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 2025  febbraio 23 Domenica calendario

La confraternita dei tecnomistici.

Il bagaglio ideologico dei tecno-sostenitori di Donald Trump si basa su un magmatico spettro di riferimenti filosofici che comprende il filosofo tedesco Friedrich Niet zsche (1844-1900) con la sua critica alle fondamenta della cultura occidentale; Vilfredo Pareto , economista e sociologo italiano nato a Parigi (1848-1923), tra i teorici della corrente filosofica dell’elitismo secondo cui il potere politico è sempre in mano a una minoranza che governa l’intera società; lo scrittore britannico J.R.R. To lkien (1892-1973) con la saga fantasy del Signore degli anelli che la destra, anche in Italia, ha fatto sua; Douglas Adams (1952-2001), autore del bestseller Guida galattica per gli autostoppisti (1978) in cui i temi della fantascienza surreale si intrecciano a spunti di riflessione filosofica. Molti di questi elementi ricorrono nel volume autopubblicato Techno-Optimist Manifesto (2023) di Marc Andreessen. Inoltre: The Sovereign Individual di James Dale Davidson e William Rees-Mogg (1999) e La rivolta di Atlante di Ayn Rand (1957)
Prima Donald Trump che prende a schiaffi l’Europa e, ragionando in termini commerciali, l’accusa: «Siete amici che trattano gli Stati Uniti peggio dei nostri nemici». Doloroso, ma in qualche modo atteso da un presidente che già nel suo primo mandato mostrò di considerare la politica come dealmaking e mise in discussione la Nato. Il vero choc è arrivato quando, alla conferenza sulla sicurezza in Europa di Monaco di Baviera, il suo vice, J.D. Vance, ha attaccato il cuore delle politiche e dei principi della Ue affermando che a minacciare l’Europa non sono la Russia o la Cina ma gli stessi governi del Vecchio Continente, accusati di essere illiberali: limitano la libertà di parola con la censura e hanno paura degli elettori dei partiti di estrema destra, come l’AfD tedesca, che vengono isolati (e ai quali, invece, Vance, come Elon Musk, dà il suo appoggio). Attacco feroce ma non del tutto sorprendente se si tiene conto della storia di un personaggio che fino a qualche tempo fa era noto in Europa solo per un bel libro del 2016, Elegia americana, sulla crisi e la rabbia dei bianchi delle periferie e del Paese rurale dimenticati dalla politica: l’epopea dei forgotten men.
Vance deve tutto a Peter Thiel, miliardario della tecnologia, primo investitore in Facebook e oggi capo di Palantir, compagno di strada di Elon Musk (un quarto di secolo fa fondarono insieme PayPal con l’idea di cambiare il mondo cominciando da un sistema di pagamenti digitali che, nelle loro intenzioni, doveva sostituire le banche) che del vicepresidente è stato ben più del mentore: prima lo ha fatto divenire un investment banker nel suo fondo Founders Fund, poi ha finanziato per intero la campagna elettorale che gli ha consentito di diventare senatore dell’Ohio e, infine, ha convinto un recalcitrante Trump a incontrarlo (nel 2016 Vance aveva detto cose tremende sull’allora candidato repubblicano, tra l’altro paragonandolo ad Hitler) e lo ha spinto a fidarsi di lui sostenendo che i nemici convertiti diventano i più fedeli alleati: più affidabili di amici pronti a tradire.
Luglio 2024. Sabato 13 Trump sfugge miracolosamente all’attentato di Butler, in Pennsylvania. Poche ore dopo Elon Musk, ormai simpatizzante repubblicano e ostile ai democratici, ma fin lì freddo con The Donald (che aveva trattato da vecchio politico bollito quando appoggiava per la Casa Bianca la meteora Ron DeSantis) rompe gli indugi: si schiera con Trump e annuncia che finanzierà la sua campagna. Il giorno dopo Musk, Thiel e David Sacks, altro finanziere associato a loro dai tempi della cosiddetta «PayPal Mafia» e ora organizzatore di fundraising per Trump, premono su di lui per spingerlo a scegliere Vance come vice. Lunedì 16: nel tardo pomeriggio Trump annuncia che ha scelto proprio il giovane senatore, da poco in Parlamento. Il giorno dopo, Vance viene acclamato dal popolo repubblicano nella prima giornata della convention di Milwaukee.
Per Trump è una svolta. Sembrava in grado di spuntarla su Biden già prima della discesa in campo dei tycoon conservatori del digitale. Ora la sua diventa una marcia trionfale che i democratici cercano di arrestare sostituendo in extremis Biden con Kamala Harris. Senza successo. Vinte le elezioni, il neopresidente dà, a sorpresa, ampi poteri di smantellare e ridisegnare la pubblica amministrazione a Musk che diventa, agli occhi di molti, una specie di copresidente. Ma alle sue spalle lavorano sodo, insieme a diversi comprimari, altri due giganti della Silicon Valley: Peter Thiel e Marc Andreessen che formano con Elon una specie di trinità. Visionari temerari decisi a trasformare l’autoritarismo di Trump in tecnoautoritarismo sulla base di un bagaglio ideologico fondato su un terreno di riferimenti filosofici e culturali a dir poco magmatico (si va da Friedrich Nietzsche a Vilfredo Pareto, passando per Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien e la Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams) dal quale, però, alla fine emerge una linea in gran parte comune. Il parlamentarismo è un vecchio arnese reso anacronistico dalla velocità dell’era digitale. La rivoluzione dell’IA, cambiando in profondità le dinamiche sociali e politiche, ma anche quella della giustizia, mette in discussione la separazione dei tre poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – alla base delle democrazie liberali.
Andreessen è un genio ingegneristico che si trasforma in allevatore di imprese e poi in attivista politico: è lui il protagonista dell’alba dell’internet age, inventore del primo browser, Mosaic, e creatore di Netscape. Ben presto messo fuori gioco da Gates che lo copia e poi lo schiaccia con Microsoft, Andreessen si reinventa venture capitalist che fa crescere aziende: «vecchio saggio» (anche se ha solo 53 anni) in un mondo di startupper ventenni. Come tanti altri tecnologi, Marc si disinteressa per anni della politica che considera irrilevante vagheggiando magari, come Thiel, la creazione di città-Stato indipendenti, perfino isole galleggianti al largo della California. Ma con Joe Biden e la pandemia tutto cambia: se Barack Obama aveva lasciato libertà assoluta alla tecnologia, il nuovo presidente democratico cerca di reintrodurre i vincoli antitrust, di regolamentare l’uso delle reti sociali e gli sviluppi dell’IA, mentre col coronavirus arrivano prescrizioni e vincoli. I lockdown, mascherine e vaccinazioni obbligatorie almeno in certi settori, i freni alla propaganda no-vax vengono percepiti dai tycoon del digitale come un attentato alla libertà di esprimersi, sperimentare e intraprendere senza limiti.
Lo squillo di tromba di Andreessen arriva nell’autunno del 2023 con la pubblicazione del suo Techno-Optimist Manifesto. È una chiamata alle armi contro i nemici che frenano la velocità del progresso tecnologico, unica speranza per il futuro dell’umanità: la burocrazia, sinonimo di statalismo corrotto, gli intellettuali chiusi nelle torri d’avorio, i cartelli, il socialismo, le teorie astratte (tipo l’ambientalismo) disconnesse dalla realtà che non portano da nessuna parte e intanto frenano lo sviluppo. La rivista «The Atlantic» lo presenta come la bibbia del tecnoautoritarismo. Il «New York Times» parla di «futurismo reazionario». In effetti il suo documento, che parte da Nietzsche e Pareto, approda all’accelerazionismo estremo di Nick Land e si ispira esplicitamente al manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti del 1909 poi fonte d’ispirazione per il fascismo.
Autunno 2024: mentre Musk gioca da centravanti nella campagna repubblicana, Andreessen va spesso a Mar-a-Lago e, dopo l’elezione di Trump, diventa una presenza fissa nella sua residenza dove lavora alla selezione del personale che dovrà gestire la rivoluzione amministrativa che tanto il neopresidente quanto i suoi partner tecnologici hanno in mente, anche se con obiettivi non sempre convergenti: Donald vuole estendere i poteri presidenziali fino ad avere un dominio assoluto sull’esecutivo e punta in primo luogo a compiere la sua vendetta contro quelli che ha identificato come i suoi nemici del deep state: Giustizia, Fbi, servizi di intelligence. Ma, in fondo, è uno statalista, poco interessato alla riduzione della spesa pubblica. Le ambizioni dei «supereroi» tecnologici (altra suggestione cinematografica divenuta riferimento culturale, con Sam Altman, fondatore di OpenAI e padre di ChatGPT, che definisce Musk «il mio mega hero») vanno ben oltre: Stato molto più piccolo, leggero, meno costoso, che lascia libertà assoluta agli innovatori riducendo il perimetro dell’intervento pubblico e sostituendo sempre più l’uomo con l’intelligenza artificiale nella gestione di ogni funzione.
Mentre svolge la sua selezione di fedelissimi di Trump, Andreessen colloca anche una decina di uomini in punti nevralgici del governo, come Scott Kupor, nominato direttore della gestione del personale federale. Altrettanto fanno Musk (scelti da lui, ad esempio, Jared Isaacman, nuovo capo della Nasa, e Sriram Krishnan, consigliere della Casa Bianca per l’IA) e Thiel, la cui rete di fedelissimi va da Jacob Helberg, sottosegretario per l’Energia e la Crescita economica, a Jim O’Neill, viceministro della Sanità, fino a Michael Krakatos, capo dell’ufficio scientifico della Casa Bianca; mentre Shyam Sankar, fin qui capo della ricerca di Palantir, assume un incarico analogo al Pentagono: avvierà la rivoluzione tecnologica della Difesa con Trae Stephens, partner di Thiel in Founders Fund.
L’estensione della rete dei suoi uomini conferma la centralità di Thiel, regista di un disegno il cui frontman è Musk. Tutt’e due di origini sudafricane. Tutt’e due affascinati dalla narrativa di Tolkien (Thiel ha addirittura battezzato la sua impresa principale Palantir, come la pietra «veggente» del Signore degli anelli). Partner in PayPal, sostenitori della necessità di innovare senza limiti: meglio correre rischi che rallentare il progresso.
Musk è meno strutturato ideologicamente di Thiel: fino al 2000 ha votato democratico, pur essendo un iperliberista. Innocuo per il sistema finché i suoi impulsi visionari sono stati diretti verso la conquista di Marte. Da ragazzo ha divorato moltissimi libri, ma il preferito resta la Guida galattica per autostoppisti con la sua spinta a porsi domande, inseguire sogni, non limitarsi mai a spiegazioni rassicuranti. La radicalizzazione arriva con la pandemia: rifiuto del lockdown, sfida alle autorità californiane ordinando agli operai di Tesla di rientrare in fabbrica, la fuga dallo Stato democratico, permissivo, con molto welfare e molte tasse della West Coast, trasferendo (quasi) tutto nel Texas conservatore, economicamente e socialmente darwiniano. Poi la conquista di Twitter trasformata in X e la crociata dell’«assolutismo del free speech». Musk, criticatissimo perché, senza filtri, nella rete entrano contenuti immondi di ogni tipo, tira dritto sulla base della sua visione dell’IA: quando arriverà la superintelligenza dice, è più probabile che non schiacci l’umanità se verrà addestrata con la realtà di tutte le comunicazioni umane, senza censure. Ma quando comincia ad appoggiare i movimenti più radicali della destra europea, neonazisti tedeschi compresi, viene accusato di usare, ormai, le parole come manganelli. Accuse di fascismo che condivide con Thiel. Il quale non nega di avere idee in parte analoghe a quelle dei movimenti autoritari europei della prima metà del Ventesimo secolo, ma obietta che la storia non si ripete mai nello stesso modo: il mondo del Terzo millennio è molto diverso da quello del primo Novecento.
Thiel, profondamente influenzato dal filosofo francese René Girard che è stato suo maestro a Stanford (talmente vicino a lui che quando è morto, nel 2015, ha voluto tenere l’orazione funebre), assorbe (in parte reinterpretandola) la sua teoria del mimetismo. Primo a investire nell’impresa di un ragazzino di nome Mark Zuckerberg al quale spiega che proprio in base alle tesi di Girard, la sua Facebook può avere grande successo anche fuori dai recinti universitari per la gran voglia della gente di comportamenti imitativi: nascono così i like. Mentre Thiel costruisce il successo imprenditoriale sulla capacità di uscire dal gregge degli imitatori battendo strade nuove, a volte impervie, come spiega nel 2014 in Zero to One che diventa guida preziosa degli imprenditori creativi, mentre l’autore si ritrova etichettato «filosofo dei supernerd».
Dietro le teorie manageriali ci sono quelle politiche. Ispirato dai romanzi dell’ultraliberista Ayn Rand (specie La rivolta di Atlante), nel 2009 Thiel fa rumore con un saggio (The education of a Libertarian) pubblicato dal Cato Institute nel quale scrive: «Non credo più che democrazie e libertà siano compatibili perché, se hanno spazio, le forze democratiche finiranno per votare restrizioni al potere dei capitalisti, limitando le loro libertà».
Quella del pensiero politico di Thiel è una storia tormentata: quando prova ad applicare le sue teorie alla realtà di governo, si ritira deluso: «A quanto pare, non ne capisco nulla». Nel 2016 s’innamora della «diversità» di Trump. Seguiranno un’altra delusione e un altro ritiro dalla politica. Salvo tornare, due anni fa, ad appoggiare singoli candidati conservatori vicini a lui, da Vance a Blake Masters. Ma non dà un dollaro a Trump nel 2024 riavvicinandosi a lui solo con l’elezione e la spinta «trasformativa» di Musk.
Ora c’è già chi parla di evoluzione del trumpismo in thielismo. Tutto molto prematuro. Per ora Thiel manda avanti i suoi alfieri: è appena uscito in America The Technological Republic nel quale il Ceo di Palantir, Alexander Karp, e Nick Zamiska, altro dirigente Palantir, spiegano che innovazione tecnologica, progresso culturale lontano dalle spinte woke della sinistra e volontà di rischiare sono essenziali per salvare l’Occidente da stagnazione e declino. Mentre lui, sulla scia di Girard, parla da cristiano che ostenta uno strano misticismo: va in giro per l’America tenendo conferenze nelle quali denuncia i pericoli di un Anticristo che, dice, potrebbe non essere una persona fisica ma un movimento (la cultura woke o i globalizzatori di Davos). Cristianesimo conservatore che si sta diffondendo anche nella Silicon Valley e fa capolino anche nei discorsi di un Musk fin qui agnostico (mentre Vance si è convertito qualche anno fa al cattolicesimo, ma dichiarandosi fedele di una «Chiesa della resistenza» ostile al papato progressista di Jorge Mario Bergoglio).
Azzardato fare previsioni. Magari Vance svanirà nel nulla come il suo predecessore, Mike Pence. Magari Musk esagererà e verrà messo alla porta da Trump come fece nel 2017 con Thiel che lo spingeva a dichiarare insostenibile la democrazia liberale (improbabile, vista l’ampiezza degli interventi affidati dal presidente a Elon e la quantità di nodi dell’amministrazione che ha messo nelle mani dei tycoon della tecnologia). Un panorama instabile al quale danno un forte contributo la tecnologia che evolve rapidamente e diventa sempre più penetrante ma anche rapporti interpersonali complessi e divergenze strategiche: Thiel e Musk sono gemelli, ma a volte si scontrano. Peter sostiene l’efficienza dei monopoli che definisce creativi, mentre Elon è contrario a tutti i monopoli. Oltre vent’anni fa, Thiel arrivò addirittura a licenziare Musk approfittando della sua assenza per un viaggio di nozze in Australia. Oggi i due corrono di nuovo appaiati. Idea iniziale era creare una sorta di Compagnia delle Indie come potente appendice tecnologica del governo della superpotenza. Poi Musk ha deciso di entrare a far parte dell’esecutivo – non più consulente esterno ma dipendente pubblico temporaneo – e di giocare il tutto per tutto. Thiel lo sostiene spiegando in modo semplice e, a suo modo, trasparente che la cosa comporta grandi opportunità e grandi rischi: «Il mio pensiero un po’ apocalittico, un po’ pieno di speranza è che siamo arrivati finalmente al punto di rottura». Elon gli fa eco su X: «Siamo giunti al bivio della strada del destino: ora o mai più». Il dado della rivoluzione tecnoautoritaria, con una dilatazione estrema dei poteri di un esecutivo illuminato dall’Intelligenza artificiale, è tratto. Almeno per loro.