Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 23 Domenica calendario

Trump-Conte, ritorno di fiamma


ROMA – Non tutti i nomignoli vengono per nuocere, tanto più se ad assegnarli è l’imperatore. Twittarolo spasmodico e conversatore approssimativo, Donald Trump chiamò un giorno il presidente della Repubblica “Mozzarella”, anche se talune fonti tramandano che la storpiatura suonasse piuttosto come “Motorola”.E tuttavia, rivolgendosi a Conte come a “Giuseppi” gli ha fatto un grande piacere, come pure s’è intuito in questi giorni, allorché l’ex presidente del Consiglio e leader cinque stelle, superato ogni indugio, ha coperto di elogi Trump, «ruvido smascheratore della propaganda bellicista» eccetera.Nelle relazioni atlantiche “Giuseppi” è una triplice medaglia di fedeltà. La prima volta scappò di bocca a Trump durante un G7 in Canada, giugno 2018, «senza alcun intento denigratorio» precisò il portavoce Casalino. La seconda, più meditatamente, il mese dopo a Washington, dopo aver parlato con Conte di Libia, Tap, immigrazione e aumento delle spese militari; in quell’occasione i due uomini di Stato si abbandonarono a reciproche smancerie, «siamo due outsider della politica», Donald indicò l’italiano: «È fantastico», a volte succede.Non per essere pignoli, ma la terza volta l’ormai affettuoso soprannome fu messo nero su bianco alla Casa Bianca presentando «l’altamente rispettato primo ministro Giuseppi Conte» nel pieno della crisi di governo dell’agosto 2019, quando da gialloverde la maggioranza stava virando verso il giallorosso e il pronunciamento di Washington – «un uomo molto talentuoso che spero resti primo ministro!» – diede all’aspirante premier un’utile spintarella. Contese l’è conservata al calduccio per oltre cinque anni, pure facendo qualche impiccio a favore di Trump sul delicato terreno dei servizi segreti, e adesso spera – o s’illude, chissà – di passare allo sportello per riscuotere.È impossibile da documentare, ma l’impressione è che gli altri suoi alleati e/o avversari abbiano sempre provato un po’ d’invidia per questa designazione insieme imperiale e confidenziale. Secondo Meloni – lo disse ad Atreju nell’anno in cui aveva invitato Steve Bannon – il nomignolo sarebbe in verità legato alla spregiudicatezza, al trasformismo e all’astuta doppiezza dell’ex avvocato del popolo: «Forse aveva ragione Trump perché i Giuseppe sono due».Ma forse la faccenda va oltre la figura di Conte per illuminare, o meglio mettere a nudo la triste e come al solito anche buffa realtà di un ceto politico e di governo che, senza troppe distinzioni di schieramento, maneggia la politica estera come sefosse quella interna. Di qui battute, provincialismi, abbagli, retromarce, servilismi, gaffe, spacconate, photo opportunity, bacetti sulla fronte, social card e chiacchiere da talkshow.Sia consentita una premessa brutale: già i politici italiani contano poco e già il dilettantismo, a dir poco, li condanna a continue toppate e imprudenze. Figurarsi oggi che è saltato l’ordine mondiale se può mai avere un senso la caciara pop che a livello internazionale proprio nei due governi di Giuseppi (2018-2021) trovò la sua più ineguagliabile e tragicomica espressione.Per cui si dimentica tutto, e forse è anche un bene, ma al termine di una delle prime riunioni a Bruxelles chiesero a Conte, ebbro di successo, se avesse “bullizzato” i partner della Ue e lui, modestamente: «Eh, un po’». Purtroppo allora avevano preso a muoversi la Russia, la Cina, l’America sovranista, anche se per l’Italia c’era chi ragionevolmente intravedeva esiti sudamericani. Si andava allestendo il caos, ma tutti qui facevano i fenomeni: Grillo apriva la Via della Seta, Di Maio si misurava con “il presidente Ping”, quell’altro cinque stelle offriva a Pechino i porti di Taranto, Trieste, Palermo con tanto di arance promozionali. Intanto Salvini prometteva un Piano Marshall per l’Africa e s’azzuffava col premier del Lussemburgo, così come imprenditori balneari della Lega, per lo più sposati con donne russe, s’improvvisavano petrolieri a Mosca, senza immaginare di aver guadagnato spioni di svariate potenze alle calcagna. Poi venne il covid, e lì Giuseppi diede il meglio e il peggio ma l’Italia è questa e tocca consolarsi.