La Lettura, 23 febbraio 2025
Gli ucraini vogliono ricordare e i russi vogliono cancellare.
C’è troppo presente – un presente che ci dovrebbe riguardare tutti, vedendo quanto accade in Ucraina – per definire Non c’è posto per l’amore, qui un «romanzo storico». È qualcosa di più, anche se Yaroslav Trofimov – nato a Kiev, divenuto con i suoi reportage nel mondo, i suoi libri e il suo lavoro come capo corrispondente per gli affari esteri del «Wall Street Journal» uno dei protagonisti più apprezzati del giornalismo internazionale – percorre con una guida sicura gli eventi terribili di tre decenni del secolo scorso nella sua patria. Ma tutto è vicino, molto vicino. Le pagine, in cui la finzione dell’intreccio assorbe la realtà di ricordi familiari condivisi, scorrono nel segno dell’emozione.
È più di un romanzo storico perché ciò che racconta di ieri è una lezione per oggi. La Storia non costituisce uno sfondo, ma domina la vita interiore dei personaggi e, soprattutto, dell’ebrea ucraina Debora Rosenbaum. Iniziamo a conoscerla diciassettenne, nel dicembre 1930, quando decide di andare a lavorare nella fabbrica di trattori di Kharkiv per «essere parte del futuro» e si sorprende a respirare con gioia «l’odore di inchiostro fresco dei libri». La seguiamo poi a Kiev, a Stalingrado, a Derbent in riva al Caspio, di nuovo a Kiev, e la lasceremo nel 1954 a Truskavets, nei Carpazi, cosciente di aver dovuto obbedire al male, umiliata ma non vinta, ancora sicura che «solo i buoni muoiono presto». «Volevo mostrare come in un’epoca di atrocità totalitarie – spiega Trofimov a “la Lettura” – è molto difficile rimanere integri, non accettare compromessi morali». Non c’è posto per l’amore, qui è la sua prima opera di fiction. Ha pensato di scriverla nel 2014 «quando è iniziata la guerra con la prima invasione russa in Crimea e nel Donbass».
Rivoluzioni, purghe politiche, carestie, persecuzioni, violenze, stermini, deportazioni, distruzioni e guerre mettono duramente alla prova Debora. Il suo cammino di resistenza attraversa lutti e gioie, dolori e piaceri, sconfitte e vittorie, sottomissioni e liberazioni. La mamma Rebecca, il padre Gersh, «che non credeva nel roseo futuro comunista ma nel non lamentarsi», il grande amore Samuel, i figli Pasha e Nina, il fratello Yakov, il colonnello della Sicurezza di Stato Maslov e il suo assistente Rybak, l’amica di gioventù Olena, il dirigente della polizia segreta Sasha, il giornalista delatore Boyko fanno tutti parte di un’avventura esistenziale che è anche una discesa nell’inferno dei viventi. Fedeli ai comandamenti della letteratura, non ne sveliamo i dettagli e le tante sorprese. Ma è giusto citare, come una sorta di epitaffio collettivo provvisorio, le parole di Rebecca quando la figlia le svela di essere stata testimone in un villaggio di campagna degli orrori provocati dall’Holodomor, il genocidio per fame, mentre i contadini arrivavano in città a morire, congelati nella neve. «La Storia si è scatenata di nuovo contro questo Paese per spezzarlo e rifarlo di nuovo. Non puoi ostacolarla e non puoi fermarla. L’unica speranza è che ti ignori mentre attacca e sfodera i suoi artigli. Che non si accorga di te. Che colpisca qualcun altro».
Uno dei punti di forza di questo romanzo – che segue di un anno Our Enemies Will Vanish: The Russian Invasion and Ukraine’s War of Independence, libro dedicato alla coraggiosa reazione ucraina dopo l’avvio, il 24 febbraio 2022, di quella che il leader del Cremlino chiamò l’«operazione militare speciale» – è proprio il suo immaginare e il suo prendere, in un rapporto sdoppiato con la realtà. Nella nota iniziale veniamo avvertiti che si tratta di un’opera di finzione ma basata su «storie vere della famiglia dell’autore in Ucraina». «Debora – ci dice Trofimov – non è un personaggio completamente inventato. Mia nonna, che si chiamava così, mi ha parlato di ciò che è successo in quegli anni e alcune delle vicende del romanzo le sono accadute effettivamente». La narrazione conquista così un valore aggiunto, come quando entriamo nel mondo degli intellettuali che nella Kharkiv dei primi anni Trenta guardavano già allora all’Europa e non a Mosca e poi furono eliminati uno per volta dal potere sovietico. Non è una creatura della fantasia nemmeno il reporter americano che crede alla propaganda di regime, ispirato (i conoscitori dell’Ucraina lo capiranno) alla discussa figura del corrispondente del «New York Times» a Mosca di quell’epoca, Walter Duranty.
Leggere Non c’è posto per l’amore, qui induce a salti nel tempo, non solo perché il racconto dei bombardamenti nazisti su Kiev può richiamare alla mente immagini universali, non diverse da quelle che dovremmo avere negli occhi della capitale ucraina martellata dai missili di Vladimir Putin. «I bambini nel cortile del palazzo di Debora giocavano con schegge di proiettili caduti dal cielo» mentre «il cielo era di un azzurro che faceva male, il sole bruciava la pelle e – inaspettatamente – sciami di piccole mosche avevano preso possesso della città». «Le donne, con le pale in mano, iniziarono – leggiamo ancora – a trasformare ogni spazio non asfaltato in rifugi improvvisati, ammucchiando la terra da un lato». Tra un capitolo e l’altro, iniziamo a respirare la «normalità» della guerra.
Ma ancora più delle immagini, comprendere ciò che Debora ha dovuto affrontare – riuscendo a non morire e a salvare i suoi figli – può servire a chiarire la nostra percezione distratta della realtà. «Tutti gli ucraini di oggi – osserva Trofimov – sono i discendenti di quelli che sono sopravvissuti ai milioni morti per la carestia o durante la Seconda guerra mondiale. Questo spiega perché lottino così fortemente contro la Russia. Sanno che, nonostante le perdite, nonostante le distruzioni, arrendersi a Mosca è l’alternativa peggiore». «Gli ucraini vogliono ricordare, il governo russo vuole cancellare. È una questione fondamentale – aggiunge – che dev’essere risolta».
Se è vero quello che afferma una scrittrice di rara lucidità come Marija Stepanova, cioè che «quando la memoria spinge passato e presente a confrontarsi è per una ricerca di giustizia», è forse proprio questo il messaggio che ci viene inviato. Una ricerca di giustizia, guardando alla vita delle persone, che sia in grado anche di confrontarsi con le molte incognite del futuro. «Al di là del rapporto tra Ucraina e Russia, il romanzo cerca di spiegare – sostiene il suo autore – una dinamica più universale: la sopravvivenza in un regime che sopprime la libertà. Ho cercato di mettere in luce come gli esseri umani si trasformano in una dittatura, quando regna la paura e manca la possibilità di esprimersi. Purtroppo tutto questo non è accaduto solo nel secolo scorso ma lo vediamo adesso in tanti luoghi del mondo. E potrebbe succedere in altri». Ricordare, aggiungiamo, può avere anche un valore profetico. Questo libro lo dimostra.