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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Ucraina, voci dal fronte: “Forse non sarà una pace giusta, ma almeno arriva”.

L’artista, il sindaco, il militare: “Sì elezioni, ma no ingerenze”.
Se anche, dall’alto, il governo ucraino decidesse di indire le elezioni, bisognerebbe fare i conti con le ricadute dell’iniziativa sul territorio. È il rovello che assilla il sindaco di una piccola località ucraina non molto lontana dal fronte: Bilopillja, che oltre a essere conosciuta per aver ospitato Kasimir Maleviç da bambino, è la più grande cittadina al confine con la regione russa di Kursk. “Vuoi parlare di Trump? Ero con lui il 6 febbraio!” urla Yuri Zarko al telefono.
La voce si perde sotto un rumore infernale, il sindaco sta guidando cercando di evitare i crateri sulla strada. Dopo una pausa a effetto, Zarko racconta di essere volato a Washington e aver preso parte alla Prayer Breakfast, la colazione religiosa a cui molti ucraini prendono parte e che quest’anno li ha visti fuori in protesta per via del divieto ai religiosi russi sollevato da Trump. Ci era andato per regalare al presidente un portachiavi, un oggetto artistico realizzato a partire dai frammenti di missili russi caduti su abitazioni civili. “Non mi hanno fatto avvicinare” racconta, “Crazy situation!”.
Il sindaco Zarko spera che Trump stia giocando al rialzo, in una partita che non riguarda solo l’Ucraina ma che lo porterà a muoversi su diversi campi. Di una cosa è sicuro, che Trump non vuole essere il secondo di Putin, vuole essere lui il primo. Parla della difficoltà di tenere elezioni, visto che il tema è tornato sul piatto. La sua città, come tante, è spopolata: gli abitanti attuali non sono più del 30% della popolazione di prima della guerra. Troppo pochi: “Se si facessero elezioni Zelensky non vincerebbe. Poi Trump farebbe di tutto per non farlo vincere: odia lui e il suo consigliere Andrij Jermak”.
Ma l’attuale presidente “non può essere al 4% di popolarità, è impossibile, Zelensky resta il nostro bad guy e lo preferiremo sempre a un bad guy imposto dagli Usa”. Poi passa alle terre rare. Questione poco chiara, dice: racconta che al momento, secondo la legge ucraina, la terra può essere venduta ma i prodotti del sottosuolo restano di proprietà dello Stato. “Quindi bisognerà cambiare la legge, e per quanto? Un giorno, una settimana? Per sempre? Se ne approfitterebbero tutti, non solo Trump”. La chiamata si interrompe. Richiama poco dopo per scusarsi: deve chiudere e cercare il figlio, c’è stato un grande attacco a Bilopillja.
Non molto distante da lì, in una zona che non è dato sapere, si trova Sviat, militare che ha preso parte all’operazione di Kursk fin dall’inizio. Ha la voce roca, si sta riprendendo da una brutta influenza. Liquida i grandi discorsi geopolitici in una frase: “La gente qui deve capire che questa è la nostra guerra, e siamo noi che dobbiamo portarla sulle spalle, le nostre spalle”. Sviat, diversamente da molti, è ottimista, sente che con Trump l’Europa e l’Ucraina si stanno avvicinando; “Non si può dipendere sempre dagli Usa”, in fondo, “se all’inizio ci aiutava l’America, l’Europa ora si è svegliata ed è il motore di questa guerra. Ha capito che, se vuole mantenere il tenore di vita che ha, deve armarsi”. Sviat è favorevole a nuove elezioni: “Noi militari siamo qui a difendere la democrazia, la libertà”. Voterebbe per l’avversario Valerij Zalužnyj, il celebre ex capo delle forze armate ora ambasciatore a Londra? “Qui tra i ragazzi abbiamo molte critiche su di lui, nella controffensiva ha fatto perdere troppe vite, soldati validi. Se vedi che la strategia non va, devi fermarti e cambiare”. A Kiev, Ihor è un giovane musicista. È in riserva, non nasconde di sperare che quella chiamata per la leva non arrivi mai: “Non mi interessa chi vincerà le elezioni, la cosa più importante è che diventiamo un Paese unito, che impariamo da chi è morto per difenderlo, e smettiamo di dipendere da influenze e aiuti esterni”. Come tutti gli ucraini, si sente deluso: “Da musicista vorrei che si riaprano i luoghi di cultura, Trump non ci darà la pace giusta che aspettiamo, ma ho paura che col tempo possa solo andare peggio”.