà dismessa e finirà nel “punto nemo”, in fondo al pacifico. poi arriverà gateway: obiettivo luna, pensando a marte.

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Il point Nemo, Punto Nemo, è stato scovato nel 1992 dall’ingegnere e cartografo canadese di origine croata Hrvoje Lukatela grazie al programma informatico geo-spaziale Ipparco. Si trova nel pieno dell’Oceano Pacifico meridionale, a quasi 2.700 chilometri da qualsiasi lembo di terra abitato, fra l’isola di Pasqua, l’arcipelago di Pitcairn e l’isola antartica di Maher. Da quelle gelide parti non passa nessuno, se non qualche equipaggio impegnato nella Volvo Ocean Race, il giro del mondo a vela, ogni tre anni. A dargli il nome è stato lo stesso Lukatela, fan di Jules Verne fin da bambino, che tiene ancora la sua prima copia di Ventimila leghe sotto i mari accanto al computer. Sui fondali del luogo più remoto della Terra, a 3.700 metri di profondità, si trova però anche il più cospicuo cimitero di relitti spaziali del pianeta: quasi trecento, da quando nel 1971 si è deciso di farci precipitare i satelliti dismessi e i veicoli orbitali inservibili, soprattutto quelli grandi, che attraversando l’atmosfera non si disintegrano del tutto. Ben presto – in ogni caso non oltre il 2030 – laggiù finirà anche la Iss, la Stazione Spaziale Internazionale, il più grande manufatto mai messo in orbita, pesante 455 tonnellate e grande come un campo di calcio. La decisione ufficiale è stata resa pubblica dalla Nasa nel maggio scorso, con un documento che analizzava tutte le opzioni per disfarsene e illustrava la soluzione finale: la de-orbitation, la “deorbitazione”, in altri termini la caduta controllata attraverso l’atmosfera, fino al Punto Nemo.
Se ne parlava da tempo ma la questione è diventata scottante negli ultimi anni. Intanto perché – anche se al suo interno si svolgono ricerche e test sofisticati – la struttura portante della stazione costituisce ormai quasi un esempio di archeologia spaziale. Progettata negli anni Ottanta, costruita a partire dai Novanta, abitata dal 2000, era destinata a durare fino al 2015. Poi la sua vita è stata estesa al 2024, infine al 2030, quando appunto compirà trent’anni… che però comincia a portare maluccio. Girare intorno al mondo a circa 400 chilometri di altezza e alla velocità di 28mila chilometri all’ora costituisce già uno stress. A ciò si aggiungono gli scossoni ogni volta che i veicoli spaziali si agganciano o si sganciano, per caricare e scaricare astronauti, rifornimenti e strumenti.
 
Sedici tramonti al giorno
La radiazione cosmica degrada i sistemi più delicati. La temperatura esterna passa da 160 gradi sottozero a +120 per 16 volte al giorno (tante sono le “albe” e i “tramonti” che si alternano in ventiquattr’ore), e molti componenti dello scafo subiscono un continuo processo di dilatazione e contrazione. In più, a causa dell’attrito con la pur ridottissima atmosfera esterna, la stazione perde ogni giorno un centinaio di metri di quota, e il cargo russo Progress, sempre agganciato alla struttura, deve accendere i motori per riportarla su, come un rimorchiatore dello spazio. Insomma, la Iss si consuma. Nel settembre 2019, nello scafo del modulo russo Zvezda si è aperta una fessura di 22 millimetri, con relativa perdita d’aria. Si è riusciti a metterci (letteralmente) una pezza tuttavia la perdita continua, probabilmente perché esistono altre minutissime crepe. Peccato che l’aria, come l’acqua e il cibo, debba essere portata sulla Iss dai cargo di servizio. Nel maggio 2021 un micrometeorite ha perforato il Canadarm 2, il braccio robotico canadese impiegato per operazioni all’esterno della stazione. Nello stesso anno l’assetto della struttura è stato messo a serio rischio da un’accensione spontanea dei motori del modulo Nauka. In realtà è proprio il segmento gestito da Roscosmos, l’equivalente russo della Nasa, a creare più problemi, anche perché è il più obsoleto. Lo ha confermato anche l’astronauta Sergej Ryazanski, durante una chat con i lettori del magazine Novosti Kosmonautiki. «La maggior parte del nostro tempo se ne va in manutenzione. Quando qualcosa si guasta nel loro settore, gli americani cambiano semplicemente il pezzo. Noi invece facciamo da elettricisti, idraulici, meccanici, facchini e spazzini». I dirigenti di Roscosmos l’hanno ammesso: l’80 per cento delle tecnologie della loro sezione è già andato ben oltre la data di scadenza… e dunque ben venga la de-orbitation. Tanto che il loro impegno con la Iss – è già stato annunciato – finirà nel 2028, cioè con due anni di anticipo.
 
Ma a chi appartiene la Stazione? Chi comanda? Chi può decidere quando e come tirarla giù? La situazione non è semplice. All’inizio l’accordo era solo fra Usa e Russia. Ben presto però si sono aggiunti altri partner: Canada, Giappone ed Europa, o meglio l’Esa, l’Ente spaziale europeo che partecipa con le agenzie di undici Paesi, Italia compresa. I relativi governi hanno firmato un accordo di cooperazione detto Iga (Iss intergovernmental agreement) che regola la partecipazione e la convivenza in orbita. Le varie agenzie nazionali si sono poi impegnate nei Mou (Memoranda of understandings), per regolare i diritti di utilizzo della struttura. Ne risulta un regime giuridico molto articolato che prevede, fra l’altro, come all’interno di ogni singolo modulo si applichino le leggi nazionali del Paese che l’ha realizzato, e che ne è responsabile. Che però si debba andare tutti d’accordo è ovvio, perché ogni settore è dipendente dagli altri e nessuno può far da sé. Per esempio, se i russi provvedono alla propulsione in orbita grazie al rimorchiatore Progress, sono i giroscopi americani a verificare l’assetto della stazione e a dettare le manovre. E dunque chi decide? In effetti la Iss è una specie di condominio orbitale: all’assemblea partecipano tutti i condomini, ognuno per la propria quota di proprietà, ma alla fine si vota, e a decidere è la maggioranza dei millesimi. E chi ha la maggioranza? La Nasa naturalmente: dei 17 moduli principali che compongono la struttura 6 sono russi, uno è europeo (il Columbus) e uno giapponese. Il resto è made in Usa: solo per la Iss la Nasa spende da 2 a 4 miliardi di dollari all’anno. Tanto per dire: l’uso della stazione (strumenti, servizi, voli e trasporti) è correlato all’impegno economico. Ebbene, all’intero insieme dell’Esa non va più dell’8,3 per cento delle risorse e del tempo disponibile (e l’Italia è il 19 per cento dell’Esa)…
Così la Nasa ha deciso: nel giugno 2024 ha commissionato a SpaceX di Elon Mask una versione speciale della navetta Dragon, quella che dal 2012 cura i collegamenti con la Iss: 843 milioni di dollari per un unico veicolo che aggancerà la Iss e ne guiderà la discesa. Già l’8 novembre scorso un Dragon ordinario ha provato la manovra, e solo con 4 dei suoi 16 motori (ma saranno 46) non ha avuto problemi a modificarne assetto e orbita.
 
L’astronave fantasma
L’intera operazione potrebbe durare alcuni anni, ma in caso di emergenza è prevista una procedura di soli sei mesi. Da principio si lascerà che la Iss perda quota da sé, come già fa adesso, scivolando sempre più in basso. A 320 chilometri d’altezza gli astronauti l’abbandoneranno. Diventata una sorta di astronave fantasma, continuerà a scendere fino a che (a 220 chilometri) il Dragon entrerà in funzione: dovrà mantenere la rotta di caduta verso il punto Nemo, resistendo a venti sempre più impetuosi, alle perturbazioni e variazioni di pressione, ai movimenti sempre meno controllabili della Iss, che comincerà a bruciare e andare in pezzi. Non si sa con esattezza quanto di essa sarà già incenerito al momento dell’impatto con l’oceano, ma secondo la Nasa dovrebbe restarne almeno il 16 per cento… cioè un meteorite metallico di una settantina di tonnellate.
 
Scomparsa la Iss, in orbita resterà la stazione spaziale cinese Tiang Gong, attiva dal 2022. Ma nei programmi Usa ci sono stazioni spaziali “private”, più piccole ma più moderne e funzionali. La Nasa ha già finanziato tre gruppi: Blue Origin di Jeff Bezos (130 milioni di dollari), la texana Nanoracks (160), la Northrop-Grumman (125). In attesa del Gateway (internazionale come l’Iss) in orbita fissa intorno alla Luna, e per fare da trampolino verso Marte.
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