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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

Fine vita, slitta il testo base

L’esigenza di fare una legge nazionale viene avvertita trasversalmente. Ma c’è anche la volontà di arrivare ad una norma che possa avere i numeri in Parlamento per essere approvata con una maggioranza non risicata. Ecco perché «è necessario trovare le convergenze» e, per farlo, ci vuole tempo. Perciò «escluderei – mette le mani avanti il capogruppo di Forza Italia in Commissione Giustizia del Senato, Pierantonio Zanettin, che è relatore dei provvedimenti sul tema, insieme a Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia – che io e il collega Zullo già la prossima settimana potremmo presentare un testo scritto. È infatti un tema sul quale si dovrà lavorare a piccoli passi cercando delle convergenze. Ma il mio impegno sarà quello di arrivare ad un disegno di legge che possa essere approvato in Parlamento». Anche perché, prosegue, «sta emergendo, dalle diverse dichiarazioni di questi giorni, una volontà di fare una legge». Nell’ultimo comitato ristretto delle Commissioni Sanità e Giustizia di Palazzo Madama una settimana fa, in realtà, era trapelata la deadline di fine febbraio come termine che i relatori si erano dati per presentare ai colleghi un testo che fosse la sintesi dei cinque disegni di legge presentati in materia di suicidio medicalmente assistito per poter iniziare un dialogo. Un termine che, a quanto pare, potrebbe slittare.
Molti gli aspetti, infatti, che andranno chiariti prima di arrivare ad un testo di legge condiviso. Come ad esempio, sostiene Zanettin, il ruolo del Sistema sanitario nazionale, i comitati etici a da creare a livello nazionale o regionale oppure l’obbligatorietà o meno delle cure palliative. «Quello al quale bisogna “arrivare per partire” – osserva il senatore di Fi ricorrendo al gioco di parole – deve essere un testo dei relatori. E il punto di mediazione deve essere rappresentato da una rivisitazione dei 4 punti contenuti nelle sentenze della Corte Costituzionale ai quali si potrebbe aggiungere l’obbligo di un preventivo ciclo di cure palliative».
Il tema è stato affrontato due giorni fa anche dalla Conferenza episcopale italiana, che in una nota non aveva nascosto la sua preoccupazione per le recenti iniziative regionali e sottolineato che «sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso», perché «la dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento, ma di non smarrire l’umanità». Il giorno successivo alle parole dei vescovi italiani. dalla Lombardia, che è una delle Regioni che vuole attivarsi autonomamente, irrompe nel dibattito proprio il governatore Attilio Fontana sostenendo che la posizione della Cei «è diversa dalla posizione che in questo momento è prevalente nel nostro Paese. È la stessa posizione che ha sempre avuto il mondo cattolico anche quando si parlava di divorzio e di aborto e loro giustamente difendono una posizione etica».
A chiedere di andare oltre un’agenda politicamente divisiva sul tema del fine vita è invece il presidente del Forum delle Associazioni familiari, Adriano Bordignon, per cui «non può esistere un diritto a morire, perché altrimenti nascerebbe un dovere in capo a qualcuno di dare la morte». Inoltre, «non sono condivisibili le forzature cui stiamo assistendo in alcune Regioni». Bisognerebbe perciò lavorare, aggiunge, per «una proposta di legge che tuteli la vita e la salute dei più fragili, garantendo l’accesso alle cure palliative, in quanto unica soluzione veramente efficace per affrontare il fine vita con umanità e rispetto».
Sempre ieri intanto l’Associazione Luca Coscioni, per bocca di Marco Cappato, ha annunciato dall’1 al 13 aprile, con il 5 giornata centrale, una mobilitazione in tutta Italia per informare i cittadini sui diritti e chiedere alle Regioni di discutere subito la legge regionale sul fine vita. «La richiesta di una legge nazionale – ha spiegato Cappato – non può essere un alibi per evitare al legislatore regionale di assumersi le proprie responsabilità». Il segretario di +Europa Riccardo Magi, poi, considera «auspicabile un intervento in Parlamento, purché non sia regressivo rispetto alla decisione della Corte»