Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 24 Lunedì calendario

Luciano Rispoli raccontato dal figlio

Alessandro Rispoli, ricorda la prima volta che vide suo padre Luciano in tv? «Era il 1975, avevo cinque anni, mi fece impressione, non capivo. Presto divenne routine e mi stupii quando, da ragazzino, lo accompagnai al Giffoni Festival e i coetanei mi chiesero che differenza c’era fra un “papà normale” e lui. Ma non ce n’era nessuna e lui trattava allo stesso modo l’autista e il presidente della Repubblica».
Negli anni ’80, era celebre fra i giovanissimi per «Parola mia», il preserale di Raiuno in cui insegnava l’etimologia, la letteratura. Dava lezioni anche a voi figli?«Un po’: a cena, si allenava con noi. Ci riprendeva se sbagliavamo un verbo, correggeva la dizione, ma in modo giocoso, non era un papà autoritario».
Nel ’74, condusse un programma sui bambini, «Parliamo tanto di loro», in cui cercava di capire quanto le famiglie conoscessero i propri figli. Lui quanto conosceva voi tre?«Conosceva il macro ed era ultrapresente se c’erano problemi, ma lavorava tanto fuori casa e fuori Roma. Per esempio, «Parola mia» andava in diretta da Torino e lui tornava il venerdì sera: la quotidianità apparteneva a mia madre. E lui si fidava tantissimo di lei: la chiamava dopo ogni puntata per chiederle com’era andato».
Anche quando ormai aveva accumulato migliaia di ore in diretta?«Non ha mai smesso, la considerava la voce del pubblico. Per esempio, fu di mamma l’idea di ingaggiare Melba Ruffo di Calabria al Tappeto Volante. La vide a una cena in un’ambasciata e gli disse: dovresti metterti accanto una ragazza così. Mamma era una sorta di braccio destro. E papà era abbastanza temuto sul lavoro, per cui, c’era chi chiamava lei per intercessioni varie. Rita Forte, che ha lavorato con lui per tanti anni, chiamava spesso mamma».
Come si erano conosciuti i suoi genitori?«Papà era un neo assunto nella Rai appena nata, mamma lavorava nell’ufficio di fronte, impiegata dell’Inam. Si guardavano dal balcone. Si frequentarono per qualche anno, ma papà stentava a fare la proposta di matrimonio, al che lei lo lasciò informandolo che sposava un altro. Ma era un bluff e appena papà le disse “non ti sposare, ti sposo io”, lei rispose: quando?».
Nozze officiate da Padre Pio. Come mai?«Gli era devota la nonna paterna. Papà accettò soprattutto perché il frate sposava solo alle cinque del mattino, il che gli consentiva di risparmiare sul banchetto. Ai tempi, non aveva tanto denaro».
Testimone di nozze, Gino Latilla, il cantante della casetta in Canadà.«Doveva fare anche le riprese in chiesa, ma si perse nel convento. Raccontò poi che, mentre vagava, si era imbattuto per tre volte in Padre Pio, cosa che l’aveva confortato, pensando che fosse in ritardo anche il celebrante. Ma Padre Pio stava sposando mamma e papà: Latilla era stato testimone di un episodio di bilocazione del santo. Papà non era un credente praticante, ma la volta che intervistò Padre Pio, sentì profumo di rose senza che ci fossero le rose e il frate gli predisse che avrebbe avuto quattro figli. Così è stato, ma il primo di noi morì dopo il parto».
Cosa fate, oggi, voi fratelli?«Io sono manager in una grande azienda, Valentina è avvocato, Andrea è programmista-regista. Nessuno ha scelto la carriera davanti alle telecamere. Io ho fatto il produttore degli ultimi programmi di papà, a Odeon, a Canale Italia, quando era rimasto fuori dalle grandi tv e aveva bisogno di supporto. Sino alla fine, non ha mai smesso di pensare a nuovi programmi. È stato per tutta la vita casa e lavoro, mamma faticava a portarlo fuori a cena. Faticava anche a buttargli scarpe e vestiti vecchi: doveva farlo di nascosto. A papà era rimasto il ricordo della povertà subita durante la guerra».
Il padre era stato prigioniero dei tedeschi e non si era mai ripreso, il fratello partigiano era stato ucciso in una retata, la sorellina era morta di meningite davanti a lui. Che cosa raccontava delle tragedie vissute?«Assolutamente nulla, alcune cose le ho scoperte leggendo «Ma che belle parole!» la biografia firmata dal suo storico collaboratore Mariano Sabatini. Papà è sempre stato concentrato sul presente e sul futuro».
«Ma che belle parole!» era una sua celebre espressione, un po’ come per Mike Bongiorno Allegria!«Era il motto conclusivo di Parola mia e la parte importante della frase era la seconda: la televisione è la televisione, ma un buon libro è sempre un buon libro».
Aveva inventato, nel ’75, con «L’Ospite delle 2» il talk show e, nell’83 con «Pranzo in tv», il dinner talk, ma non sempre gli era riconosciuto. Se ne lamentava mai?«Era un po’ amareggiato verso chi gli non riconosceva l’apporto dato allo sviluppo di radio e tv, anche da direttore del Dipartimento Scuola Educazione e, prima ancora, da direttore dei programmi Radio Rai, dove fu lui a volere Bandiera gialla e Chiamate Roma 3131, inventando la partecipazione del pubblico da casa, meriti riconosciuti più dalle persone comuni che dai dirigenti Rai. Oggi, come famiglia, ci piacerebbe vederlo più ricordato quando si celebra la storia di radio e tv. Fiorello ha proposto di dedicargli una sala nella sede di Radio Rai di via Asiago, inascoltato. Eppure, papà, proprio alla radio, lanciò tanti talenti».
Boncompagni con «Bandiera Gialla» e chi altri?«Fu il primo a far lavorare Maurizio Costanzo, come autore di Canzoni e nuvole; Paolo Villaggio con Il sabato del Villaggio; Paolo Limiti come autore de La Maga Merlini e Raffaella Carrà. Le diede un microfono e le disse: vai in giro per Roma, vediamo cosa fai fare. Era il 1969 e Raffaella col microfono a tracolla fu il suo esordio radiofonico. Fu lui, quando conduceva alla radio Tele Squadre, a far esibire per la prima volta un ragazzo di nome Pippo Baudo in un paesino della Sicilia. E fu lui a convincere Corrado a fare la Corrida».
Si narra che fra loro non corresse buon sangue e che ai Telegatti del ’96, presentati da Corrado con suo padre candidato, Corrado neanche lo menzionò.«Io non c’ero. Ho poi sentito raccontare che, uscendo avvilito dal teatro, papà fu avvicinato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni che lo riempirono di complimenti, risollevandogli l’umore».
Quale suo programma amò di più?«Il Tappeto volante, perché a Tmc si sentiva libero. Fece duemila puntate e ebbe quindicimila ospiti».
Una volta, disse: «Le caratteristiche del mio segno, il Cancro, corrispondono in pieno alle mie: sono permaloso, ombroso, di umore variabile, lunatico, fantasioso, creativo, sensibile, malinconico». Era così?«Sì».
Aveva così tanti difetti?«Non tutti insieme. Aveva momenti di malinconia. Poteva arrabbiarsi per una cosa, ma dopo mezz’ora gli tornava il sorriso. Viveva con sofferenza le critiche sbagliate, ma con lui si poteva scherzare su tutto, non nei cinque minuti al mese in cui era arrabbiato».
In un’intervista per i suoi 80 anni, disse «la vecchiaia fa schifo».«Lo infastidiva non poter lavorare come voleva ai ritmi che voleva e questo è accaduto parallelamente a una certa dimenticanza della tv verso di lui. Ha sofferto di non essere più considerato in grado. Per tutta la vita, ha lavorato anche di sabato e domenica, quando scriveva, leggeva, faceva riunioni. In vacanza, si annoiava. Negli ultimi anni, non lavorare aveva peggiorato le sue condizioni fisiche».
Raccontò di un pacemaker, dicendo che non andava mai bene: i battiti erano troppi, a volte troppo pochi e che la frequenza era perfetta solo quando lui era in onda.«Credo che si riferisse a una volta che gli avevano messo per 24 ore un holter per la pressione, che effettivamente rilevò valori perfetti solo durante la diretta. Di sicuro, alla fine, quando lo accompagnavo a qualche evento di lavoro, sembrava incredibilmente rinascere e riaccendersi».