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 2025  febbraio 23 Domenica calendario

A casa di Pablo Echaurren: “Fuori mi sento insidiato dai rumori. Tumb tumb, come direbbe Marinetti”

Pittore, scrittore, illustratore, il più grande collezionista di libri e manifesti futuristi, ha il culto dell’uomo di Neanderthal e vive in Prati
Una casa fossile. A essere precisi, del paleolitico medio, con reperti di 80.000 anni fa. L’artista Pablo Echaurren – pittore, scrittore, illustratore, il più grande collezionista di libri e manifesti futuristi – ha il culto dell’uomo di Neanderthal. E nell’appartamento in Prati, oltre alle sue opere e a quelle dei maestri dell’avanguardia, custodisce pietre e utensili appartenuti agli antenati europei. E con orgoglio dichiara: «Io non sto con i sapiens, sto con i neanderthal».
Come fosse un tesoro nascosto, apre un armadio e mostra orgoglioso i suoi gioielli millenari. Scatole che custodiscono decine di selci: «Sembrano semplici sassi, invece parlano di un’umanità primordiale che lavorava queste pietre per farle diventare altro. Accarezzandole si percepiscono sfaccettature atte a tagliare, raccogliere, levigare. Dietro c’è il pensiero e la creatività di un uomo con un suo progetto preciso. Ma la materia reagisce a modo suo e mi affascina vedere come il taglio di una pietra abbia influenzato lo sviluppo dell’intelligenza, toccare oggetti maneggiati millenni fa».
Pablo Echaurren – nella casa affacciata sul Tevere con una terrazza la cui vista a 360 gradi abbraccia Roma – passa le giornate a creare delle scatole-collage in cui riunisce reperti paleolitici. Una produzione in linea con la sua arte caratterizzata da sperimentazione di nuove forme e linguaggi. Su alcuni bilancini, come un’installazione, ha poggiato alcune di quelle pietre. Oggetti in primo piano che sullo sfondo hanno opere illustri. Un arazzo di Depero, una tempera di Brauner realizzata per la sua nascita, un olio di de Pisis, un rebus di Duchamp, un quadro che Twombly nel ’71 ha fatto proprio per lui: «Nella dedica ha scritto a Paino, soprannome che mi diedero da piccolo».
Tra i quadri preferiti, quelli di Gianfranco Baruchello che considera il suo vero padre: «Fu lui a presentarmi il gallerista Schwarz che nel ‘72 mi fece un contratto di esclusiva mondiale e che mi portò nel ’75 alla Biennale di Parigi».
Echaurren, artista romano di origine cilena, racconta della sua carriera artistica seduto sul divano, con un cuscino di Depero e con alle spalle una maschera di Meret Oppenheim.
Ad un tratto sul davanzale arriva in volo una ballerina bianca che si posa su un vaso bonsai. «Qui trova briciole di fette biscotte e sulla terrazza, da ben 18 anni, arrivano due anatre direttamente dal fiume. Là dove ogni giorno cammino per 8 chilometri». Ai piedi della libreria una chitarra rivela la sua passione per il rock, avendo scritto “Bassi istinti, elogio del basso elettrico”. L’ultimo libro s’intitola “Pablo Echaurren, art for the many”, Silvana Editoriale, che ha per copertina una sua opera, proprio come nel ’76 l’artista aveva illustrato “Porci con le ali” di Lidia Ravera.
Cinque mammut si aggirano nella tela realizzata dal pittore e che occupa un’intera parete della camera da pranzo: “Daccapo cavernicolo”, mentre l’altro suo grande quadro blu s’intitola “Il bello come nutrimento”. Nella stessa sala, una vetrina racchiude una collezione di ceramiche futuriste: Balla, d’Albisola, Dottori, Diulgheroff e parte di un presepe di casa Marinetti. Passione che condivide con la moglie Claudia Salaris, tra i maggiori critici del futurismo: sua l’introduzione alla mostra Italian Futurism al Guggenheim.
«Vivendo e lavorando insieme dal ’77 siamo diventati un collettivo creativo. La casa racconta di noi, è la nostra nicchia silenziosa. Fuori mi sento insidiato dai rumori, con tutte quelle macchinette che fanno tumb tumb, come direbbe Marinetti. Appena mi chiudo la porta alle spalle, dico: ce l’ho fatta! Io amerei vivere in un paesino di montagna, nella natura, la quiete, ma Claudia è cittadina».
Echaurren tendenzialmente è vegetariano, mangia soprattutto pasta, riso e patate, dichiarandosi contro lo sfruttamento tipico dei Sapiens, ma asseconda i gusti della moglie.
Sui fornelli le sta preparando uno spezzatino all’aceto, mentre nel frigo ecco alcune bottiglie di Franciacorta: «Mi piacciono le bollicine perché fanno digerire. La ricetta per raggiungere 48 anni insieme è avere tanta forza d’animo. Ormai siamo un corpo solo, ogni mio disegnetto l’ho condiviso con lei. Amo il ritiro che coincide con la casa: come il guscio di una lumaca, è parte di me».