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 2025  febbraio 22 Sabato calendario

Maurizio Sarri pensionato

Castelfranco Piandiscò (Arezzo). Un grande meticcio bianco ci viene incontro con aria circospetta, attento a proteggere la signora Marina. «L’ho salvato dal marciapiede, ma lui riconosce mia moglie come padrona» dice affettuoso Maurizio Sarri accarezzando Ciro. «Un giorno a Castel Volturno stavo mangiando un toast, lui mi fissava dall’altra parte della strada. Gli diedi un boccone, da quel giorno continuò a tornare sempre alla stessa ora. Alla fine, lo portai a casa».
L’allenatore che ha dato una nuova mentalità al Napoli, vinto uno scudetto con la Juventus e un’Europa League con il Chelsea non è così burbero come traspare all’esterno. Nel suo studio dove un enorme televisore manda in onda le immagini dell’Uae Tour di ciclismo («il mio secondo amore»), campeggia un poster con una citazione di De André. «Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, con il suo marchio speciale di speciale disperazione». Sulla scrivania, perfettamente allineati, due fogli, con grafia ordinata e sottolineature con l’evidenziatore. «Sono un po’ maniaco eh... Qui c’è l’elenco dei libri da leggere: quando non ho voglia di impegnarmi, mi piacciono i gialli. Là la lista delle partite da guardare». 
Quasi un anno dalle dimissioni dalla Lazio. Come è stato senza calcio? 
«Difficile a causa di problemi personali: qualcuno si è risolto, altri no. Ho perso mia mamma e uno zio a cui ero legatissimo. Mia moglie è stata in terapia intensiva e anche io ho avuto un infortunio. Dopo la sofferenza ci siamo ripresi». 
Ha ricevuto offerte? 
«Più di una e da continenti diversi, anche una ricchissima dall’Arabia. Nessuna proposta mi ha fatto scattare quel clic interiore per rimettermi in gioco». 
Cosa serve per procurarle entusiasmo? 
«Un grande progetto. Ho lavorato in squadre importanti negli ultimi 10 anni, ora spero di ricevere la chiamata giusta, così da far accendere la scintilla. Sennò sto fermo».
È vero che ha rifiutato un contratto di 6 mesi al Milan che poi ha scelto Conceicao? 
«Non rispondo, le dico solo che in generale ho ricevuto proposte formulate in maniera tale da non farmi vacillare». 
Potesse scegliere, dove si sentirebbe a suo agio? 
«Nel campionato italiano, che è casa mia e il torneo più adatto alle mie caratteristiche. Poi in Premier dove si respira un clima unico». 
Cosa le è mancato di più? 
«L’adrenalina. Poi il campo, la preparazione quotidiana della partita, il vissuto del gruppo. Mi piace tutto del calcio, tranne una cosa». 
Quale? 
«Il mercato: sembra la soluzione per risolvere ogni problema. Non si parla mai invece di come sviluppare il talento». 
Ha visto molto calcio in tv? 
«Sulle piattaforme specializzate. Ma un conto è vedere le partite, un divertimento di 90’. Un altro è studiarle, un lavoro di tre ore». 
Chi la sorprende? 
«Il Como di Fabregas mi intriga. Mi piacciono il progetto e la connessione che Cesc ha con la società. È stato un mio giocatore al Chelsea, un ragazzo molto intelligente. L’ho incontrato di recente e ci siamo scambiati impressioni sulla tattica, ha preso appunti. È umile». 
Si dice che a lei serva tempo per inculcare i suoi principi di gioco. Un pregiudizio? 
«Luogo comune: sono arrivato al Chelsea a fine luglio, a settembre abbiamo ottenuto risultati straordinari. Mi hanno dato del lamentoso quando ho sollevato il problema dei calendari, ora tutti protestano: certamente con tante gare ravvicinate un gioco più rozzo si assimila prima». 

Gli allenatori giovani della nouvelle vague hanno fallito in Champions. 
«Mi auguro che la stessa distinzione valida fra i giocatori, e non fra giovani e vecchi, ma fra bravi e meno bravi, si applichi anche ai tecnici. Il valore di un allenatore deve essere però misurato sul torneo più lungo, il campionato. Non sulla coppa, dove incidono i singoli episodi». 
Il suo rapporto con due presidenti vulcanici come De Laurentiis e Lotito? 
«Aurelio forse è una persona più complessa, ma gli sarò sempre riconoscente per avermi fatto allenare la squadra per cui tifavo da bambino. Lotito è diverso da come appare: gli voglio bene ma le discussioni sono state frequenti nell’ultimo periodo. Dopo un secondo posto e la vendita di Milinkovic Savic mi aspettavo rinforzi. Alla fine, avevo attaccato il mio malcontento alla squadra». 
Gli altri dirigenti iconici con cui ha lavorato? 
«A Torino ho avuto Andrea Agnelli, il punto di riferimento di tutta la Juve. Poi mi sono relazionato con Roman Abramovich, meno algido e più ironico di quanto si pensi. Fra tutti il più simpatico è però Corsi dell’Empoli. Mi manca lavorare con i fondi». 
Farebbe fatica? 
«Non credo: il fondo punta a realizzare utili con un club. Ma per incrementare i ricavi servono risultati sportivi, quindi gli obiettivi coinciderebbero». 
Il rapporto con i big data? 
«Sono uno dei primi ad aver usato le statistiche ma gli algoritmi devono essere un parametro, non l’unico». 
Il calciatore più forte che ha avuto? 
«Sono legato a un ragazzo, sensibile e delicato, che avrebbe potuto avere una carriera strepitosa, Riccardo Saponara». 
I trascorsi in banca cosa le hanno insegnato? 
«L’organizzazione del lavoro e la velocità decisionale». 
Il suo rapporto con i soldi. 
«Non sono parsimonioso ma nemmeno li butto via: un orologio dopo lo scudetto è il regalo più prezioso che mi sono concesso. L’ingaggio alto è uno status per un tecnico». 
Come è andata veramente nel 2015: era fatta o no al Milan? 
«Dopo il colloquio Galliani mi disse che la trattativa stava andando a buon fine. Ma poi non lo sentii più: secondo me il Cavaliere trasalì quando lesse una mia intervista dove dissi che non avrei votato Renzi perché troppo a destra come Berlusconi». 
Da quando stiamo parlando ha finito un pacchetto di sigarette. Com’è il suo rapporto con il fumo? 
«Disastroso, direi».