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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

Dal fronte di Kramatorsk

«Le sparate di Trump? No comment» è la prima reazione di Aleksander che ci accompagna nell’inferno del Donbass, il fronte peggiore della guerra. Poi ci ripensa e sbotta: «Sembrava che ripetesse la propaganda russa» riferendosi alle accuse contro Zelensky dittatore per le mancate elezioni.
Per raggiungere la 109ima brigata ci infiliamo in strade desolate, in mezzo agli alberi rinsecchiti per il gelo e spezzettati da bombardamenti. Si viaggia a tutta velocità, senza fermarsi, perché i droni russi volano, come avvoltoi, dappertutto. L’ultima che si sono inventati è collegare i velivoli senza pilota più piccoli e insidiosi a un sottile cavo di fibra ottica lungo anche 15 km per trasmettere i comandi fino al bersaglio. «Impossibile intercettarli o disturbarli con la guerra elettronica, ma adesso li abbiamo pure noi» spiega Sueta, nome di battaglia del capo squadra dei droni della brigata di Difesa territoriale schierata nel 20% della regione di Donetsk, ancora in mani ucraine. Omaccione in mimetica e barbetta rossa è un ingegnere che ha già all’attivo «600 soldati russi eliminati» con i droni più piccoli, che sganciano bombe a mano, «15 pezzi di artiglieria e altrettanti carri armati» centrati dai velivoli
kamikaze più grossi. «I russi usano gli Shahed iraniani, droni suicidi che volano a frotte sopra le nostre teste per poi andare a colpire le grandi città, fuori dal Donbass, come Kharkiv e Dnipro» osserva Viktor, orecchini e baffetti, il giovane ufficiale che scorta i giornalisti.
La squadra Muramasa, «spargimento di sangue», sta testando un drone kamikaze che trasporta 3-4 kg di esplosivo e può distruggere un carro armato. Una bestia grigia con un’apertura alare di un paio di metri, raggio d’azione di 70 km, facile da costruire e da pilotare con i visori che rendono nitidissimo il campo di battaglia. Taxis, perché nella vita faceva il taxista, ed Elrs, che deriva dalla guerra elettronica, sono i nomi di battaglia dei due operatori. Uno dà ordini veloci e alla fine un secco «Arm». L’altro lancia il drone come un aeroplanino di carta urlando «davai» («avanti»). Una consolle di comando portatile, stile videogiochi, lo fa schizzare verso l’alto. Nei visori si vede e viene registrato tutto. Drammatica l’immagine di un soldato di Mosca che si accorge all’ultimo momento del drone in picchiata e cerca di saltare fuori dal gippone scoperto, ma è tutto inutile. «Siamo stupefatti da Trump – ammette a denti stretti il capo squadra – Non sarà lui ad imporci un cessate il fuoco». Poi ragiona un attimo conoscendo bene le sofferenze dei soldati in prima linea e spiega che «bisogna negoziare. Vogliamo tornare a vivere in pace, ma a che prezzo? Non ho idea quale sia il punto di compromesso».
L’ingegnere prestato alla guerra dei droni sta provando un modello più piccolo, il quadricottero, in vendita su Amazon, ma con una piccola modifica sgancia una bomba a mano da 200 metri. Sul canale Telegram della brigata spopola l’immagine terribile di un soldato russo colpito e stramazzato con la testa che brucia.
Kramatorsk è la città sulla linea del Piave ucraina nel Donbass, che vive in semi oscuramento e viene bombardata a singhiozzo. Anastasia Zubrizka, giovane e coraggioso medico, sostiene che «se cade è come se cadesse l’Ucraina». All’unico supermercato ancora aperto e mezzo blindato è arrabbiata «per le parole di Trump. Non crediamo in negoziati soprattutto sulla testa degli ucraini. Dobbiamo riavere i nostri territori».
Un uomo che cammina in mezzo alla neve, ha appena ricevuto la notizia del padre ferito dalle bombe russe. Si fa il segno della croce e poi dice: «Speriamo che gli americani ci tirino fuori da questa guerra»