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 2025  febbraio 23 Domenica calendario

Olly, ovvero l’elogio della rinuncia


Ogni volta che sapevo di dover dire no e non l’ho fatto ho sbagliato. Nell’amore, sempre. Lo sanno tutti che in amor vince chi fugge e invece. Una vita a inseguire, assecondare, aspettare. Il disastro. Nel lavoro, anche. Ogni volta che “conveniva” ma non mi sembrava giusto per me – non mi piaceva, fra la milza e il fegato, senza che sapessi spiegare perché – eppure tutti a dire sei pazza, non puoi rinunciare, ti conviene: ho sbagliato. Sarebbe utile avere una vita di prova, per imparare nell’errore, e una seconda per sbagliare meno, sbagliare meglio.Non saprei a chi presentare questa istanza, se a Babbo Natale o agli dei dell’Olimpo, metti che né l’uno né gli altri esistano: la piego in quattro e la tengo per me.Sono anche perfettamente consapevole che i consigli di saggezza tardiva non servono a nessuno, ciascuno fa sempre un po’ come gli pare dunque arrivare al terzo atto del proprio tempo, girarsi indietro e dire ehi, ragazzi, volevo avvisarvi che è sempre meglio dire no: inseguire non serve, accomodarsi ostinarsi è inutile, sono azioni postume.Quello che doveva succedere è già successo: succede solo quello che deve succedere e non dipende da voi.Non funziona, raccomandare la propria esperienza, purtroppo. Tutti sbagliano da capo. La cronaca è qui a dimostrarci l’inutilità della Storia. Megalomani, bracci tesi e folle oceaniche, di nuovo. Macchina del tempo indietro. Tuttavia appoggio qui, giusto per un privato sentimento di disciplina, il mio elogio della rinuncia. In un tempo e in un mondo in cui nessuno rinuncia a niente, tutti si imbullonano al loro posto perché quello che lasci lo prende qualcun altro, è la legge dei liquidi, se ti dimetti scompari, se te ne vai ti dimenticano. Ecco. In un tempo e in un mondo in cui nemmeno se sei condannato, se hai fatto consapevole bancarotta della tua azienda e sfruttato i tuoi dipendenti, se sei sotto processo per violenza carnale, hai fatto morirein mare donne e bambini, sei accusato di reati di corruzione o mafia, in nessun caso, in nessuno, ti dimetti. Anzi. Ti rieleggono e ti acclamano, diventi presidente, sei una promessa del partito. Sei un martire della giustizia e delle folle, un perseguitato quindi un potenziale leader.È successa una piccola cosa, in queste ore. Minima. Un giovane cantante italiano, recente vincitore del festival di Sanremo, ha rinunciato ad andare come sarebbe stato suo automatico diritto alla successiva competizione europea, chiamata Eurovision. Niente, un nonnulla nell’economia di quel che accade ogni giorno del mondo. Vuoi mettere con il raccapriccio delle bare esibite come trofei, con i condannati a morte nelle carceri iraniane, con l’Ucraina d’improvviso abbandonata dal nuovo re del mondo autopercepito e la geopolitica mondiale.No, non voglio mettere. Però mi hanno sorpreso i commenti, mi sorprende sempre la ferocia della gente che tranquilla da casa lapida chi gli passa di fronte sullo schermo del telefono. Lo ha fatto – hanno scritto – perché non sa cantare e in quella gara non c’è l’autotune a correggergli l’intonazione. Lo ha fatto perché glielo ha imposto il suo management. Lo ha fatto perché è un pavido, è uno inventato che non vale nulla. Lo ha fatto perché ha avuto paura. Dietro a ogni sospetto c’è un’abitudine, sempre: c’è comunque un’intenzione. Lo pensate perché così fareste. Io non credo.Io credo a quello che dice, e mi dà sollievo che ci sia un ragazzo di 23 anni, si chiama Federico Olivieri in arte Olly, che nonostante le pressioni si ferma e dice no. Che fa, cioè, quello che tanti di noi a partire da me non sono stati capaci di fare né alla sua età né dopo. Ha detto, Federico Olivieri, che «questa decisione è il mio modo di ascoltare me stesso e forse anche il mio contorto modo di dirvi grazie. Non sto rinunciando a un sogno, ho scelto di viverlo con i miei tempi». Accidenti.Non voglio farne un eroe, figuriamoci: ne abbiamo fin troppi, specie autoproclamati. Il vittimismo è una professione assai redditizia, è ovunque una rendita ma non è questo il caso. Questo è un semplice no. Grazie, ma no grazie – per dirlo con un’altra bella canzone.È quello che non possono e non riescono a fare i politici investiti dal ciclone del momento, per esempio il condannato Delmastro e l’inquisita Santanchè (no, non parleremo qui delle borse taroccate che compra sulla spiaggia e regala per acquisire influenze: è una storia patetica, è tutto un tempo fasullo e patetico). Però insomma. Ci sono in giro Bannon, Musk, Trump, Putin e Netanyahu, i loro deliri. Ci sono i terroristi osceni, le loro esibizioni.Accendiamo la tv, scorriamo il telefono e questo vediamo. È questo il tempo in cui viviamo.Nessuno che dica ho sbagliato. Nessuno che dica mai: sarebbe conveniente ma è ingiusto, quindi no. Nessuno che dica: non me la sento, non è il momento, rinuncio.Eppure, invece. Rinunciare è più difficile che acconsentire, che accettare. Stare fuori dal perimetro di gioco è un rischio: anche quando il gioco non ti piace è sempre meglio restare in partita – questo consigliano tutti. Perché fuori piove, fa freddo: fuori sei fuori.Invece amici, lo so che i consigli non servono, ma ha ragione lui, ha ragione il ragazzo con il maglione.Bisogna dire di no, grazie ma no. Per essere cercati, per essere amati, per essere promossi in carriera ma anche semplicemente per restare intatti, integri. Per avere un valore che non è quello della moltitudine.Non è facile, è difficilissimo. Il mondo lì fuori insegna che non si fa. Insegna che si vince solo quando si resta. Ma è una vittoria farlocca, come quelle borse di Hermès. Dire di no, farlo con gentilezza, è rivoluzionario. Nel tempo degli impostori, è la rivoluzione di cui abbiamo bisogno.