il manifesto, 22 febbraio 2025
Charles Monroe Schulz era un grande appassionato di baseball e hockey: se ne trova traccia in duemila, leggendarie strisce
I Peanuts comparvero la prima volta su sette quotidiani statunitensi nel 1950 e quando fu pubblicata l’ultima striscia, un quarto di secolo fa, avevano colonizzato le pagine di tremila periodici in tutto il mondo. Il loro geniale creatore, Charles Monroe Schulz, era morto il giorno prima, il 12 febbraio 2000, portandosi nella tomba autorevoli e meritati elogi. In Italia, Umberto Eco aveva scritto che il fumetto lo sospingeva sulle «soglie di una meditazione», grazie a un disegno capace di dominare ogni «minima sfumatura psicologica»; Federico Fellini aveva collocato Schulz nel novero dei maggiori cartoonist d’oltreoceano, quelli che avevano protetto l’infanzia della sua generazione «dalla distorta educazione della famiglia, dalla chiesa e dal fascismo».
Nonostante nessuno abbia continuato la saga, i Peanuts non cessano di essere un fenomeno planetario, a dimostrazione dell’universalità e della profondità dei temi trattati. Fra questi, un posto d’onore spetta senza dubbio allo sport, cui l’autore ha dedicato quasi duemila strisce. Del resto, Schulz ammise più volte che nella sua opera c’era molto di se stesso e lo sport era una parte preminente della sua vita.Nato in Minnesota nel 1922, Schulz giocava a hockey sulle strade ghiacciate di St. Paul e sulla pista che il padre barbiere aveva costruito nel cortile di casa, dove testava le ginocchiere che la madre gli faceva con sacchi di juta imbottiti di giornali. Quando la celebrata carriera lo spinse a prendere casa nella più soleggiata California, non smise di amare l’hockey e nel 1969 finanziò addirittura la costruzione di un palazzetto del ghiaccio a Santa Rosa, nei cui locali installò l’ufficio dove si sarebbe recato ogni giorno a lavorare come un comune impiegato e dove avrebbe anche organizzato un torneo per veterani dilettanti che è diventato il più grande torneo senior del mondo. Per tutte queste benemerenze, nel 1993 Schulz fu persino inserito nella Hockey Hall of Fame di Toronto.
Praticante e tifoso, Schulz attinse a piene mani all’inesauribile giacimento di senso dello sport, rifuggendo dagli stereotipi e sciorinando una vasta e profonda conoscenza delle diverse discipline, come traspare ogni volta da minuti dettagli, accenni dotti e calzanti riferimenti. Nello sport trovò un prisma ideale per interpretare e rappresentare i dilemmi che punteggiano l’esistenza dei suoi sagaci bambini: «Le sfide che lo sport ti presenta» ebbe modo di riconoscere, «operano meravigliosamente come caricatura delle sfide che affrontiamo nei cimenti più seri della nostra vita». Ecco perché i suoi personaggi sono spesso disegnati in gare, competizioni e allenamenti: il sacro baseball è un’ossessione a volte dolorosa – per Charlie Brown –, a volte benevola – per Piperita Patty –; il fanatico pianista Schroeder si trasforma sul diamante in un serafico ricevitore e il mite Linus non arretra di fronte al rude football americano, purché armato della sua consolante coperta. Persino l’inetta Lucy potrebbe esibirsi in una presa al volo se solo non l’accecassero le lune di Saturno, mentre il camaleontico Snoopy lancia la sfida ai giganti del golf nel Masters di Augusta, scivola a bordo della ciotola per ripidi pendii innevati come un impavido slittinista e programma di iscriversi a Wimbledon in coppia con il garage, un partner affidabile che non commette mai fallo di piede. Con surreale e spassoso contrappasso, è il minuscolo Woodstock uno dei più accaniti giocatori del brutale hockey, dedito a violente partite sulla superficie gelata della sua vasca per uccelli e intento a levigare il ghiaccio con una bustina di tè.Poiché i miti hanno i loro miti, Schulz nutriva una venerazione per l’amica Billie Jean King, la tennista che negli anni ‘60 e ‘70 spese il suo carisma di n. 1 del mondo per promuovere la parità di genere nello sport e per sostenere la causa delle persone omosessuali, dopo aver svelato di essere lesbica lei stessa. King cominciò ad aleggiare nelle strisce, citata dai vari protagonisti e tratteggiata in ben due personaggi: caratterialmente in Piperita Patty, d’indole indipendente e atleta naturale, afflitta da sconfortanti esiti scolastici, ma capace di strabilianti prove agonistiche, per di più compiute calzando diuturnamente sandali affatto funzionali; somaticamente in Marcie, alunna provetta ma irrecuperabilmente inabile agli sport, provvista dello stesso caschetto nero e dei medesimi occhiali démodé della campionessa di tennis. Fu proprio attraverso lo sport che il sostegno di Schulz per il movimento di liberazione femminile venne prepotentemente alla luce, inducendo l’autore a derogare a un principio che aveva sempre rigorosamente rispettato.
Schivo e riservato, Schulz aveva infuso la stessa natura alle sue «personcine», che si erano sempre astenute dal prendere politicamente posizione in maniera aperta ed esplicita, preferendo riflettere in modo indiretto e traverso sulle tensioni sociali, psicologiche, esistenziali e filosofiche del «secolo breve»: di tanto in tanto, l’attualità «vera» penetrava nel cartoon, ma sempre filtrata da una singolare miscela di saggio disincanto e fanciullesco candore. Almeno fino a quando l’onda lunga del femminismo non invase le aule del Congresso.Nel 1972, fu approvato il cosiddetto Titolo IX, uno stringato codicillo, sottovalutato dagli stessi legislatori, il quale statuiva: «Nessuno negli Stati Uniti deve, sulla base del sesso, essere escluso dalla partecipazione, o vedersi negati i benefici, o essere soggetto a discriminazione nei programmi educativi o nelle attività che ricevono l’assistenza di finanziamenti federali». King aveva contribuito al passaggio della legge: chiamata a riferire nelle aule parlamentari, aveva riportato la sua testimonianza personale e denunciato l’assenza di pari opportunità nell’accesso ai programmi di educazione fisica nel sistema americano dell’istruzione.
Allora, solo una ragazza su ventisette giocava nelle squadre scolastiche o universitarie e le donne si spartivano appena il due per cento dei fondi destinati alla promozione delle attività atletiche nelle scuole. La rituale offerta per le studentesse era un posto nel gruppo delle cheer-leader o nella classe di danza, mentre quelle che superavano la ghettizzazione dovevano accettare di allenarsi all’alba o a notte fonda, quando i colleghi maschi lasciavano liberi gli impianti. La NCAA, l’organizzazione responsabile dello sport nei college e nelle università americane, sabotò la norma, osteggiandone l’applicazione. In appoggio alla causa, Schulz contravvenne alla regola aurea e si schierò in modo netto e inequivocabile: la politica irruppe nelle strisce quotidiane e Piperita Patty, Lucy e Marcie vestirono i panni delle appassionate e competenti sostenitrici della legge che avrebbe infine livellato il campo di gioco fra uomini e donne.
Fu il coronamento del progressismo sociale che si è sempre sottilmente manifestato nelle svariate, e apparentemente spensierate, attività ludiche e sportive del fumetto, nel quale tutti giocano, saltano, corrono, esultano e si disperano, dietro una palla o impugnando un attrezzo, e lo fanno sempre insieme, maschi e femmine indifferentemente, uniti dalla divorante passione per lo sport, fin dai tempi in cui un’atleta donna era poco meno di una contraddizione in termini.