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 2025  febbraio 23 Domenica calendario

Quando la natura liberò la serva

Quando l’America non era ancora America, nel rigido inverno del 1609-1610, dalla colonia di Jamestown comincia la fuga di una donna verso la libertà. Possiamo avvertire nitidamente il suo respiro affannoso mentre corre attraverso la foresta. Siamo nel periodo che gli storici hanno ribattezzato starving time, quando l’80 per cento degli abitanti del primo insediamento britannico stabile morì di fame o di stenti. Questa fuggiasca – protagonista del nuovo romanzo di Lauren Groff, Nel vasto mondo selvaggio (in uscita per Bompiani) – abbandonata all’età quattro anni, divenuta serva in Inghilterra, approdata nel Nuovo Mondo dopo un viaggio disperato, «corre verso i vivi», o almeno così prova a convincerla la voce martellante che la accompagna nella fuga.
Ha un nome: Lamentazioni, «in ricordo della macchia del peccato che portava impressa, quale cognome le fu assegnato Callat, ovvero Cagna, affinché portasse al collo come un guinzaglio e per la vita il mestiere di prostituta che sua madre aveva di certo esercitato. Ma quando arrivò in casa della padrona e del suo primo marito, l’orafo, cominciò a essere chiamata in molti modi, Ragazza oppure Sciacquetta oppure Scema oppure Piccolina o anche Zeta, perché essendo la più piccola in casa e la più insignificante veniva sempre per ultima, come la più strana di tutte le lettere dell’alfabeto». Per liberarsi di questo destino atroce, la ragazza, una notte, abbandona la casa della padrona e si perde nelle terre immense del Nord America, popolate da lupi, orsi, tribù native, creature erranti come lei.
Lauren Groff, che Barack Obama riempì di elogi dopo lo straordinario successo di Fato e furia, romanzo sul matrimonio finalista al National Book Award, «il migliore del 2015» secondo l’ex presidente accanito lettore, torna ora con un libro ambizioso, dove i dialoghi sono rarissimi, lo spazio e il tempo dilatati, immensi. La ragazza parla con sé stessa, ripercorre le sue dolorose memorie. La sfida più ardua è tenere il lettore incollato a queste pagine piene di silenzi. Nel vasto mondo selvaggio è pura descrizione, è un affresco narrativo scaturito dalla lezione dei naturalisti ottocenteschi, che solo una scrittrice metodica, dotata di precisione chirurgica e fantasia illimitata poteva affrontare.
«La Lettura» ha raggiunto Lauren Groff su Zoom in occasione dell’uscita italiana del libro.
Si ha subito l’impressione che la protagonista sia molto di più di una serva fuggiasca, ignara delle asperità del mondo che deve affrontare. Dietro si nasconde una metafora molto più grande. Dove voleva arrivare?
«Non sai mai esattamente che libro sta nascendo sotto i tuoi occhi fino a quando non compare il punto che chiude l’ultima pagina. Miranda July, regista e scrittrice geniale, mi ha detto che questa ragazza stava cercando di raggiungere lo scopo di una vita. Che è rinata in un mondo agli antipodi dal proprio. Affronta un cambiamento spirituale durante la fuga. Il suo corpo prende nuovo forme. Si troverà a ripercorrere le lezioni e le storie imparate nella sua chiesa. Una serva, abituata a essere considerata un essere inferiore, rinasce nel mondo selvaggio».
Come si scrive un romanzo pervaso dal silenzio?
«Credo di avere iniziato questo libro nel 2017. Ha visto la luce nel 2023. Mi ci è voluto molto tempo per portarlo a termine. È un romanzo impregnato di solitudine ma pieno di vita. Ci portiamo dentro delle voci ovunque andiamo. Portiamo con noi i nostri ricordi, le canzoni che abbiamo ascoltato. Confrontiamo il nostro passato. Spesso parlo con Emily Dickinson o George Eliot. Tutte queste belle voci sono diventate il coro che accompagna la mia vita. La mia protagonista vive nella solitudine ma non è mai davvero sola».
Dopo «Matrix» (2022), ambientato nel Medioevo, è tornata alla storia: stavolta ha esplorato l’anima americana.
«Negli Stati Uniti abbiamo deciso di cancellare una parte del nostro passato. La nostra storia nasce da un brutale atto di violenza. Nelle scuole americane non ci hanno insegnato il genocidio dei nativi americani. La ragazza di questa storia è un’analfabeta che valeva meno di niente secondo i canoni dell’epoca, non era considerata una persona in carne e ossa. Le ho dato una voce, una vita».
Per gran parte del romanzo è chiamata soltanto «ragazza», come se non avesse un’identità.
«Dare un nome è un modo di certificare il nostro potere su qualcuno o qualcosa. Quando diamo un nome ai nostri figli, per esempio, affermiamo il nostro controllo su di loro. Pensavo alla Genesi mentre scrivevo questo libro, al passaggio in cui Dio dà ad Adamo ed Eva il dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo. La religione ha imposto un’idea specifica dei rapporti di potere, in particolare nel mondo occidentale. Una delle maggiori fonti di ispirazione sono stati i diari dei coloni, che tuttavia contenevano racconti per la maggior parte fasulli, inventati. Mi ha aiutato aver letto Il sussurro del mondo di Richard Powers, che ribalta il concetto di gerarchia umana: l’albero, il verme, il lupo, l’orso sono tanto divini quanto l’essere umano. Poi, certo, Robinson Crusoe, che appena sbarca sull’isola deserta diventa industrioso e trasforma in uno schiavo il primo essere umano che incontra, proprio come avrebbe fatto un uomo inglese del suo tempo».
La resistenza di questa fuggiasca è anche una metafora per il presente? La letteratura che cerca di rispondere ai colpi della nuova amministrazione di Donald Trump?
«L’anno scorso io e mio marito abbiamo aperto una libreria per ribadire e sostenere la libertà di parola, in particolare in Florida, dove oltre 5 mila libri sono stati banditi dalle scuole e dalle biblioteche pubbliche. Abbiamo anche creato un’organizzazione non-profit per distribuire libri “proibiti”. Ogni genocidio moderno è iniziato con il divieto di pubblicare opere scritte. “Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”, ammonì il grande poeta tedesco Heinrich Heine. Essere consapevoli di che cosa sta succedendo significa cercare di fermarlo sul nascere. La resistenza del mondo culturale a Trump è molto debole, e questo mi fa infuriare. In Europa lo scrittore è un intellettuale che svolge una funzione pubblica. Gli americani leggono molto meno del resto del mondo e gli autori non hanno un peso nel dibattito pubblico. Ma se hai a disposizione un megafono, devi cominciare a usarlo ora».