il Giornale, 21 febbraio 2025
"Sei portaerei entro il 2035". Così Pechino vuole sfidare la supremazia Usa sui mari.
I piani della Cina sembrano confermare i timori per un’aggressione contro Taipei. Il Comando Usa per l’Indo-Pacifico lancia l’allarme per le esercitazioni attorno a Taiwan Ambizioni militari senza limiti per Pechino impegnata a sfidare come non mai la supremazia globale di Washington. Xi Jinping intende trasformare in realtà la profezia del Ventunesimo secolo a guida cinese partendo dall’ottenere il dominio sui mari. Secondo indiscrezioni, il leader del Paese erede del Celeste Impero ha infatti autorizzato il progetto di ampliamento della flotta di portaerei che dovrebbe passare entro il 2035 da tre a sei unità. O, forse, anche di più.
La Cina dispone già di due portaerei operative a tutti gli effetti: la Liaoning, acquistata dall’Ucraina, e la Shandong mentre la Fujian sta completando le prove finali in vista della sua entrata in servizio. Una quarta sarebbe al momento in fase di costruzione nei cantieri di Jiangnan e potrebbe essere dotata di propulsione nucleare. Un punto, quest’ultimo, messo in dubbio dagli esperti ma che non nasconde la volontà del gigante asiatico di colmare quanto prima il divario con gli Stati Uniti nel settore.
Oltre che sulle portaerei, Pechino può contare su 370 navi da guerra superando le circa 290 attualmente in dotazione agli States. Inoltre, negli ultimi 15 anni la Cina ha costruito 12 sottomarini nucleari e, come indicato in un recente rapporto presentato al Congresso dal dipartimento della Difesa Usa, “nel breve termine la marina dell’Esercito Popolare di Liberazione avrà la capacità di condurre attacchi di precisione a lungo raggio dai suoi sommergibili contro obiettivi collocati sulla terraferma”. La flotta di sottomarini dovrebbe raggiungere le 65 unità entro quest’anno e le 80 entro il 2035.
Il ruolo cruciale assegnato alle portaerei dalle autorità del Paese del dragone traspare da un articolo del Global Times in cui si legge che esse sono “piattaforme strategiche importanti” che permettono alla Cina di difenderne “la sovranità nazionale, la sicurezza, l’integrità territoriale e lo sviluppo di interessi contribuendo allo stesso tempo alla pace e alla stabilità della regione e del mondo”. Il quotidiano del Partito Comunista Cinese riporta poi il parere di un esperto – per nulla rassicurante – secondo il quale le due portaerei operative possono focalizzarsi ciascuna su un compito specifico: “una può lanciare attacchi contro obiettivi terrestri e l’altra può occuparsi della difesa aerea”.
La Cina, che dal 2017 gestisce una base in Africa, a Gibuti, proietta la sua immagine di superpotenza globale conducendo operazioni navali che sconfinano nelle zone economiche esclusive di Australia, Filippine, Malesia e Vietnam. Tali attività militari spaventano più di tutti Taipei che per l’intelligence Usa potrebbe essere attaccata da Pechino entro due anni. Pochi giorni fa Samuel Paparo, l’ammiraglio a capo del Comando dell’Indo-Pacifico, ha dichiarato che le esercitazioni effettuate dalla Repubblica Popolare nelle acque attorno all’isola di Taiwan sono diventate così “estensive” che potrebbero essere usate presto come una “foglia di fico” per una vera invasione.
“Le manovre aggressive cinesi”, ha spiegato Paparo, “non sono esercitazioni come le chiamano loro ma prove generali per un’unificazione forzata di Taiwan” alla Cina. Il timore degli esperti è che le mire espresse da Donald Trump su Canada, Groenlandia e Panama possano incoraggiare ulteriormente i piani di Xi Jinping.