il venerdì, 22 febbraio 2025
Dimenticate il vecchio tendone
San Pietroburgo, sulla sponda orientale del canale Fontanka, che un chilometro dopo si riversa nel fiume Neva, esiste ancora: un grande edificio rotondo arancione, con stuccato in caratteri cirillici bianchi il nome Circo Ciniselli. Oggi è “Il Grande Circo di Stato di San Pietroburgo”, ma il nome storico è rimasto in voga tra i locali. «A fondare uno dei più importanti circhi stabili russi furono proprio i milanesi Ciniselli, gli stessi che a Milano qualche anno prima avevano fatto realizzare l’edificio stabile in legno che poi sarebbe diventato l’attuale Teatro Dal Verme. Era una famiglia di cavallerizzi che, prima di Milano e San Pietroburgo, aveva lavorato anche a Berlino, in Olanda e in Svizzera», racconta Alessandro Serena, storico del circo già docente in diversi atenei italiani e “nipote d’arte”. Sua madre, Loredana Nones, era infatti sorella di Walter Nones, marito di Moira Orfei.
Quella del circo Ciniselli è una delle tante vicende che si leggono nel suo Storia del circo, appena ripubblicato in un’edizione aggiornata per la casa editrice Odoya. «È un libro che sto scrivendo da una vita, più o meno da quando i miei genitori mi dissero che non avrei dovuto fare l’artista, e io decisi che mi sarei occupato di studiare l’aspetto culturale e storico».
Perché non volevano che facesse l’artista?
«C’era bisogno che qualcuno studiasse per occuparsi dell’organizzazione degli spettacoli. Quindi mi fermai a far le superiori a San Donà di Piave, poi il Dams. Per fortuna fin dai 21 anni mi mandarono in giro per il mondo a fare scouting: nel tempo libero andavo per biblioteche e archivi a cercare tracce di storia del circo».
Allora il circo in Italia era ai massimi splendori, oggi sembra sparito.
«Al contrario. Solo perché continuiamo ad associare il circo al tendone itinerante gestito dalle grandi famiglie di circensi: Orfei, Togni, Bellucci. Quel modello è diventato di nicchia, ma le arti circensi sono più vive che mai: le si trovano negli spettacoli di circo contemporaneo, nei parchi divertimenti, a teatro. Addirittura si stanno affermando come sport: sono nate molte scuole di circo che non puntano solo a formare professionisti ma anche atleti. Nella zona dove un tempo a Milano si installavano i tendoni, oggi sorge la modernissima piazza Gae Aulenti. Tutto perduto? No, dato che nella vicina Biblioteca degli alberi è nato un festival di circo contemporaneo».
E il tendone rosso e bianco?
«Quello si è imposto dalla seconda metà dell’Ottocento negli Stati Uniti, e in Italia soprattutto dal secondo dopoguerra. Ma prima trapezisti, giocolieri, illusionisti, domatori, clown, acrobati e freaks si esibivano nei loro numeri individualmente per strada, nelle feste popolari o nei teatri stabili e di varietà».
A un certo punto qualcuno tentò anche di opporsi alla loro diffusione.
«Soprattutto in Francia e Inghilterra nel Settecento, perché le compagnie di attori teatrali, che erano più influenti dei circensi ma guadagnavano di meno, fecero approvare leggi che riservassero ai soli attori di teatro la facoltà di esibirsi in spettacoli con dialoghi».
Oltre ai Ciniselli, ci furono altri circensi italiani famosi all’estero?
«Antonio Franconi fu tra i fondatori del circo francese; oppure i Fratellini, un gruppo di tre clown che era il più amato dagli artisti e intellettuali francesi della Belle Époque: Raymond Radiguet e Jean Cocteau crearono dei personaggi basati su di loro. Il bergamasco Enrico Rastelli, negli anni 20 del secolo scorso, era il giocoliere più famoso al mondo. Si era formato nei circoli itineranti russi e dall’incontro con un giocoliere giapponese imparò tecniche mai più eguagliate, come un numero con otto piatti e un vaso tenuto in equilibrio sulla fronte. Purtroppo morì a soli 35 anni per una piccola ferita che si era procurato in scena: era emofiliaco».
A dimostrare l’importanza che aveva il circo basta osservare le molte copertine dedicategli dai settimanali illustrati: sul numero del 17 agosto del 1947 dell’Illustrazione del popolo si vede un acrobata su un trapezio appeso a un piccolo aeroplano che vola sopra il Duomo di Milano.
«Era Giovanni Palmiri: una famiglia di circensi specializzata in numeri da brivido. Erano stati bloccati in Germania dalla guerra otto anni e avevano fatto il voto che, se si fossero salvati tutti, una volta tornati avrebbero portato dei fiori alla Madonna: lo hanno fatto nel modo più spettacolare possibile. Peccato che due anni dopo Giovanni perse la vita in un numero con la motocicletta a 20 metri da terra. Già in precedenza aveva avuto un infortunio in Germania: “Il medico disse che era necessario numerare i frammenti di ossa per rimetterli assieme”, raccontò ai giornali. Suo fratello Egidio fonderà la prima accademia di circo italiana, a Verona, che esiste tutt’ora».
Poi nel secondo dopoguerra si affermò il format del tendone.
«Si racconta che Darix Togni a Milano lo allestisse nelle voragini scavate dalle bombe, segno della vita che rinasce in un luogo di morte. Tra gli anni 60 e 90 del Novecento in Italia il circo è stato lo spettacolo popolare per eccellenza, amatissimo anche dalla cultura alta. Basti pensare al ruolo che ha nella cinematografia di Fellini, o al fatto che Paolo Grassi fu vicepresidente del Club amici del circo. I circensi erano delle star: mia zia Moira e Liana Orfei hanno recitato in moltissimi film e Fellini volle Nando Orfei sia ne I clowns sia in Amarcord».
Ma le origini delle arti circense non sono soltanto ludiche.
«Tra le più antiche testimonianze visive delle arti circensi ci sono le raffigurazioni nella tomba egiziana di Beni Hassan, del 2040 a.C. Molti studiosi sono convinti che le tre discipline classiche del circo – i virtuosi del corpo, gli ammaestratori di animali e i comici – abbiano in nuce elementi religiosi e sciamanici. Del resto, tutte hanno a che fare con i limiti: i virtuosi del corpo tentano di superarli, gli ammaestratori incontrano quelli dell’animale, vedendo in lui qualcosa di simile a sé ma anche diverso, e i clown esplorano il terreno del riso, che è perdita di autocontrollo».