il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2025
Valeria Fabrizi, indiscreta con ironia
Ironica, tanto. Godereccia, di più. Valeria Fabrizi appare come una donna che ha visto la vita con gli occhi giusti: senza rancore, molto divertimento, il giusto grado di consapevolezza rispetto a dolore, debolezze, addii. Ha debuttato sul set settant’anni fa, ha recitato con tutti i più grandi, ha vissuto la Dolce Vita, si è sposata con Tata Giacobetti, ha accettato i riflettori spenti, fino a quando «anni fa, con Sandra Mondaini, sono andata a teatro per vedere Pino Strabioli. Sandra fumava nonostante stesse male. Un mese e mezzo dopo mi hanno chiamata in televisione e da lì è ripartita la mia carriera». La sua carriera è ripartita con uno dei ruoli più amati in Che Dio ci aiuti, quello di suor Costanza, «anche se ora lo hanno notevolmente ridotto. E mi dispiace».
Nel curriculum avrà un centinaio di film.
Non esageriamo. A molti ho solo partecipato; c’è stato un periodo nel quale ne giravo tre o quattro l’anno e con i grandi attori; (resta in silenzio) spesso i giovani non sanno chi sono i grandi attori.
Ha recitato con tutti.
Sono una superstite; quando mi specchio non lesino in complimenti: «Brava, tieni duro!». Ho 88 anni.
Complimenti.
Sa perché li accetto? Perché sono tutta naturale.
Bene.
Neanche una punturina, mentre ho delle amiche con un occhio da una parte e l’altro chissà dove; o le labbra che arrivano prima del naso, gli zigomi incredibili. Le guardo e non so dove focalizzarmi.
Esprime queste idee?
Inutile, tanto negano.
Lei?
Al massimo mi do gli schiaffi la sera.
Metaforici?
Reali. Servono a riattivare la circolazione del viso. Una volta ho esagerato e mi sono ferita a un dente: il giorno dopo ero dal dentista.
Ha debuttato al cinema con Ragazze d’oggi.
Nel cast pure Mike Bongiorno al primo film; io diciottenne.
Come ci è arrivata?
Vivevo a Bologna con i nonni, mentre mamma aveva un centro medico a Milano. Una settimana la raggiungo, vado in studio e incontro un signore che era lì per ingessarsi: quel signore girava fotoromanzi e appena mi ha vista ha chiesto se poteva ingaggiarmi.
Perfetto.
Aggiungo: il compagno di mamma lavorava con il teatro e ho da sempre i capelli rossi perché al tempo stavo sempre vicina ad Abbe Lane.
Un vero mito del tempo.
Aveva tette enormi e per indossare i suoi reggiseni li dovevo riempire con tutto quello che trovavo, anche i fazzolettini.
Pure lei aveva delle belle forme.
Caspita! Negli Stati Uniti sono arrivata quarta a Miss Universo. Ma Abbe era più formosa.
È rimasta male del quarto posto?
Alla fine del concorso non so quante persone sono accorse da me per abbracciarmi e baciarmi. Ma non capivo una parola d’inglese.
Che era successo?
Avevano sbagliato persona. Tutti convinti che avessi vinto.
Che delusione…
Appena svelato il mistero mi hanno sollevata e buttata via come un cencetto.
Ha vinto soldi?
Macché, giusto una borsa con dentro occhiali da sole, profumi, costumi, creme; (pausa) io lavoro ancora.
È suor Costanza nella serie Rai Che Dio ci aiuti.
Ricevo tantissimi premi per quel ruolo.
Orgogliosa.
Peccato che la scorsa stagione il mio personaggio è andato due volte in ospedale e lì ho pensato e poi detto: «Mi stanno facendo fuori». E tutti: «No, figurati». Invece quest’anno non c’ero più, solo due apparizioni.
Motivo?
Le signore della mia età non vengono assicurate.
Stesso problema denunciato anni fa dalla Valeri.
Meravigliosa Franca. Quando era in vita confondevano il mio nome con il suo e ne soffrivo.
Allora l’avranno scambiata come parente di Aldo Fabrizi.
Eccome, ed eravamo molto amici. Al momento di cucinare, Aldo litigava con mia madre e quando è morto mi hanno inviato i telegrammi; una signora mi ha fermato: «Lei e Aldo eravate due gocce d’acqua». Mi sono incazzata.
Torniamo a Che Dio ci aiuti.
Ho combattuto, ho protestato, alla fine ho ottenuto otto pose; il mio personaggio è molto amato e spesso mi fermano per strada, anche le suore.
Ha conosciuto e lavorato con il gotha.
Ho vissuto pure la Dolce Vita.
Com’era?
Eravamo tutti eleganti, ci tenevamo. Noi italiani andavamo al Café de Paris, e lì trovavi sempre Totò o Tognazzi, mentre il Doney era degli statunitensi; una sera arrivo in via Veneto insieme a mia suocera: era estate, guidavo una cabriolet rossa, scoperta. Io bionda. Inchiodo. Perdo una borchia. Un uomo inizia a rincorrerla. Assisto alla scena e nel frattempo sento un tizio che mi fa «Wonderful» e fischia. Mi giro ed era Gregory Peck. Volevo morire.
Oggettivamente bella.
Oggi mi stimo molto.
Ieri, no?
Mai stata civetta, mai utilizzato il movimento di anche.
Eroticamente naturale.
Ero così. Ed è una dote che va coltivata.
Utile.
Mi ha creato problemi, perché per lavorare non ho mai messo la schiena sul materasso. E di dispiaceri ne ho avuti.
Iniziamo con i partner di set: Ugo Tognazzi.
Tombeur de femmes, non ne perdeva una. Tremendo; (pausa) lui e Vianello, in teatro, erano l’opposto.
Cioè?
Raimondo era come appariva: serio, all’inglese; mentre Ugo era più dedito agli scherzi. Però chi aveva le idee, spesso, era Vianello ma le metteva in pratica Tognazzi.
Duo equilibrato.
Con loro sono stata in tournée due anni e in quei due anni ho assistito agli schiaffi in stile Amici miei.
Quelli alla stazione dei treni?
Quando partiva il treno, Ugo saltava e schiaffeggiava quelli che salutavano dal finestrino. Poi ha imparato pure Vianello; con loro ci divertivamo tantissimo; (cambia tono) l’altra sera ne parlavo a cena con Rita Pavone, a casa di Mastelloni.
Mastelloni non lo fanno lavorare.
Assurdo, oramai ha venduto tutto pur di vivere.
Primo momento di notorietà.
Dopo Miss Universo. A Bologna hanno rotto le vetrine dei negozi per prendere le mie fotografie.
E poi?
Un bel riflettore è arrivato grazie a Fausto Brizzi e a Notte prima degli esami, ma non ho ottenuto neanche un premio, un David alla carriera. E anche su mio marito il silenzio.
Tata Giacobetti e il Quartetto Cetra.
Non ne parla nessuno, eppure sono un pezzo della nostra storia; (cambia tono, lo abbassa) quel gruppo di amici mi manca tanto.
Torniamo al gotha: Walter Chiari.
Siamo nati nello stesso palazzo, con le famiglie amiche.
E…?
È stato il mio principe Azzurro, e dopo sono rimasta il suo punto fermo, una certezza anche quando stava con Ava (Gardner) che per gelosia mi buttò il whisky addosso. Poi siamo diventate amiche.
Sarà stata poco lucida.
Ho varie amiche che bevono, e pure io non mi tiro indietro; ho girato un film con il marito di Anita Ekberg, Anthony Steel, poco lucido. Era fragile.
Gli artisti spesso sono fragili.
Più o meno; Walter Chiari ha abitato da me cinque anni.
Fragilissimo.
Autodistruttivo, soffriva tanto per essere stato allontanato.
Lo ha sempre protetto.
Sempre. Sono stata un mese con lui negli Stati Uniti, Arthur Miller entusiasta di Walter, ma lui non ha capito la chance che aveva. Mentre stavamo lì pensava al mare di Fregene.
Suo marito non era geloso di Walter Chari?
Per me era un fratello ed è stato Tata a portarlo in casa dopo averlo incontrato in un ristorante, ridotto malissimo; quando viveva da noi, mia figlia per due volte lo ha portato in ospedale. La droga lo ha massacrato.
Non aveva paura dell’esempio per sua figlia?
All’inizio Giorgia non aveva capito, poi la situazione di Walter è diventata come un monito; (ride) una volta, sul set, ho chiesto a uno delle maestranze se mi trovava uno spinello. A momenti sveniva. Tremava. Mi piace scherzare.
Uno spinello lo ha mai fumato?
Certo. Ma non ho mai seguito Walter nei suoi vizi; al tempo qualcuno ci dava sotto.
Andavano di moda le anfetamine.
Io so della “polverina”; ma sono stata sempre moooolto brava.
Ancora: il gotha.
Sandra Mondaini, mia grande amica. E sono riuscita a farla riappacificare con Delia Scala: si detestavano.
Come mai?
Per un ruolo teatrale dato da Delia a Sandra e non restituito; la lite è sbocciata durante una partita a poker, tanto da tirarsi le carte addosso più una serie ampia di improperi.
Anche lei giocava?
Ho provato solo una volta. E ho perso.
A quel tempo Mina era una grande giocatrice.
Con Mina siamo state tanto insieme, per mia figlia era una sorta di madrina.
Mina vista da lei.
Una ragazza di provincia: umile, semplice, mostro di bravura. Generosa. Attenta. E pazza: quando è nata sua figlia Benedetta, poco dopo il parto, già fumava. Per colpa sua ho ripreso pure io.
Lei si è divertita.
Ho vissuto in un libro di favole.
Quando si è divertita maggiormente?
Ho amato il set di Un canto nel deserto con Claudio Villa protagonista. All’improvviso arrivarono Tata, Paolo Panelli e Nino Manfredi e quando hanno visto che per la scena del bacio piazzavano dei rialzi sotto a Villa, hanno iniziato a prenderlo in giro.
Villa si accalorava facilmente.
Infatti iniziò a bestemmiare. E non le sopporto.
Ha girato Grazie nonna, con protagonista Giusva Fioravanti.
Tutte le mattine mi veniva a prendere a casa: si presentava con un uovo fresco e la banana; era un bambino bello, solare, sorrideva. Chi lo avrebbe mai detto di quella fine.
L’attore che l’ha maggiormente emozionata?
Ero innamorata persa di Marcello Mastroianni.
Era un seduttore?
Negato, come Walter Chiari. Erano dei sedotti.
Alberto Sordi.
Era molto amico di mio marito, avevano fatto una tournée insieme; durante quella tournée Alberto chiedeva ai produttori i soldi per il viaggio, poi saliva in macchina di Tata e non sganciava una lira.
Nino Manfredi.
Ho filato con Nino, era bellissimo, con delle ciglia incredibili; però con lui solo baci.
Vittorio Gassman.
(Ride) Mi ha baciata. E basta.
Alberto Lupo.
Con lui ho girato Un certo Harry Brent (resta zitta, poi ride sorniona).
Una voce pazzesca.
In una scena ci siamo baciati, con il regista che gridava stop e lui non la finiva.
Ahia.
Baciava bene; non solo: giravamo in Inghilterra, in un giorno di pausa andiamo nella campagna del Kent perché c’era Steve McQueen impegnato in un altro film. Al ritorno perdiamo il treno. Ci fermiamo in una baita, ci ubriachiamo di birra e alla fine abbiamo dormito insieme in un lettino piccolo.
E lì?
(Ride, tanto) Niente! Al risveglio mi ha pregata di non raccontare mai a nessuno il fatto che non ci avesse provato.
Lei chi è?
Sono uno scrigno di bontà, generosità e attenzione umana.