La Stampa, 22 febbraio 2025
Un’oasi felice la fabbrica di Musk in Brandeburgo
Una curva fuori dall’autostrada per Berlino, il mondo Tesla è una specie di paradiso del lavoratore, in cui tutto è brandizzato con le cinque lettere delle auto di Elon Musk. Davanti ai tornelli neri automatici della Gigafactory 4 di Grünheide, nel Brandeburgo, è un via vai senza sosta di dipendenti, 80% uomini, 70% stranieri, che entrano ed escono dalla fabbrica dove la produzione non si ferma mai, tranne che nel weekend. Tutti hanno il badge al collo, un buon numero indossa anche un gadget, un cappellino o una giacca, un pantalone tecnico marchiato con il logo dell’azienda. Perché nell’universo dell’elettrico, dove «ti senti a casa», come spiega Maria (nome di fantasia, perché non vuole essere identificata), ragazza polacca sulla 40ina, uno dei benefit è l’abbigliamento offerto per sentirsi parte della community. Identificarsi.E l’"Employee Branding” funziona bene, almeno così raccontano i dipendenti che passeggiano attorno al capannone Tesla con murales futuristici, quartier generale di uno stabilimento di 3 chilometri quadrati, che impiega 11 mila lavoratori. «La mia vita è cambiata da quando lavoro qui», continua Maria. «Non sto esagerando», aggiunge. «Sono madre di un bimbo, sono polacca e occupo una buona posizione nel settore delle risorse umane. Da quando mi hanno assunto, il mio stipendio è raddoppiato rispetto a prima e mi sento apprezzata come professionista. Sono cresciuta tanto. Non ti fanno mai sentire straniera. E ho molti vantaggi».Le chiediamo quali, e che ne pensa di Musk, sceso apertamente in campo prima del voto tedesco di domani, per sostenere l’ultradestra dell’AfD e la sua leader, Alice Weidel, l’unica che «può salvare la Germania». Maria guarda il vuoto per trenta secondi, in silenzio, pensa. Poi si rasserena in volto e inizia un lungo elenco dei vantaggi di cui gode da dipendente tedesca di Musk: «Abbiamo posti riservati negli asili per i figli, pacchi di vestiti, assicurazioni aggiuntive, sconti per negozi e ristoranti, il trasporto semi-pagato in tutto il Paese». Ma niente offerte se operai e impiegati vogliono acquistare una Tesla: «No, Elon dice che tutti i clienti nel mondo devono essere uguali». Davanti a noi, si dispiega un giga-parcheggio con coperture di design e batterie di Tesla bianche o nere, di tanto in tanto qualche altro marchio. Sono le vetture dei dipendenti. Chi ha acquistato l’elettrico aziendale, però, può ricaricare gratis anche ogni giorno.Un camioncino della spazzatura brandizzato passa a pulire la strada. Per chi aspetta il bus convenzionato, ci sono cabine fumatori al chiuso, come quelle degli aeroporti, toelette riscaldate e pannelli elettronici che aggiornano gli orari dei mezzi. All’ingresso principale, un robot-barista prepara caffè, cappuccini e cioccolata calda a costo zero. Per Maria, comunque, il senso di appartenenza non è solo questione di soldi. «Il mio team è grandioso – dice –. La cultura che Tesla Germania porta a questo Paese è di un posto in cui ti senti al sicuro. Pensi che abbiamo colloqui regolari per denunciare se qualcosa non va, dove abitiamo, o qui dentro». Maria vive non lontano, a Francoforte sull’Oder, e spiega che è una zona «piena di fan dell’AfD».Ci tiene ad essere molto chiara, parlando delle elezioni tedesche di domani: «Io lavoro per Tesla, perché condivido il sogno dell’E-car, di un mondo pulito e migliore per mio figlio. Non lavoro per Elon». L’ha visto più volte in azienda, l’ultima l’anno scorso. «Non gli ho mai stretto la mano, ok. Non supporto le sue idee», precisa. E crede che la Germania stia «vivendo quello che ha vissuto la Polonia anni fa, con i movimenti populisti ed estremisti, con Morawiecki e Kaczy?ski. Ci abbiamo messo otto anni per capire che la fascinazione autocratica ci toglieva la libertà. La società era spaccata, eravamo pieni di odio». Un collega coetaneo, barba lunga e felpa grigia, senza giacca, in un freddo che punge, conferma l’impressione: «Non conosco molta gente qui dentro che supporti Musk. È il nostro Ceo, ma l’azienda non è sua e Tesla Germania è qualcosa di diverso. Non ci interessa la destra, ci sono molti che non lo sopportano, ma a tutti noi interessano gli obiettivi aziendali, le sfide che l’uomo più ricco del mondo ha lanciato». Il giovane nasconde il badge con la mano e non vuole dichiarare il nome, si dice di fretta: «Di politica si discute su Twitter, non a Tesla». Tra gli operai che se ne vanno, c’è un gruppetto di ragazzi e una ragazza, che scherzano tra loro. Hanno tra 26 e 30 anni, vengono da Pakistan, India e Filippine. Sono lavoratori part-time della mensa, aiutanti in cucina, baristi, cuochi. A parlare per tutti è la ragazza: «Qui si sta benissimo – spiega –. Guadagniamo 2 mila euro lordi, l’atmosfera è internazionale». Uno di loro ammette di aver sentito, ultimamente, dipendenti recitare slogan tipo «Fuori gli stranieri». Loro non hanno timore: «Hanno bisogno di noi».Ma a rappresentare bene il pensiero di chi sogna il rimpatrio degli immigrati illegali, e un ritorno al nazionalismo spinto è Jannis, ingegnere inglese di Oxford, trasfertista. «Ah, venite dall’Italia – ci dice –. Lì sta succedendo qualcosa di interessante finalmente. Non se ne poteva più di entrare nei locali e vedere uomini vecchi che vanno nei bagni delle donne, perché dicono che si sentono donne. Magari le mie figlie erano lì, io volevo prenderli a mazzate». Fa l’esempio di quel che accade a 40 chilometri di distanza, in Polonia, dove «tutto è ripulito e sono intolleranti con i migranti». Per lui, la Brexit è stata una «benedizione», gli Stati europei dovrebbero tornare «autonomi», perché «mentre l’Ue ancora discuteva, noi inglesi stavamo già mettendo sui treni i tank da inviare in Ucraina». Nessun disastro economico, qualora l’Unione si disintegrasse: «Andiamo in Norvegia, in Svizzera, lavoriamo lì e non c’è nessun problema, no?». Il punto è soprattutto uno: «L’Islam», che definisce «una malattia». Con i suoi fedeli che «in azienda devi far pregare cinque volte, e magari alla fine lavorano due ore al giorno, devi creare regole speciali per loro».Jannis torna all’Italia, per rappresentare il destino che potrebbe attenderci «se non fermiamo l’invasione», sentenzia: «Io amo il vostro Paese, vengo in vacanza con i miei figli, ci sono tante cose da visitare – afferma –. Ma non voglio vedere, tra un anno o due, che sul menù c’è scritto solo “kebab”. Guardi a Berlino, quanti kebab in strada». In questo angolo del Brandeburgo dove AfD vola, a 40 minuti dalla capitale, «Elon Musk ha fatto bene a impiantare la sua fabbrica – tiene a spiegare l’ingegnere inglese –, perché tutta questa terra fino agli Anni’90 era Russia insanguinata. Oggi invece hai una logistica perfetta, hai la Polonia a pochi chilometri, e da imprenditore puoi permetterti salari più bassi, ma i lavoratori, molti stranieri, sono felici. E soprattutto, godi del marchio made in Germany». —