La Lettura, 23 febbraio 2025
Un buon cattivo fa un buon thriller
Jeffery Deaver, settantaquattro anni, nato a Chicago, è considerato un maestro del thriller poliziesco contemporaneo, con quarantaquattro romanzi e novelle all’attivo, per milioni di copie vendute in tutto il mondo, nonché i principali riconoscimenti del settore come lo Steel Dagger della British Crime Writers’ Association, il Nero Wolfe Award o l’Ellery Queen Reader’s Award. Isabella Maldonado, classe 1965, ha lavorato oltre vent’anni in polizia prima di darsi alla scrittura: dal suo esordio nel 2017 ha scritto nove romanzi di crescente successo, di cui uno, La superstite, è stato tradotto anche in italiano per Longanesi nel 2023.
Ora, sempre per Longanesi, escono con il loro primo romanzo a quattro mani, Fatal intrusion, che vede protagonisti Carmen Sanchez, agente Fbi rispettosa delle regole – almeno finché non sarà costretta a romperle – e Jake Heron, esperto di sicurezza privata che invece ritiene che le regole siano «solo suggerimenti». I due dovranno unire le forze in una caccia concitata a un killer appassionato di aracnidi: un uomo di rara astuzia e pericolosità che per poco non ha ucciso la sorella di lei e si sta lasciando dietro una scia di sangue.
Deaver, Maldonado, prima di entrare nella vicenda di «Fatal intrusion» cominciamo dalla particolarità più evidente: è un libro a quattro mani. Come siete arrivati a questa collaborazione?
ISABELLA MALDONADO – Jeffery ed io ci siamo incontrati per la prima volta a una presentazione a Chicago e ci siamo sentiti subito in sintonia: anche dopo la presentazione abbiamo continuato a scherzare e fare battute e abbiamo sentito che stava nascendo un’amicizia… Poi ci siamo ritrovati al ThrillerFest di New York e subito ci siamo rimessi a parlottare e scherzare tra noi... È andata a finire che ho chiesto a Jeffery se mi avrebbe fatto uno «strillo» per il mio romanzo La superstite, e lui non solo ha accettato, ma quando lo ha letto mi ha scritto dicendo che sentiva forti similitudini nel nostro approccio alla narrativa. Quando è capitato di incontrarci una terza volta a un festival, ci è venuto naturale buttare là l’idea di scrivere un libro insieme...
JEFFERY DEAVER –...e tutto ciò non era scontato, dal momento che ho questa – chiamiamola così – reputazione di non giocare bene assieme agli altri. E infatti è la prima volta che faccio una cosa del genere, a parte un racconto scritto per scherzo, con un amico, nella notte dei tempi... Non è che sia burbero (ride), è che scrivo libri molto, molto specifici. Io scrivo esclusivamente thriller che hanno al centro indagini su uno o più omicidi, giocati su tempi molto brevi e pieni di colpi di scena. Scrivo solo quello, voglio fare solo quello, e quindi non mi interessa collaborare con chi fa altro. Neanche se sono cose diverse solo in parte. Ma anche Isabella fa thriller che hanno al centro indagini, giocati su tempi brevi e ricchi di colpi di scena, e per di più utilizza, proprio come me, una scrittura in terza persona con punti di vista che cambiano. Le similitudini nell’approccio erano così forti che ho sentito che si poteva fare.
Come avete lavorato?
JEFFERY DEAVER – Ci siamo detti da subito che bisognava entrare in una no ego zone: essere uguali in tutto, avere entrambi il diritto di cambiare a piacere le parti scritte dall’altra o dall’altro, e che non dovevamo considerarlo un progetto secondario rispetto ai nostri libri individuali, ma fare comunque il miglior lavoro possibile. A gestire la parte «tecnica». poi, ci ha pensato Isabella...
ISABELLA MALDONADO – Non che abbia fatto molto: ho creato un file condiviso su Google Drive nel quale potevamo scrivere le nostre parti e ritoccarle, o anche chattare se ci ritrovavamo a scrivere nello stesso momento, oppure scaricare tutto e lavorarci a parte, cosa che Jeffery faceva più spesso di me visto che era sempre in giro per presentazioni.
E per quel che riguarda la scrittura?
JEFFERY DEAVER – In realtà Isabella ed io abbiamo scoperto di avere approcci simili anche nell’impostazione del lavoro. Entrambi lavoriamo molto a un soggetto generale e poi a una scaletta, e così abbiamo fatto anche stavolta, attraverso telefonate anche di tre-quattro ore, finché non abbiamo ottenuto una prima delineatura della trama e una sua organizzazione, che immaginavamo tra i sessanta e i sessantacinque capitoli...
ISABELLA MALDONADO –...sebbene poi siano diventati ottanta. Una volta abbozzata la scaletta, ci siamo spartiti i capitoli da scrivere in base al nostro gusto. Il primo giro di scelte ha portato me a prendere soprattutto capitoli di Carmen Sanchez e lui di Jake Heron, del resto sono i nostri personaggi...
JEFFERY DEAVER –...ma non l’abbiamo tenuta come regola vincolante, tanto più che poi c’era da spartirsi i capitoli del cattivo, e sai com’è, tutti vogliono scrivere le parti del cattivo.
E uno dei punti di forza di «Fatal intrusion» è il suo «villain»...
ISABELLA MALDONADO – In questo tipo di thriller, molto frenetici e con una chiara opposizione tra assassini e detective, il cattivo è fondamentale. Mi spingerei a dire che la storia vale quanto vale il villain: l’interesse del lettore durerà finché dura la minaccia del cattivo. Certo, è importante avere protagonisti interessanti, motivati, in cui i lettori si possano identificare, ma non basta. Se il cattivo è incompetente, la storia non è interessante. Punto.
JEFFERY DEAVER – Abbiamo cercato di tenere sempre presente il fatto che ogni cattivo è l’eroe della sua storia, non è che si sveglia dicendo: «Oggi faccio qualcosa di malvagio, oggi prenderò a calci un cane o insulterò un bambino...». Può essere un sadico, certo, o una persona spregevole, ma ha una sua missione, una sua agenda, e di conseguenza dei sentimenti. Anche il lettore deve sentire una perdita quando il cattivo perde qualcosa; anche il lettore deve sentirsi in ansia quando il cattivo fa un passo falso o si ritrova braccato. In libri come i nostri non c’è molto spazio per le digressioni, quindi è fondamentale fare uscire in poche parole, ma in modo efficace, una storia di background credibile e un minimo di vita interiore, al di là del fatto che poi ogni buon cattivo è definito anche dalle proprie idiosincrasie. Personalmente mi piacciono quei cattivi che avresti piacere di conoscere a una festa ma saresti terrorizzato di incontrare dopo la festa».
Maldonado, l’editore italiano ha posto molta enfasi sul suo essere stata una vera agente di polizia.
ISABELLA MALDONADO – Ho fatto la poliziotta per ventidue anni, fino al grado di capitano; quando mi sono ritirata ero al comando di una squadra di operazioni speciali e analisi delle prove. Mi sono occupata anche di trattative per il recupero di ostaggi. In tutto questo tempo, quando leggevo romanzi o guardavo film o serie tv che avevano come protagoniste poliziotte o detective donne, apprezzavo che ci fosse sempre più rappresentazione della categoria, ma trovavo quasi sempre che quei personaggi mancassero di realismo. Così, quando mi sono messa a scrivere, ho pensato che avrei avuto il dovere di portarlo io, quel realismo...
Ci è riuscita?
ISABELLA MALDONADO – Solo in parte: quando sono diventata una scrittrice ho capito varie cose. Intanto che riportare tutte le procedure in modo realistico produrrebbe libri mortalmente noiosi. Sapete come si dice, il lavoro di polizia è 1% terrore e 99% noia, e non suona come una buona ricetta per un thriller... Così mi sono dovuta rendere conto che il mio «portare realismo», pur restando una missione, doveva guardare più ad altri aspetti, non tanto alle procedure – a cui comunque credo di far più caso di altri – ma ai fatti: come ci si sente davvero quando qualcuno ti punta una pistola in faccia; o quando corri dietro a qualcuno che scappa; o quando cerchi di sottomettere qualcuno che non vuole essere arrestato... Sotto questo aspetto, sì, credo di aver introdotto una dose di realismo.
Questo ci porta in un territorio interessante, perché in fondo i polizieschi, per quanto li si pensi come «realistici», svolgendosi nel nostro mondo, sono in realtà fantasie letterarie che fanno riferimento a topos e archetipi specifici.
JEFFERY DEAVER – È una bella questione, che mi fa venire in mente quella storiella su un produttore di Hollywood, che una volta disse: «Cerco un bel soggetto: deve essere uguale a qualcosa che abbia già avuto enorme successo, ma non deve essere mai stato fatto prima» (ride). Il thriller è un genere severo: ci sono convenzioni che devi rispettare e giocarci, facendo al massimo qualche variazione; ogni tanto puoi pure violarle del tutto, ma con molta attenzione e solo per ottimi motivi. Quando un lettore prende in mano un thriller, sa che ci troverà certe cose – anzi, esige di trovarci certe cose – ma non vuole neanche che risultino troppo risapute. Pertanto, anche se magari non ha chissà quali ambizioni stilistiche o formali, il thriller è un genere molto letterario – potremmo dire metaletterario – e senz’altro di piena finzione, anche quando sembra realistico, perché si fonda, appunto, su variazioni sul tema. La sfida è trovare ogni volta qualche piccola cosa nuova – meglio se molte – all’interno di una serie di impostazioni date dal genere e di attese da parte del lettore. Non è un campo in cui sono permesse troppe sperimentazioni. Per Fatal intrusion con Isabella abbiamo trovato assieme il tema dei ragni da legare al killer, lei ha trovato l’idea di usare un’agente di un dipartimento poco sfruttato nella fiction come la Homeland Security, e io quella di un alleato intrusionista, qualcuno che di mestiere s’infiltra nei sistemi di sicurezza per metterli alla prova. Si tratta di una cosa che esiste anche nella realtà, ma non credo fosse mai stata sfruttata in un romanzo. Ogni piccola novità, in un thriller poliziesco, è un grande successo.
E poi deve essere un «page-turner», un libro da cui non ci si può staccare...
ISABELLA MALDONADO – Un thriller poliziesco che non si muove è un thriller poliziesco morto. Potremmo dire che essere un page-turner sia la caratteristica quintessenziale di un thriller poliziesco riuscito, o meglio di qualunque thriller. Il trucco principale in realtà è molto semplice, anche se non è così semplice metterlo in pratica con regolarità: devi avere capitoli molto brevi, che si concludono sempre con un cliffhanger, con un’azione sospesa, o almeno lasciando una domanda senza risposta nella testa del lettore. In questo modo crei una situazione che di fatto lo obbliga ad andare al capitolo successivo. E poi a quello successivo. E poi a quello successivo ancora. Chiaramente non può essere sempre una cosa al massimo della tensione, del tipo: «Moriranno?» – a volte sì, ok – ma la posta in gioco deve essere sempre la più alta possibile in quel momento della storia.
JEFFERY DEAVER – Abbiamo lavorato in questo senso in modo deliberato, ponendo la massima attenzione alle chiusure dei capitoli. Io li chiamo «ganci», Isabella li chiama «trampolini», ma intendiamo la stessa cosa: l’azione sospesa alla fine di un capitolo. A volte, quando ci sentivamo particolarmente crudeli, ne lasciavamo lì una per poi spostarci da un’altra parte della storia per uno o due capitoli prima di tornare a quel punto. Anche questa è un’operazione che ha la sua efficacia solo se i capitoli sono molto brevi e il lettore, pur andando avanti su altre parti, ha ancora in mente la situazione sospesa e vuole arrivare a vedere come si risolve. A questo, poi, vanno aggiunti i plot twist, i colpi di scena.
ISABELLA MALDONADO – Da dosare bene...
JEFFERY DEAVER – Eh eh, stai pensando a quello... Vi racconto: quando stavamo pianificando Fatal intrusion, fin dall’inizio avevo in mente un certo colpo di scena, vicino al finale, che sarebbe stato un’enorme sorpresa. E come sanno i miei lettori, io amo le sorprese. Quando però siamo arrivati a quel punto, Isabella mi fa: «Siamo sicuri di volerlo mettere davvero?». E siccome quando si scrive a quattro mani bisogna fidarsi dell’altro, ho riletto e ho pensato che era davvero «un colpo di scena di troppo». Non solo o non tanto perché improbabile, ma perché in fondo era lì solo per il mio gusto e con il suo essere così eccessivo finiva per togliere legittimità ai colpi di scena davvero essenziali per la vicenda. Esiste un limite nei colpi di scena, ed è quando il lettore pensa: «Ma fammi il piacere!». Era in effetti uno di quei casi.
Per il resto sempre d’accordo?
JEFFERY DEAVER – Da quel che ricordo non ci sono stati grandi scontri... È vero che io tendo a essere proprio come Jake Heron e pensare che le regole in fondo non esistano, mentre Isabella è molto attenta ai dettagli procedurali, e quindi mi diceva continuamente cose del tipo: «No, se la mettiamo così violerebbe il quarto emendamento e finirebbe sotto la giurisdizione di un’altra corte..» ed ero costretto a modificare...
ISABELLA MALDONADO –...ma questa tensione che a volte emergeva si è rivelata un ulteriore punto di forza: finiva per trasmettersi anche ai nostri due protagonisti, alzando la tensione tra loro.
JEFFERY DEAVER – È vero, e anche questo è un aspetto essenziale di un thriller in cui hai una coppia di investigatori. Più livelli di tensione anche tra loro. Ovviamente c’è quella da telenovela: lasciare aperta la possibilità che scatti il colpo di fulmine, ma è bene che siano diversi anche i metodi, l’approccio ai problemi... Aggiunge tensione e conflitto e contribuisce al godimento del lettore.
Cos’hanno pensato i vostri agenti e i vostri editori del progetto? Non sempre i romanzi a quattro mani vengono visti di buon occhio: ci sono due autori diversi da promuovere, c’è il timore che venga percepito come un lavoro di secondo piano...
ISABELLA MALDONADO – Era una cosa da discutere bene con gli agenti, in effetti, ma penso di essere riuscita a trasmettere l’entusiasmo che avevo per il progetto: la mia agenzia si è subito messa in contatto con quella di Jeffery, e lavorando assieme hanno imbastito in tutta velocità una proposta – una cosa seria, per due romanzi – e alla fine hanno incontrato anche il favore dell’editore.
Quindi ci sarà un secondo thriller Deaver-Maldonado...
ISABELLA MALDONADO – Stiamo facendo l’editing proprio adesso. Se tutto va bene dovrebbe uscire a settembre negli Stati Uniti.
Qualche anticipazione?
(silenzio)
JEFFERY DEAVER – Siamo scrittori di suspense, dobbiamo mantenerla.
ISABELLA MALDONADO – Forse qualcosa possiamo dire...
JEFFERY DEAVER – Il titolo, che è circolato per i preordini: The Grave Artist.
ISABELLA MALDONADO – Possiamo dire anche che in questo romanzo Jake e Carmen investigheranno su un tipo di serial killer davvero diverso dal solito.
Quindi avrà gli stessi protagonisti!
JEFFERY DEAVER – Sì, sarà un Jake Heron & Carmen Sanchez thriller. Con un «cattivo» mai visto prima. Tenete d’occhio Longanesi, vedrete che arriverà anche in Italia!