Libero, 23 febbraio 2025
Il futuro è un G2 e mezzo (con Usa, Cina e mezza India)
In libreria con un volume dedicato al tema più caldo e in rapida evoluzione nello scenario globale, in grado di suscitare speranze salvifiche e agghiaccianti distopie, nel suo Geopolitica dell’intelligenza artificiale (Feltrinelli, 576 pp., 24 euro) Alessandro Aresu arriva al terzo volume di un percorso intellettuale iniziato con Le potenze del capitalismo politico (2020) e continuato con Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia (2022). Aresu è consigliere scientifico della rivista Limes e direttore scientifico della Scuola di Politiche.
Donald Trump è presidente da un mese ed è stato un elettroshock per il presunto ordine mondiale. Si può ancora parlare di una “guerra invisibile” o la corsa agli armamenti tecnologici è ormai evidente?
«Una parte della tecnologia resta invisibile: penso alle infrastrutture di calcolo e all’industria dei semiconduttori, che è al centro delle competizioni globali. Oggi, però, non possiamo fare a meno di parlare dell’aspetto visibile di questo conflitto e cioè del rapporto tra tecnologia e potere».
Come abbiamo visto all’insediamento di Donald Trump. Ma quali sono i trend globali cui prestare attenzione?
«Il primo trend è lo spostamento della capacità manifatturiera verso l’estremo Oriente. Il secondo è la forza di attrazione del miglior capitale umano che gli Stati Uniti mantengono. Il terzo è che viviamo in un mondo in cui la contesa tra Usa e Cina è pervasiva, tanto che la tecnologia e il mercato sono caratterizzati da guerre economiche, sanzioni, dazi, controlli su esportazioni».
Concentriamoci sui due fronti più problematici, Ucraina e Taiwan. Kiev ha riserve di minerali strategici fondamentali per lo sviluppo tecnologico, dall’industria nucleare all’aerospazio, e per i quali i Paesi occidentali dipendono da Cina, Russia o dai loro satelliti. Le trattative in corso tra Trump e Zelensky passano proprio da un accordo sulle terre rare. Che esito avranno?
«L’Ucraina non è un Paese tecnologicamente avanzato e le ricchezze naturali che possiede non sono tali da renderla un terreno geopolitico rilevante. Questo si evince an che dalle mosse dell’attuale amministrazione americana: vedremo in che termini chiuderà la partita, o a chi la rifilerà (e l’Europa potrà anche non alzare la mano, ma verrà comunque chiamata alla lavagna, ndr), così da potersi concentrare sulla questione fondamentale…».
Che è l’altro fronte, Taiwan. La “provincia ribelle”, secondo la Cina, produce il 90 per cento dei chip avanzati del mondo, senza i quali gli Usa restano al palo.
«Se non ci sono le fabbriche di Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co), la più grande fabbrica di semiconduttori, il nostro mondo cessa letteralmente di esistere. Il quotidiano, dagli smartphone ai data center, dall’illuminazione alle automobili, è composto dalle fabbriche che si trovano a Taiwan. Per non parlare degli assemblatori dell’elettronica o dei server per l’intelligenza artificiale. Taiwan è vittima del suo successo. E per Xi Jinping la riunificazione è un imperativo».
Ma l’Europa, parlandone da viva, dov’è?
«Noi abbiamo perso alcune industrie, tra le quali c’era quella degli smartphone. Avevamo Nokia, un super prodotto che ora fanno gli americani, i cinesi e i coreani. Ma è proprio nella tecnologia e nell’elettronica che ci sono le industrie di riferimento. Noi non le abbiamo più e questo ci rende deboli».
È la fine del G7 e l’avvento di un G2, composto da America e Cina?
«Sì, ma l’India non va sottovalutata. È il Paese più popoloso del mondo, forma milioni di ingegneri e di scienziati, ha imprese sempre più ambiziose. Tra un po’ di tempo ci sarà da considerare un G2 e mezzo. Mentre l’Europa manca dei fattori fondamentali: i capitali, le imprese, i talenti. Ci restano le imprese chimiche, come la tedesca Basf e Air Liquide, francese, e che sono ancora importanti nelle filiere tecnologiche. Ma sono nate nell’Ottocento e nel primo Novecento».
Com’è possibile che di questo G2 ce ne siamo accorti adesso? Da anni si parla dell’Europa come un deserto di innovazione e già a fine estate Mario Draghi aveva delineato un futuro rovinoso dell’Unione europea, quando definì “esistenziale” la sfida della produttività.
«Nel pensiero strategico statunitense è da tempo una sfida a due: l’avversario è la Cina e la competizione si gioca nell’Indo-Pacifico. E infatti sulla tecnologia c’è continuità tra le amministrazioni, Trump, Biden e ora Trump II. Senza aziende digitali e senza capitale umano non saremo della partita».
A leggere gli editoriali su Donald Trump, sia di qua che al di là dall’Atlantico, pare un pazzo portatore di caos. Ma dai resort a Gaza all’acquisto della Groenlandia, dal Canada a stelle e strisce fino alla rivendicazione del Canale di Panama, qual è il progetto per rendere l’America di nuovo grande?
«Trump è arrivato con un piano ed è ben cosciente di interpretare una fase degli Stati Uniti. La Cina resta comunque il vero prisma attraverso il quale vengono guardate le altre questioni di politica estera. Trump non accetterà un conflitto a intermittenza, come quello scatenato da Biden con i controlli sulle esportazioni, che cambiavano ogni sei mesi e che, come effetto collaterale, hanno stimolato l’ingegno cinese. La grande questione sarà capire se gli Usa perseguiranno questo G2 con la Cina attraverso un accordo o se si andrà verso un conflitto».