Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 23 Domenica calendario

Bimbi ucraini rapiti, il canale aperto della Chiesa

Dove le cancellerie hanno fallito, mentre la Russia e gli Stati Uniti si dicono propensi a un accordo per fermare la guerra in Ucraina sulle spalle del Paese aggredito, c’è almeno un canale che fa parlare Kiev e Mosca: è quello della diplomazia umanitaria. Un canale per «aiutare ad aprire sentieri di pace», l’aveva definito il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, nella sua visita dello scorso luglio in Ucraina. E un canale “miracolo” che papa Francesco e la Santa Sede, con la sua rete di nunzi e con la missione affidata dal Pontefice al presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, hanno contribuito ad alimentare, convinti che dal dialogo possa passare la ricerca di una «pace giusta», come ripetono sia Parolin, sia Zuppi. E il segretario di Stato ha spiegato a L’Eco di Bergamo che «le soluzioni non devono essere mai perseguite attraverso imposizioni unilaterali», con il rischio «di calpestare i diritti di interi popoli». Certo, aveva aggiunto a Vatican News, «per negoziare una pace giusta serve tempo, mentre una tregua condivisa da tutte le parti in causa – in primis resa possibile dalla Russia che ha iniziato il conflitto – potrebbe avvenire anche nello spazio di poche ore, se la si volesse».
Scambio dei prigionieri di guerra e rientro dei bambini ucraini finiti in Russia sono stati e restano i due ambiti di “colloquio” fra le capitali. È un esempio di negoziato che la Chiesa ha incentivato in modo fattivo. Lo dicono le liste di detenuti e di ragazzini che sono state inviate o consegnate al Papa oppure affidate al presidente della Cei o ancora recapitate attraverso le rappresentanze diplomatiche vaticane alle autorità di Mosca e Kiev. Lo testimoniano i nomi delle donne e degli uomini rilasciati, compresi i due sacerdoti greco-cattolici rimasti un anno e mezzo nei campi di detenzione del Cremlino, che erano contenuti negli elenchi passati dal “sistema” della Santa Sede. Lo confermano le operazioni di rimpatrio dei ragazzini che le autorità di occupazione di Mosca hanno trasferito nei territori russi o controllati dell’esercito di Vladimir Putin per «salvarli dalla guerra», secondo la versione del Cremlino, e che Kiev ha sempre ritenuto «deportati» fino a far arrivare il suo j’accuse alla Corte penale internazionale dell’Aja che proprio per i “bambini rubati” e le deportazioni dei civili ha emesso il mandato di cattura per Putin e per Maria Lvova-Belova, la commissaria russa per l’infanzia. Anche con lei Zuppi ha avuto colloqui, compresi quelli durante le due visite a Mosca nel 2023 e nel 2024.
Al cardinale arcivescovo di Bologna il Papa ha assegnato il delicato e paziente compito di tessere una rete che partisse da Kiev e Mosca e si estendesse agli Stati Uniti e alla Cina, ritenuti fondamentali per risolvere la crisi ucraina. E Zuppi si è recato nelle quattro capitali. «La mediazione in senso stretto non è mai stata l’idea del Papa – aveva spiegato il porporato ad Avvenire –. La sua era ed è la determinazione di cercare tutte le sinergie possibili per favorire la pace e lenire le sofferenze della gente. Lo dimostra l’attenzione all’emergenza umanitaria, libera dal versante bellico e dalla propaganda». È l’altra grande dimensione della “diplomazia dal basso” della comunità ecclesiale. Come indicano i carichi di generi di prima necessità che continuano a giungere nell’Ucraina sotto le bombe: anche per volontà del Papa in prima persona (nove i viaggi dell’elemosiniere pontificio, il cardinale Konrad Krajewski: l’ultimo lo scorso Natale). O come attestano le esperienze di aiuto e accoglienza alla gente in fuga dai missili che le Chiese del mondo, inclusa quella italiana, promuovono.
Da tre anni Francesco chiede che le armi tacciano, schierandosi a fianco della popolazione «martoriata», ribadisce nei suoi appelli. Un impegno, però, che implica anche «equilibrio» fra le parti e impone che «non si prendano posizioni radicali contro l’uno o contro l’altro», aveva sottolineato Parolin ad Avvenire. Fin dall’inizio dell’invasione, la Russia ha dichiarato di apprezzare l’operato vaticano, anche se Putin non ha mai incontrato né il Pontefice (che aveva visitato l’ambasciata russa nei primi giorni di aggressione) né Zuppi. Più oscillanti le relazioni fra Santa Sede e Ucraina che ha criticato in varie occasioni le parole di Francesco ritenute filo-russe. Ma non sono mai venuti meno gli incontri di Zelensky con il Papa, con Parolin e con Zuppi. E nell’ultimo anno le tensioni e le incomprensioni hanno lasciato il posto a un «clima diverso». «Ed è stato costruito un rapporto di maggiore fiducia e comprensione», ha raccontato il segretario di Stato. A partire da un’apertura da parte di Kiev, in difficoltà sia sul piano militare, sia sul fronte diplomatico, che ha visto Oltretevere un “alleato” senza secondi fini.
«La guerra di conquista della Russia ha causato immense sofferenze, dolore e perdite al popolo ucraino – si legge nel messaggio diffuso per il terzo anniversario del conflitto dal Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose che comprende anche la Chiesa cattolica con i vescovi di rito latino e greco-cattolico –. Essa ha portato alla distruzione di città e infrastrutture civili, gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà nei territori temporaneamente occupati, tra cui la persecuzione religiosa, la chiusura delle chiese, la tortura e l’uccisione di leader religiosi di varie confessioni, la migrazione forzata di milioni di persone, la separazione delle famiglie». Ma adesso a preoccupare è anche l’asse Putin-Trump. «La giustizia – dicono le realtà ecclesiali – richiede la condanna dell’aggressione russa: il male non deve essere ricompensato». Domani, nel giorno in cui si ricorda l’inizio dell’invasione targata Cremlino, si celebrerà per la prima volta anche la Giornata nazionale di preghiera per l’Ucraina: l’ha istituita il Parlamento di Kiev e ha ricevuto il plauso delle comunità religiose che invitano, «ciascuno secondo la propria fede, a unirsi nella preghiera per una pace giusta».