La Stampa, 22 febbraio 2025
Il diritto di fare figli da single
«Non una battaglia per me, ma per tutte» per togliere finalmente un “divieto assurdo che non ci permette di diventare madri da single nel nostro paese». Evita, 40 anni, professionista di Torino, lo ripete da settembre, da quando il tribunale di Firenze ha sollevato il caso di legittimità costituzionale sul suo ricorso contro una clinica toscana che le ha impedito di accedere alla fecondazione eterologa perché non ha un compagno, come previsto dall’articolo 5 della legge 40. «Dietro al mio desiderio di maternità c’è anche la forte volontà di portare alla luce un limite ingiustificato – spiega -. Avrei potuto andare all’estero, come fanno in tante, ma sarebbe stato come mettere una toppa. Voglio che questo diritto mi sia concesso nel mio Paese».Assistita dal team legale dell’associazione Coscioni, la donna ha contestato davanti a un giudice il diniego richiamando i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei Diritti dell’uomo. Il Tribunale di Firenze si è rimesso alla Consulta, ritenendo che questa esclusione possa violare alcuni principi costituzionali, e ora si attende la sentenza. L’udienza è attesa per il prossimo 11 marzo. Se la contestazione di Evita fosse accolta potrebbe cadere un altro tabù della legge che regola la procreazione medicalmente assistita. E che, ad oggi, costringe tantissime donne italiane senza partner ad andare all’estero, nei paesi dove la pratica è accessibile.Con una brutta espressione lo chiamano «turismo procreativo». Nella pratica si tratta di viaggi affrontati in solitudine con un bagaglio di emozioni e turbamenti, spesso difficili da raccontare. E per i quali si arriva a spendere cifre che oscillano dai quattromila ai diecimila euro come minimo. Lo sa bene Barbara Zoina, 50 anni, che ha alle spalle anni di tentativi falliti, in diversi Paesi, prima di riuscire a dare alla luce la sua Zoe, che oggi ha cinque anni. «Avevo 40 anni, volevo un bimbo ma non avevo una relazione stabile. Così ho pensato di farlo da sola. Come prima meta ho scelto la Danimarca: c’era la possibilità di accedere alla pratica con un donatore non anonimo. Ho pensato che se il bambino avesse voluto a 18 anni avrebbe potuto conoscerne l’identità – racconta -. Ma non andò bene». Dopo il primo duro colpo la donna non rinuncia, il desiderio di maternità è più forte. Quello che capisce, però, è che deve tentare in un posto più vicino, perché a tanti chilometri di distanza da sola è un rischio. Così riprova in Belgio, dopo aver cercato una soluzione anche in Olanda. Ma il risultato è lo stesso: non rimane incinta. Prova ancora. Ancora in un altro Paese. Stavolta è la Spagna e al primo tentativo va di nuovo male. «Ho provato tutti i Paesi e tutte le tecniche: prima con i miei ovociti, poi con la donazione dell’embrione – racconta con la voce rotta-. Non so descrivere neanche la mia felicità quando alla fine, otto tentativi dopo il primo, sono riuscita a portare a termine una gravidanza». Una gioia che vede ogni giorno nel volto della sua piccola, che non le assomiglia, ma che da lei ha già ereditato la passione per l’arrampicata. «Mi chiedo perché dobbiamo subire tutto questo? – aggiunge -. Non capisco perché non possiamo accedere alla Pma nel nostro Paese, in sicurezza, senza rischiare. C’è un pregiudizio ideologico: si considera famiglia solo quella tradizionale, con padre e madre. Eppure noi single siamo una risorsa, anche per contrastare l’inverno demografico. I nostri figli nascono qui, ma per averli abbiamo affrontato di tutto e altrove».E ad aprile nascerà a Brescia il piccolo Santiago. Mentre si accarezza il pancione, sua madre Serena Reali, 37 anni, racconta di aver scelto il nome come omaggio al paese dove è stato concepito, in una clinica per la Pma. «Ci sono andata dopo aver consultato dei gruppi su Facebook. Quando ho letto di non essere l’unica a voler fare un figlio da sola mi sono rasserenata: non era un desiderio folle – spiega la ragazza -. A essere assurdo è quello che dobbiamo passare. Per un trasferimento in utero dell’embrione di mezz’ora bisogna volare in un altro paese con costi altissimi». Proprio perché considera questa un’ingiustizia, Serena è parte nel processo che porterà la Corte costituzionale a esprimersi a marzo. «La legge 40 è l’esempio di come una norma non dovrebbe essere scritta – tuona Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione Coscioni, che sta portando avanti la campagna “Pma per tutte” -. In questo caso è in ballo il principio di uguaglianza sull’accesso alla pratica, che oggi è negato alle single e alle coppie dello stesso sesso. Difenderemo fino alla fine questo diritto all’autodeterminazione delle donne che vogliono un figlio ma che non possono averlo nel loro Paese»