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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Il generale Camporini dice che è l’ora di sostituire la Nato con un’alleanza europea

«Le caratteristiche ideologiche della nuova amministrazione americana, dopo l’ultimo show di Steve Bannon e l’ordine esecutivo del Presidente Trump sulla insindacabilità delle sue stesse decisioni, mettono in dubbio l’accettabilità per l’Europa di un rapporto di alleanza con gli Stati Uniti. La Nato è al tramonto e le potenze europee devono rompere gli indugi. Un primo atto Macron l’ha compiuto, per quanto discutibile, e l’Italia deve essere nel gruppo di testa». È una frattura inevitabile tra le due sponde dell’Atlantico, quella che evoca o di cui prende atto il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa e responsabile sicurezza e difesa di Azione. «In concreto, bisogna sfruttare l’articolo 42 del Trattato di Lisbona e procedere speditamente verso una riedizione del Pesco, il meccanismo di cooperazione rafforzata permanente fra Paesi dell’Ue per la difesa in un sottoinsieme che comprenda necessariamente i membri fondatori. Questa decisione va assunta in 24 ore. Occorre creare una sorta di Nato europea, con procedure decisionali rapide, costituendo un centro di comando che possa impiegare le forze militari dei nostri Paesi che hanno dimostrato negli ultimi decenni di saper lavorare efficacemente insieme».
Con quale obiettivo? E cos’altro bisogna fare?
«Razionalizzare le capacità industriali nel campo della difesa dei Paesi Ue, che devono uscire dal recinto del campanilismo per procedere a definire e realizzare progetti comuni da mettere a disposizione delle nostre forze, e poi applicare criteri di standardizzazione, operabilità e ovviamente anche economia. Intendo costi e risparmi».
Abbiamo visto progetti in conflitto per i caccia di nuova generazione. Non sarà complicato?
«Già, e non solo: c’è un programma franco-tedesco di mezzi corazzati che sta battendo il passo e uno italo-tedesco con un’altra azienda sempre tedesca, una frantumazione all’interno della stessa Germania. Ma gli esempi sono molti. C’è un ruolo che l’Unione deve giocare. Qualche strumento è stato già approntato: l’European Defense Fund serve a cofinanziare progetti comuni, ma per il primo settennato è stato stanziato un miliardo di euro l’anno, mentre i Paesi Ue nell’insieme ne spendono quasi 300. Insomma, parliamo di noccioline. Mario Draghi ha ipotizzato 500 miliardi in dieci anni».
Come la mettiamo con la Francia che in passato ha mostrato di non voler procedere in sintonia con gli altri?
«Ho la sensazione che la politica industriale della difesa francese venga decisa non all’Eliseo ma dagli amministratori delegati delle grandi imprese d’armamenti francesi. Il governo di Parigi deve imporsi agli egoismi delle singole aziende e lo stesso deve accadere nelle altre capitali».
Però l’esperienza Pesco non ha portato risultati decisivi finora, o no?
«È stata attuata in modo simbolico. Ne fanno parte i membri dell’Unione con programmi che sono molto marginali in tema di capacità operative. Però lo strumento c’è, nulla ci vieta di rispolverarlo e realizzarlo. E l’art. 42 di Lisbona dice che in caso di aggressione a uno dei membri dell’Ue, gli altri sono tenuti a prestare la loro collaborazione al Paese aggredito con tutti i mezzi disponibili, inclusi quelli militari. Questo crea un obbligo politico e giuridico più forte dello stesso art. 5 della Nato, che lascia invece una discrezionalità alle singole capitali. Credo proprio che se fossimo aggrediti, Trump non andrebbe oltre la pacca sulla spalla».
Trump in fondo ce lo aveva detto prima di essere eletto
«L’aveva detto e lo sta facendo, tutti ci eravamo illusi che le sue parole fossero da campagna elettorale, invece le sta realizzando: una situazione molto pericolosa per la democrazia americana. Specie se l’interpretazione della legge da parte del presidente Usa e del suo Attorney general sarà prevalente su qualsiasi altro tipo di interpretazione».
Ci sarà collaborazione tra Ue e Regno Unito?
«Ci deve essere, è indispensabile. Nulla vieta che la Pesco venga aperta a Paesi che non facciano parte dell’Unione europea, anche se le capacità operative britanniche negli ultimi anni si sono molto affievolite. Ma la Gran Bretagna ha comunque una leadership politica più forte di altri importanti Paesi continentali».
Che succederà se l’Ucraina aderirà all’Ue ma alla fine avrà un governo filorusso?
«Un governo filorusso avrà una vita molto difficile, ci sarà un’opposizione interna anche clandestina molto forte. Io non credo a questa disponibilità russa, per un motivo molto semplice: un Paese che in qualche modo possa riavviarsi verso una prosperità economica come quella garantita dall’Ue rappresenterebbe per Mosca un rischio eccessivo di contagio. Il contagio della democrazia. E non dimentichiamo che l’Ue prevede obblighi di mutua protezione».
L’Europa è in grado di creare una forte difesa europea, senza gli americani?
«Ci sono ambiti in cui le capacità europee sono ottime, e difficoltà da superare per le quali ci vorrà tempo, come la standardizzazione dei mezzi, l’unificazione delle logistiche, e ci sono alcuni settori dove si parte da zero come la capacità di difesa antimissile che al momento è embrionale. Se l’Europa fosse stata attaccata come Israele è stato attaccato dall’Iran l’ultima volta, con quegli stessi numeri, penso che noi avremmo avuto qualche decina di migliaia di morti. Non siamo in grado di difenderci adeguatamente rispetto a un attacco massiccio e simultaneo di quella portata. Esiste, è vero, un’ipotesi tedesca avanzata nel 2022, che fa riferimento a sistemi d’arma come missili intercettori e sistemi di avvistamento, che hanno però lo svantaggio di essere prodotti non in Europa».
Ci mancano le tecnologie?
«Tutt’altro, le tecnologie le abbiamo. Quello che ci manca sono i soldi e la volontà politica. Lo strumento lo abbiamo e l’ho detto, il Trattato di Lisbona, che creerebbe un legame di mutua protezione più stringente della stessa Alleanza atlantica».