Corriere della Sera, 23 febbraio 2025
Beirut, decine di migliaia di persone al funerale di Nasrallah. Jet israeliani a bassa quota provocano urla e insulti tra la folla.
Beirut – «Allahu Akbar! I vostri missili non ci hanno spaventato e nemmeno il rumore dei vostri aerei». Cinque mesi, un fiume di bandiere gialle e verdi e cinque caccia israeliani in volo a bassa quota su Beirut. Tanto ci è voluto per poter seppellire Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, ucciso il 27 settembre da 83 tonnellate di bunker buster, le bombe ad alto potenziale, sganciate dagli israeliani sulla Dahieh, i sobborghi meridionali di Beirut. Un momento drammatico per il Libano, dove Nasrallah è considerato un leader religioso oltre che politico e per tutto il mondo sciita che a lui si rivolge con il titolo di sayyed, discendente del Profeta Maometto. E dove dall’8 ottobre 2023, giorno in cui Hezbollah si è schierato al fianco di Hamas, i raid israeliani sul Paese tutto hanno provocato migliaia di morti e un milione di sfollati.
Avanti veloce fino a oggi, quando nella capitale libanese ancora ferita dai raid dell’Idf, alle 13 ora locale (12 ora italiana) sono iniziate le esequie di Nasrallah e del suo vice Hashem Safieddine, ucciso sempre dall’Idf a Beirut una settimana dopo il primo.
Un milione e mezzo i partecipanti, secondo Hezbollah. Decine di migliaia di persone nelle strade della capitale alcune delle quali arrivate a piedi sotto la neve dalla valle della Bekaa e dal Sud ancora colpito dai raid israeliani. Tra le autorità straniere più importanti del mondo sciita, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Poi il presidente del parlamento di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf. Mentre in settimana è riuscita ad atterrare non senza fatica a causa dei veti israeliani e statunitensi una delegazione Houthi dallo Yemen. Grande assente, Bashar Assad, il presidente siriano deposto in dicembre, alleato dell’asse sciita e di Nasrallah che si trova Mosca, in esilio. «L’uccisione di Hassn Nasrallah non basterà a fermare la lotta contro Israele» sono state le parole dell’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, in un messaggio letto da un suo rappresentante in Iraq.
Un’imponente cerimonia organizzata dal Partito di Dio nello stadio Camille Chamoun, risistemato per l’occasione. Un test per Hezbollah dopo mesi di batoste. «La Palestina è un diritto e siamo contrari al piano di Trump per il Medio Oriente. Lo affronteremo. Parteciperemo alla creazione di uno Stato libanese forte, i cui pilastri principali saranno la fine dell’occupazione, la ricostruzione e l’istituzione di un piano di salvataggio economico», tuona da uno dei due mega schermi Naim Qassem. Ma se si pensa che al nuovo del segretario del partito non è stato consentito partecipare di persona per motivi di sicurezza, allora la faccenda cambia. Meglio per le telecamere, la sfilate delle bare protette da una struttura in plastica trasparente e da miliziani incappucciati con le rose bianche e le sciarpe che volavano in aria. Un successo di pubblico. «Il prato è stato ricoperto di 23.000 sedie e le tribune ha ospitato 55.000 persone», scandisce uno degli organizzatori ad al-Manar, il canale di notizie di Hezbollah. Risultato, quasi 80.000 persone sono entrate nel recinto insieme alle personalità provenienti da «più di 70 paesi», come indica Hezbollah in un comunicato. Tra gli invitati di spicco, numerose personalità politiche libanesi, tra cui il fondatore di Amal e presidente del parlamento libanese Nabih Berri che pochi mesi fa ha invitato il Papa in Libano. Ma anche influencer, attori e cantanti famosi che si sono esibiti in onore del leader.
Poi le polemiche. È su un terreno di Bourj el-Brajné, situato a poco più di un chilometro a nord dell’ingresso dell’aeroporto internazionale di Beirut (chiuso per tutto il giorno), che è stato eretto il mausoleo del «sayyed». Costo, «44 milioni di dollari», una modica somma concordata dopo settimane di trattative tra l’ex proprietario e il partito sciita.
E le allerte per la sicurezza che hanno visto in campo medici e paramedici per scongiurare vittime come fu per i 50 morti calpestati al funerale del generale delle forze Al Quds Qassem Soleimani, ucciso a Bagdad in un raid ordinato dall’amministrazione Trump in Iraq nel gennaio 2020 e poi tumulato a Teheran. A preoccupare anche Isis che colpì in Iran durante il terzo anniversario della morte di Soleimani e che dalla Siria ora minaccia Hezbollah.
Ma quanto fragile sia il cessate il fuoco, soprattutto e sopra le teste dei libanesi, lo hanno dimostrato gli F-16 e gli F-35 israeliani che per due volte durante la cerimonia hanno sorvolato a bassissima quota i cieli di Beirut. Un gesto definito dal ministro della Difesa israeliano Israel Katz «un messaggio chiaro» a chiunque minacci di distruggere Israele e di attaccarlo. E che ha visto un intero stadio, bambini compresi, urlare «morte a Israele e agli Stati Uniti». Parole che sicuramente non devono essere dispiaciute a Nasrallah