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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Il ministro Giuli dà 10 milioni alle Terze pagine dei giornali

C’era una volta la Terza pagina. E magari, tornerà ad esserci. Nella storia del giornalismo italiano rigorosamente “cartaceo” ha avuto l’impatto di una rivoluzione. Era il prestigioso spazio riservato all’universo versatile, eclettico, alto, della cultura d’autore. Agli albori della stampa moderna, tra la fine dell’Ottocento e l’alba del Novecento, i giornali sfoggiavano quattro pagine. Dopo la politica e la cronaca d’attualità, ecco arrivare l’ossigeno della letteratura. Ma dopo quasi un secolo di autorevole missione culturale è tramontata. Per rimescolare tutto l’assetto interno di una foliazione ovviamente aggiornata e moltiplicata. In fondo, la sua anima non ha fatto altro che trasformasi in altre vite. La storia del quotidiano, insomma, dalla fine dell’Ottocento ai primi anni 90 del Novecento, è passata per la Terza pagina, nobile presenza di spicco, che ha raccolto di decennio in decennio firme prestigiose, tra racconti, novelle, rubriche, recensioni, reportage. Ora se ne riparla. C’è voluto il nuovo decreto cultura del ministro Alessandro Giuli, varato lo scorso dicembre e approvato dal Senato per la sua conversione in legge, a riaccendere i riflettori su questa «realtà d’antan» (per dirla con Giuli). Il provvedimento contiene il Piano Olivetti per la Cultura, un programma di interventi «a favore dello sviluppo della cultura», che Giuli ha illustrato ieri presso la sala della Stampa Estera a Roma. Tra le misure per l’editoria, in particolare, la legge istituisce in via sperimentale, per il 2025, un fondo da 10 milioni di euro (risorse del Ministero della Cultura) destinato a sostenere le pagine culturali dei quotidiani «rigorosamente cartacei»: i soldi serviranno in particolare a potenziare gli spazi dedicate all’arte, spettacolo e settore audiovisivo «favorendo la rinascita della Terza pagina che nel Novecento fu parte importante dell’esercizio del pensiero e della critica», si legge nel testo. «In questa scelta abbiamo voluto dare il nostro contributo, impegnando 10 milioni che, con spirito d’antan, abbiamo voluto dedicare alla Terza pagina, per ampliare l’offerta di pagine culturali di un quotidiano cartaceo». La Terza Pagina, d’altronde ha origini storiche preziose, anche un po’ picaresche, frutto di intuizioni e azzardi editoriali, nel nome dell’idea scalpitante di una cultura nuova, al passo con i tempi. In principio fu la Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio. L’opera andava in scena a Roma al Teatro Costanzi con la compagnia di Eleonora Duse: era il 9 dicembre del 1901. L’idea sperimentale dell’allora direttore del Giornale d’Italia, quotidiano di Roma, Alberto Bergamini, fu quella di dedicare l’intera terza pagina del giornale alla recensione e alla cronaca cultural-mondana, affidando a quattro firme di spicco del quotidiano un tema dell’evento di respiro nazionale. La pubblicazione uscì l’11 dicembre. Si tracciò la linea. Che poi prese le dimensioni più corpose della Terza pagina. La cultura aveva la sua vetrina. Una pagina-istituzione, un faro, un monumento, con un nome divenuto marchio. Persino un carattere tipografico tutto suo, l’elzeviro (che evocava i libri di poesie) che si differenziava dall’attualità, dalla politica, dalle problematiche contingenti. Una finestra di evasione, di ricchezza espressiva. Un’innovazione del giornalismo italiano, che attirò negli spazi del quotidiano anche illustri scrittori per metterli in contatto diretto con il pubblico. Pirandello, Svevo, Moravia, Grazia Deledda, Curzio Malaparte, Umberto Saba... Da quel 1901, ad ondate figlie di guizzi creativi, i quotidiani nazionali e locali contribuirono a perfezionare la Terza pagina, tra lo schema dei contenuti, le rubriche fisse, la collezione delle firme, dai più famosi al debutto degli emergenti. Il Corriere della Sera, lo stesso Messaggero, la Stampa, Il Resto del Carlino. Una realtà fatta di letteratura, verve giornalistica, finezze di titolazioni, eleganza dei caratteri...Un piccolo mondo antico che ha fatto storia. Ma che poi si è evoluto e modificato. Le prime avvisaglie comparirono nel 1956. Il Giorno di Milano uscì senza la Terza pagina collocando la cultura nelle pagine interne. Una tendenza confermata nel 1976 dalla Repubblica che lanciò la sezione culturale nelle due pagine centrali. Si cambiò nome: la Stampa inaugurò Società & Cultura nel 1989. Tre anni dopo il Corriere salutò la Terza pagina. Franco Abruzzo, nel suo Codice dell’Informazione, fa però notare che quello della Terza pagina è solo un «decesso apparente perché la sua originaria funzione si è semplicemente trasferita in altre parti del giornale». Se le nuove leve di lettori, un po’ Erasmus, un po’ Millennials, un po’ Gen Z, non hanno mai “visto” la Terza pagina, la roccaforte della cultura cartacea potrebbe avere nuove fondamenta: «Sullo sviluppo di un fondo per la Terza pagina possiamo dire che di certo non saranno aiuti a pioggia, ci saranno criteri che saranno resi pubblici al più presto», annuncia il ministro Alessandro Giuli. «Io partirei dal fabbisogno – spiega nel dettaglio l’inquilino del Collegio Romano – ma dobbiamo confrontarci con la Fieg. Vogliamo operare laddove esistono testate di indubbio valore storico che non devono deperire dal punto di vista dell’offerta culturale. L’idea è dare a chi ha più bisogno, considerando anche il radicamento territoriale e garantendo il pluralismo. Non sono cifre enormi ma se commisurate alla platea dei beneficiari è un aiuto consistente».