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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

In cella nulla è cambiato: 14 suicidi da inizio anno.

I Garanti territoriali: politica e società tacciono, servono provvedimenti urgenti. Manifestazione nazionale il 3 marzo. A gennaio 15mila detenuti oltre i posti disponibili. A Perugia 4 agenti feriti. Sovraffollamento, carenza di strutture e risorse adeguate, burocrazia. Sono i tre lacci che soffocano da anni il sistema penitenziario italiano, giunto ormai allo stremo. L’allarme arriva ancora dai Garanti territoriali delle persone private della libertà personale che in un documento congiunto parlano di “silenzio assordante della politica e della società civile” e hanno indetto per il 3 marzo prossimo una giornata di protesta nazionale. I Garanti chiedono al governo “l’approvazione urgente di misure deflattive del sovraffollamento per chi deve scontare meno di un anno di carcere, l’accesso alle misure alternative per quei 19mila detenuti che stanno scontando una pena o residuo di pena inferiore ai tre anni. Occorre da subito – sottolineano – aumentare le telefonate e le videochiamate, soprattutto in casi specifici, perché questo rappresenta un ulteriore modo per tutelare l’intimità degli affetti dei detenuti. Inoltre, occorre che la magistratura di sorveglianza si impegni ad aumentare i giorni di permesso premio per i ristretti”.
La condizione di vita dei detenuti nei 192 istituti di pena italiani è da tempo più che drammatica: 14 sono i reclusi che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. L’ultimo, mercoledì, è un 52enne ristretto nella Casa circondariale di Frosinone che si è impiccato nella sua cella. Sarebbe uscito fra un anno per fine pena. Il fenomeno, che nel 2024 ha toccato l’apice, con 90 suicidi (una cifra mai raggiunta finora), non accenna a diminuire. E i morti dietro le sbarre sono stati complessivamente 44, comprendendo anche i decessi per malattia, overdose, omicidio e “cause ancora da accertare”.
Tra le cause del disagio, che riguarda di riflesso anche gli addetti alla sorveglianza, l’eccessiva presenza dei detenuti in edifici spesso fatiscenti: al 31 gennaio scorso erano 61.916 a fronte di una capienza regolamentare di 51.300 e a una disponibilità effettiva di circa 47mila posti. Ci sono, dunque, di fatto, quasi 15mila persone in più nelle strutture destinate alla detenzione.
Esiste poi la grave e diffusa emergenza rappresentata dai detenuti cosiddetti psichiatrici, cioè di coloro che sono affetti da patologie mentali tali da renderli incompatibili con lo stato di detenzione. Dai dati finora disponibili risulta che il 40% dei reclusi è sottoposto a cure psichiatriche ma migliaia di casi non sono accertati ufficialmente per mancanza di personale sanitario. Di conseguenza, aumentano le aggressioni e le violenze sia tra gli stessi reclusi che nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria. L’ultimo fatto è avvenuto nel carcere di Capanne a Perugia, dove ieri 4 agenti sono stati feriti e una cella è stata distrutta per le intemperanze di un detenuto in isolamento al quale erano stati riscontrati disturbi di tipo psichiatrico.
Ciò che potrebbero alleviare l’emergenza nelle carceri e garantire l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione che parla di pena come strumento di riabilitazione sociale, è il lavoro. Ma anche qui le poche iniziative sono lasciate a imprenditori volenterosi e direttori di penitenziari lungimiranti: istituzioni e società, latitano. “Oggi su 62mila detenuti – ricorda Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino – meno di duemila hanno l’opportunità di fare esperienze esterne di inserimento anche lavorativo. Complice anche la irresponsabile mancata attuazione dei Consigli di aiuto sociale, istituzioni mai realizzate, seppur previste dall’ordinamento penitenziario, che dovrebbero favorire, attraverso l’avviamento al lavoro, il reinserimento dei detenuti nella società.”