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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Alessandro Gassmann racconta i suoi 60 anni


Alessandro Gassmann, lunedì compie 60 anni, con che spirito arriva al compleanno?
«Da anziano, piango di più, mi emoziono di più. Per un artista, non è un male».
Per che cosa piange?
«Guardo le immagini di bambini in Palestina, in Ucraina o in fuga per i problemi del clima e piango. Da quando sono padre, la mia idea di futuro si è allungata, da qui, il mio attivismo per i cambiamenti climatici o con l’Unhcr per i rifugiati».
Ha pianto sentendo Simone Cristicchi?
«Non ho visto il Festival, anche perché il mio cantante preferito non partecipava».
Suo figlio Leo, che vinse Sanremo Giovani nel 2020.
«Mi sono risparmiato la fatica, sono convinto che la maggior parte degli italiani guardi Sanremo per vedere quanto è brutto. Ironia a parte, il tema dei figli che si prendono cura dei genitori mi ha toccato, perché, in meno di due anni, sono morte mia madre, mia sorella Paola e Diletta D’Andrea, che è stata con papà per trent’anni e con la quale sono cresciuto. Mi è rimasta un po’ di malinconia per non essermi detto con mia madre tutto quello che avremmo dovuto dirci».
Sua madre era l’attrice francese Juliette Mayniel. Lei, in un suo film da regista, «Il silenzio grande», metteva in scena proprio i non detti di una famiglia.
«Il cinema può essere una forma di analisi, soprattutto da regista, che è il mestiere che più mi appassiona. Il silenzio c’è stato soprattutto con lei. Non abbiamo avuto il classico rapporto madre-figlio. Lei e papà si separarono che avevo tre anni, dopo poco, andai a vivere con lui. Negli ultimi vent’anni, mamma stava in Messico e ci vedevamo due volte l’anno».
Cosa ha imparato da suo padre Vittorio?
«La consapevolezza di essere particolarmente fortunato. Io mi sveglio la mattina e dico: ammazza che fortuna, faccio un mestiere che mi piace, ben pagato, ho una moglie che amo e mi ama, un figlio che si comporta bene, non ho problemi economici. Me l’ha insegnato con un addestramento militare, con durezza, però con grande amore».
Un esempio di addestramento militare?
«Leggere tre libri a settimana e farne il riassunto era duro per un ragazzo. E io ero un pessimo studente, non avevo capito il senso della scuola. Ma papà mi ha insegnato a fare sempre, nella vita, la scelta che comporta più fatica. Infatti, sono uno stakanovista, solo da poco ho imparato a godermi i momenti in cui non lavoro. Prima, appena non lavoravo, mi venivano i sensi di colpa. Arrivavano da mio padre. E a lui venivano da sua madre, nonna Luisa».
Un karma familiare.
«Papà nasce da Heinrich Gassmann, ingegnere sismico tedesco che in Italia conobbe nonna, ebrea. Nonno muore che papà aveva 14 anni, lasciando da sola a Roma una vedova ebrea con due figli nel 1938, anno grave. Due cugine di nonna vengono deportate ad Auschwitz e uccise. Lei si salva perché papà era nella nazionale di pallacanestro. L’addestramento militare nasce da quella vedova spaventata che, per uscire da una situazione disperata, punta sui figli, spingendoli a primeggiare. Papà a scuola aveva tutti dieci: nonna non avrebbe accettato un nove. Lei aveva sognato di fare l’attrice e, quando papà si iscrisse a Giurisprudenza, lo iscrisse a forza all’Accademia di arte drammatica. Nonna riuscì a salvarsi attraverso i figli, ma papà ha finito la vita male, depresso, in seguito a quelle esperienze».
Lei ha fatto più di cento tra film, serie, pièce teatrali. Sa il numero esatto?
«Mai contati. Ho lavorato senza fermarmi, con l’idea di non essere all’altezza e non meritare quello che avevo. Essendo figlio di uomo che ha sempre vinto qualunque gara, era inevitabile. Specie facendo lo stesso mestiere».
Anche lei costretto, come suo papà?
«Totalmente. Papà, prima, mi ha fatto fare il militare, poi, l’attrezzista di scena. Quindi, mi ha buttato sul palco con lui, in Affabulazione di Pasolini: non volevo, non mi è piaciuto, ero terrorizzato, ogni giorno era come buttarmi col paracadute. Dopo, però, mi è rimasta la sensazione che il teatro era una bella famiglia. Allora ho cercato storie più divertenti e lì è nato il sodalizio con Gianmarco Tognazzi».
Se dovesse raccontare la sua vita per momenti di svolta, qui a che punto saremmo?
«Questa scoperta di poter far ridere con il mio fisico non prettamente da comico è cruciale. L’ho fatta con Pino Quartullo in Quando eravamo repressi, poi con Uomini senza donne e Facciamo Fiesta di Angelo Longoni, commedie leggere ma di grandissimo successo, che mi hanno aiutato a migliorarmi anche come attore drammatico. Altre svolte sono la nascita di mio figlio, la morte dei miei e l’incontro con mia moglie: mi sopporta da 32 anni, senza di lei la mia vita sarebbe stata peggiore».
Perché senza Sabrina Knaflitz la sua vita sarebbe stata peggiore?
«È la persona che mi fa più ridere al mondo e quella con cui litigo più spesso al mondo, però non riesco a immaginare la vita senza averla accanto. Credo che sia reciproco, anche se stare accanto a chi fa il mio mestiere è difficile: puoi essere stressato, abbattuto o ipereccitato, sei via per tanto, non si possono fare progetti».
Quali suoi ruoli ha amato di più?
«Hamam di Ferzan Özpetek mi ha dato l’attenzione della critica. Caos Calmo di Nanni Moretti mi ha fatto vincere tutti i premi in una botta sola. Un altro film, importante per come ha raccontato la possibilità del perdono sui crimini del nazismo, è stato Non odiare di Mauro Mancini, con cui ho vinto il premio della critica a Venezia e che credo sia finora la mia miglior interpretazione».
Dal 27 marzo è in un altro film di Mancini.
«A mani nude, che continua in modo diverso il discorso di Non odiare: parla della possibilità, in un mondo cruento, di trovare un fiore che nasce nel cemento».
Gli incontri più memorabili di una vita?
«Ho avuto per padrino di battesimo Ettore Scola. Pensi come parto... A casa nostra, lui, Monicelli e Dino Risi c’erano tutti i giorni. Avere Gigi Proietti protagonista del Premio, la mia seconda regia, è stato un onore. Mi manca tanto. Vanessa Redgrave con cui ho fatto Un mese al lago di John Irvin è un essere umano straordinario: già all’epoca, lavorava su un Romeo e Giulietta israeliani e palestinesi e aveva ospitato in casa dei rifugiati bosniaci».
E Madonna, che era innamorata di lei?
«Questo chi lo dice?».
Il suo coreografo Luca Tommassini.
«Mi fece chiamare per girare uno spot con lei, senza che sapessi questo retroscena. Ma ero in tournée e rifiutai. Tutti a dirmi: scemo, ci devi anda’, quella è Madonna... Andò Raoul Bova, in ripiego. E poi, Madonna mi chiamò per il remake di Travolti da un insolito destino... e non andai perché avevo un altro film. Non l’ho mai incontrata. In generale, ho perso molte occasioni perché ho sempre occupato tutti gli spazi, torniamo al senso di colpa».
Altri rimpianti?
«Errori dati dalla mia impulsività: da giovane, potevo diventare sgradevolmente aggressivo. Se uno urla ed è alto uno e 94, fa paura».
Si è placato?
«Totalmente, ora mi arrabbio, ma non esplodo. Sono molto più frequentabile».
Su Twitter, se l’è presa coi politici o ha mostrato volantini con scritto «incivile» sulle auto messe nei posti per disabili.
«Ce li ho ancora, li tiro fuori se serve».
Perché è uscito da X, l’ex Twitter?
«A Elon Musk non voglio dare neanche un centesimo. Ora sto su Threads di Instagram. Ci faccio le mie piccole battaglie e, ogni settimana, presento una persona attiva nell’ecosostenibilità. Noto che i social stanno cercando di ingabbiare la libertà di pensiero, cosa che, unita alle fake news, mi preoccupa. Sulla manipolazione dell’informazione farò la mia prossima regia. E medito di uscire dai social per riprendere a parlare solo con le interviste».
Da Giovanni Floris, in tv, urlò a Giorgia Meloni «io a voi politici vi pago, quindi vi giudico quanto voglio». Ora che Meloni è premier, come la giudica?
«Come allora: non l’ho votata, non la voterò, ma ne riconosco la capacità di comunicare alle masse usando la semplificazione. Però giudico male anche chi all’opposizione si lamenta di cose che il governo non fa ma che neanche lui ha fatto quando governava».
Lei potrebbe scendere in politica?
«La tentazione è fortissima, ma mia moglie mi frena. Ha ragione: non ne ho le capacità».
Vuole diventare sindaco di Roma?
«Non ho quelle doti diplomatiche. Però, potrei gestire un assessorato alla Cultura».
La famosa tartaruga che spopolò sul calendario del 2001 c’è ancora?
«Sì e non so perché, dato che non faccio sport. Posso aggiungere una cosa io?».
Prego.
«Ho appena scritto su Threads della lezione di Gandhi: rispondere all’aggressione con una carezza. Questo mi sforzo di fare ogni giorno e questo mi sento di dire a tutti. E mi sono un po’ commosso. Vede che so’ vecchio?».