La Lettura, 23 febbraio 2025
Il fascista criminale si finse canoista: fuga all’Olimpiade
Come in un film. Invece è una storia vera, ricostruita grazie a un paio di faldoni conservati negli scaffali dell’Archivio Centrale dello Stato, rubricati tra gli «affari riservati» dell’ex Casellario Centrale, ministero dell’Interno. La storia, vera, di uno sportivo azzurro, olimpionico (per caso), celebrato come un campione ma che invece fu un criminale fascista, mai pentito. Un brutto ceffo, che avrebbe dovuto scontare varie condanne, compreso un ergastolo, ma che nell’Italia democratica del dopoguerra riuscì a fuggire all’estero partecipando all’Olimpiade di Helsinki del 1952, con il probabile aiuto e le numerose connivenze delle alte gerarchie del mondo dello sport. Fuggì, il finto campione assassino e torturatore di partigiani, nell’allora accoglientissima Spagna del Caudillo Francisco Franco, facendo perdere le proprie tracce. A raccontare questa rocambolesca storia – che come in un romanzo d’appendice prevede anche l’esistenza di una principessa «nera» – è un giornalista sportivo, Fabio Donfrancesco, autore del volume Controscie. Canoista una volta, canoista per sempre (Lab Dfg). Sottotitolo del libro: Storie, personaggi, aneddoti ed esperienze di vita degli amanti della pagaia in Italia. Donfrancesco – romano, classe 1964 e firma del «Corriere dello sport-Stadio» — oltre che cronista esperto di questo settore ha cominciato a 11 anni la pratica agonistica di canoa, divenendo negli anni istruttore e allenatore. Una passione mai sopita che ora ha dato vita a queste 240 pagine, in gran parte dedicate all’affaire Dante Agostini .
Dante Agostini: chi era costui? Nato nel 1923, presumibilmente morto ma non si sa quando, Agostini era stato ufficiale e capo manipolo della «1ª Legione d’assalto “M” Tagliamento», formazione repubblichina dal 1943 a disposizione dei nazisti e comandata dal tristemente noto Merico Zuccari. Un battaglione che operò una feroce repressione antipartigiana, coadiuvando lo schieramento tedesco lungo la Linea Gotica. Dopo la fine della guerra Agostini tornò a Roma rendendosi irreperibile. Il 17 novembre del 1946 fu emesso un primo ordine di cattura nei suoi confronti per collaborazionismo e omicidio. Due anni prima aveva comandato il plotone di esecuzione che fucilò per futili motivi una giovanissima ragazza. Questo è solo l’inizio di un lungo iter processuale con Agostini che beneficerà (anche, ma non del tutto) di indulti e amnistie, tra cui la famosa «sanatoria» del 1946 voluta da Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia, per pacificare il Paese.
Nel 1947, contumace, Agostini fu condannato all’ergastolo, colpevole di reati di collaborazionismo e concorso in omicidio doppiamente aggravato, pena poi commutata a trent’anni di reclusione. Prosciolto nel 1950 (grazie a un’amnistia) sul suo capo penderà però ancora un rinvio a giudizio con ennesimo ordine di cattura. Sempre irreperibile, schiverà con furbizia anche una trappola delle forze dell’ordine che cercano di intercettarlo facendo finta di dare seguito a una sua richiesta di rilascio di passaporto, destinazione Svizzera e poi Argentina. Dante, crudele ma non ingenuo, mandò il padre al suo posto, evitando la trappola e tornando a essere un fantasma. Da allora il ministero dell’Interno non ebbe più sue notizie. Fino al colpo di scena di questa storia, quando, a pochi giorni da un’ennesima sentenza (agosto 1952) che lo condannerà a 22 anni di reclusione, il repubblichino fuggirà dall’Italia indossando la maglia azzurra della nazionale di canoa e rappresentando la nazione ai Giochi di Helsinki.
Sia pur nullatenente e pluriricercato, almeno ufficialmente, Dante – beneficiando di notevoli coperture – aveva infatti iniziato a remare sulle acque del Tevere raggiungendo un discreto livello in una disciplina che allora, in Italia, praticavano in pochi. «Frequenta il prestigioso circolo San Giorgio, società sportiva con una lunga storia – ricorda Donfrancesco – dov’erano di casa alta borghesia, nobili, classi dominanti, politici».
Quando la Federazione diramò la lista degli atleti convocati per Helsinki c’era, a sorpresa, anche Agostini, non proprio un campione, anzi. Donfrancesco ha scovato un’intervista del 2012 in cui uno degli esclusi di allora, Luigi Conti, classe 1927, raccontava: «Ho iniziato nel 1949, all’Idroscalo. Mi ricordo di aver partecipato alla selezione per l’Olimpiade di Helsinki. Ma lì mi han trombato! Infatti pur essendo arrivato primo, han preso su un altro, uno di Roma». Troppe cose strane accaddero durante il ritiro sul lago di Bracciano: due atleti fortissimi, ad esempio, furono rispediti a casa con pretesti ridicoli: «motivi di studio», «poca fiducia nei propri mezzi»... E ci fu un anomalo viavai di alti dirigenti sportivi, cosa insolita «per una specialità – come spiega Donfrancesco – non tra le più praticate». Il sospetto è che tutto venne orchestrato per mettere Agostini sul treno che via Milano l’avrebbe portato in Finlandia grazie a un lasciapassare sportivo, sorta di passaporto collettivo valido per l’intera squadra, vidimato dal ministero degli Esteri su indicazioni del Coni.
Agostini dunque il 27 luglio 1952 partecipa alla regata di fondo sui 10 mila metri: il K2 azzurro era composto da lui e dal forte Raffaele Bastoni. Finiranno diciassettesimi su diciotto equipaggi al via, con distacco di 5 minuti dal duo finlandese medaglia d’oro: «Più che un K2, un K1 con zavorra», scrive Donfrancesco. E, durante il viaggio di ritorno in Italia, Agostini sparisce. Alla stazione di Stoccolma si distacca dal resto della squadra con un pretesto facendo perdere le sue tracce.
Il caso però, sia pur confinato nelle pagine interne dei giornali, scoppia, arrivando sulla stampa e nei Palazzi. I vertici del mondo sportivo provano a smarcarsi. Varie sono le interrogazioni parlamentari al ministro dell’Interno di allora, Mario Scelba. «Il Mondo» è tra gli organi di stampa che più attaccano: «Dante Agostini, sotto processo per la strage della divisione repubblichina Tagliamento, con richiesta di condanna all’ergastolo e una condanna a ventidue anni per stragi, stupri, omicidi e collaborazionismo sulla groppa, riesce ad andare a Helsinki, alle Olimpiadi, a rappresentare l’Italia tra il fiore dell’atletismo internazionale».
Ma nessuna testa cadde. Mesi dopo il Consolato italiano di Malmö, in Svezia, scrive agli Interni una nota con una rocambolesca storia: un tal M. D. (che si rivelerà essere Agostini sotto mentite spoglie), era giunto a Madrid con passaporto contraffatto, rubato a un connazionale cui aveva lasciato una divisa olimpionica in cambio di abiti. Era Agostini, sopravvissuto in Svezia per mesi, in teoria senza soldi ma godendo di appoggi in ambienti di estrema destra. Ed è qui che entra in scena la principessa Maria Elia De Seta Pignatelli di Cerchiara, fedelissima del feldmaresciallo nazista Albert Kesselring. Nel 1948, in territorio vaticano, aveva fondato il Movimento italiano femminile Fede e Famiglia, organizzazione che dietro la veste ufficiale aiutava i collaborazionisti a espatriare clandestinamente in Spagna o in America Latina.
Durante le ricerche che hanno portato alla stesura del libro, Donfrancesco ha rintracciato tra le carte di Pignatelli ora all’Archivio di Stato di Cosenza la minuta di una lettera dell’ottobre 1952 indirizzata a tal Vägen Framät, di Malmö, in cui la nobildonna pregava di dare assistenza «a nome del Sig. Ulick Varange», proprio ad Agostini. Linguaggi cifrati per sfuggire ai controlli, oggi però facilmente decrittabili: Vägen Framät (tradotto: la strada per il futuro) si rivelerà il nome di un’associazione di estrema destra fondata da Per Engdahl, leader dei neofascisti svedesi. E Ulick Varange uno degli pseudonimi dell’americano Francis Parker Yockey, autore di Imperium, libello basato su teorie antisemite e sogni di restaurazione fascista.