La Stampa, 24 febbraio 2025
Processo Gancia, alla sbarra gli anni di piombo
Gli Anni di piombo non finiscono mai. Al Tribunale di Alessandria, torna in aula mezzo secolo dopo una delle pagine più insanguinate di quel periodo: lo scontro a fuoco tra brigatisti rossi e carabinieri alla Cascina Spiotta dopo il sequestro di Vallarino Gancia. Era il 5 giugno 1975. Persero la vita l’appuntato Giovanni D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol. Il generale Umberto Rocca, allora giovane tenente de carabinieri, rimase gravemente ferito. Sul banco degli imputati ci saranno Roberto Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini. Hanno 84, 79 e 82 anni, un’età in cui la vita ha ormai poche cose da aggiungere. Ma la Giustizia ha ancora tante cose da inseguire e da capire, e forse non finiremo mai di cercarle. I primi due, capi delle Br, sono accusati di essere i mandanti di quel rapimento. Azzolini, invece, di essere il terzo, misterioso uomo sfuggito alla cattura. È per questo, per dare un nome a quel terrorista, che Bruno D’Alfonso, il figlio dell’appuntato ucciso, aveva presentato un esposto che 4 anni da dette il via alle indagini: «Voglio solo sapere chi è stato a uccidere mio padre. Non so se sia stato Azzolini, ma quello che chiedo è che si possa arrivare a una verità storica». Azzolini, va detto, fu prosciolto nel 1987, ma la sentenza andò perduta nell’alluvione del 1994. «Non si può riprocessare una persona perché lo Stato ha smarrito un documento», protesta il suo avvocato, Davide Steccanella. Che forse sarebbe pure un assurdo. Ma cosa c’è che non è assurdo di quegli anni?Così riavvolgeremo ancora una volta il nastro della storia. Per quel rapimento i terroristi avevano scelto la cascina Spiotta d’Arzello come prigione della vittima, una costruzione isolata sulle colline del Monferrato molto vicina al luogo del rapimento, utilizzata da anni dai brigatisti che erano stati visti in parecchie occasioni dagli abitanti del posto. Vittorio Vallarino Gancia era l’amministratore delegato dell’importante ditta vinicola Gancia. Fu sequestrato dai banditi il 4 giugno 1975 vicino alla sua villa. Il mattino del giorno dopo, alle ore 7, al tenente Umberto Rocca, nonostante avesse già lavorato tutta la notte fino alle 4,30, fu ordinato di riprendere i rastrellamenti in seguito all’arresto fortuito di un brigatista, Massimo Maraschi, rimasto coinvolto in un incidente. Uscì dalla caserna su una Fiat 127 assieme al maresciallo Rosario Cattafi e all’appuntato Giovanni D’Alfonso, ai quali si era aggiunto Pietro Barberis, del nucleo di polizia giudiziaria della procura. Dopo aver controllato un castello e altre due cascine, raggiunsero quella denominata Spiotta d’Arzello alle 11,30. Una stradina impervia e in salita s’arrampicava fra curve tortuose per una collina, sulla cui sommità sorgeva la costruzione formata da due blocchi. Davanti c’era uno spiazzo con un pozzo e un forno. Sotto un porticato, c’erano auto, il che significava che la casa era abitata. Il tenente Rocca assieme al maresciallo cattafi bussò alla porta, mentre D’Alfonso era rimasto nel cortile. Dall’interno udirono il rumore di una radio e l’ufficiale scorse una donna che li stava osservando dietro le persiane di una finestra. Venne ad aprire un giovane e i carabinieri lo invitarono a uscire per un controllo. Ma quello strappò con i denti la sicura di una bomba e la lanciò verso il tenente che ebbe solo il tempo di alzare il braccio sinistro. La bomba esplose vicino al gomito, gli amputò l’arto e lo ferì gravemente al volto. Stava perdendo un mucchio di sangue, ma non cadde a terra e reagì al fuoco, continuando a dare ordini ai suoi uomini. Uscirono di corsa due giovani, quello che aveva lanciato la bomba e la donna, che salirono sulle macchine sotto il porticato cercando di fuggire, sparando con armi automatiche verso i militari. L’appuntato D’Alfonso venne colpito a morte da numerosi proiettili. I due brigatisti si trovarono la strada bloccata da Barberis. Mara Cagol finì con la sua auto contro la 127 dei carabinieri. L’auto dell’altro invece si schiantò su un salice. La donna sembrava ferita e urlò che si arrendeva. Ma il suo complice, nascosto dietro di lei, tirò un’altra bomba a mano. Barberis evitò l’esplosione e sparò altri tre colpi di pistola. La brigatista cadde al suolo morente. L’uomo invece si dileguò nella boscaglia. Alla fine del conflitto, D’Alfonso giaceva a terra in gravissime condizioni mentre Mara Cagol stava spirando. Il terzo uomo era sparito.Per dargli un nome così si torna in aula 50 anni dopo. Gli avvocati della difesa hanno richiamato nella loro memoria quello che disse nel 2008 l’eroe ferito di quel giorno lontano, il tenente Rocca: «Sono passati 30 anni, la guerra è finita, i nemici si stringono la mano, possiamo anche dire che va bene, anche se non accetto che ce li ritroviamo in Parlamento, all’Università. Gli scheletri ci sono da ambedue le parti». —